Siamo tutti vittime di "pregiudizi inconsapevoli". Il libro-inchiesta che rivela dove nascono gli stereotipi
Esce in questi giorni per Mondadori il nuovo libro di Francesca Vecchioni che ci insegna come individuare e combattere gli errori più frequenti, gli stereotipi e le discriminazioni per modificare (forse) il nostro sguardo sul mondo

“Volevo scoprire quali fossero i meccanismi mentali che ci portano a discriminare e a essere discriminati. Non potevo credere che persone intelligenti e persone emotive – persone come me, come tutte noi – potessero arrivare a fare ciò. Volevo indagare cosa ci fosse davvero dietro e come avremmo potuto superare questo aspetto”.
Francesca Vecchioni – scrittrice, giornalista, attivista dei diritti umani e consulente sulle tematiche Diversity & Inclusion - presenta così Pregiudizi consapevoli, il suo nuovo libro appena uscito per Mondadori. “Senza rendercene conto – continua - siamo immersi in dinamiche linguistiche e comportamentali che rafforzano pregiudizi, stereotipi e discriminazioni e in luoghi comuni, modi di dire e comportamenti automatici che hanno un duplice effetto: da una parte rischiano di compromettere la nostra percezione e dunque comprensione della realtà, influenzando i nostri giudizi e le nostre scelte; dall’altra ci portano a inserire gli altri in schemi precostituiti, che restituiscono un’immagine spesso deformata, banalizzata, inadeguata, e possono innescare meccanismi escludenti”.
L'origine dei pregiudizi
Stando ai sociologi, i bambini iniziano ad acquisire pregiudizi e stereotipi già a tre anni interiorizzando espressioni linguistiche di pregiudizio razziale, ad esempio, senza capirne il significato. Una volta appresi, poi, sono resistenti al cambiamento e questo rende il tutto molto più complicato, soprattutto crescendo, perché le persone abbracciano aneddoti che rinforzano i loro pregiudizi, ma ignorano quasi sempre l’esperienza che li contraddice. “Da bambini – scrive Francesca – ogni via è possibile, perché si esplora il mondo e si costruiscono quei percorsi senza preconcetti”. A pagarne le conseguenze, è ovvio, sono proprio quelle persone (donne e uomini senza alcuna distinzione) soggette a quei pregiudizi che, spesso, finiscono per interiorizzarli avendo una valutazione negativa di sé.
Basandosi sui suoi studi di Psicologia comportamentale più recenti, l’autrice – figlia del noto cantautore Roberto Vecchioni e madre di Nina e Cloe, le due gemelle avute con la sua ex compagna a cui è dedicato il libro (“amori della mia vita grazie alle quali ho scoperto che le domande contano molto più delle risposte”) – finisce con lo smascherare, con tono ironico e dissacrante, tutte le volte in cui siamo caduti – spesso senza volerlo - nella trappola degli stereotipi e il suo è un modo – la citiamo - “per capire le nostre dinamiche cognitive, per individuare gli errori più frequenti in cui possiamo incorrere e quindi modificare il nostro sguardo sul mondo”.
Non siamo persone razziste, sessiste o omofobe, fa notare, ma la mente può ingannarci e ogni nostro ragionamento può prendere a volte delle scorciatoie comode, ma non piacevoli, non corrette e finisce così con generalizzare. Il luogo comune è infatti talmente comodo e pervasivo da essere una tentazione a cui anche le persone più attente non riescono a sottrarsi completamente. Ecco, quindi, che le persone anziane sono lente, che le donne non sanno guidare, che gli stranieri sono pericolosi e che i gay sono sensibili. “Lo penseremo di ogni singolo membro di quella categoria – aggiunge - malgrado i dati ci dicano che la nostra percezione è scorretta o sovrastimata. Essere consapevoli di questi meccanismi mentali, nonché conoscere gli errori a cui ci conducono, è il primo passo per comprendere meglio la realtà e le altre persone e per rendere il mondo più inclusivo”. Conoscere come ragioniamo significa, quindi, poter intervenire prevedendo possibili errori di valutazione verso le persone o le situazioni, ma significa soprattutto essere consapevoli delle nostre scelte.
Il libro – che “è una sfida”, perché “bisogna essere consapevoli del rischio di portare comunque con sé alcuni di quei filtri che ci siamo costruiti nel tempo”, come fa notare l’autrice - esce due giorni dopo il National Coming Out Day, uno di quei momenti in cui una questione intima e personale diventa immediatamente politica. Dichiarare la propria identità, infatti, non riguarda solo la comunità omosessuale, ma l’intera società. Si tratta, infatti, di aprire gli occhi a chi ci sta vicino, di mettere una persona di fronte ai sentimenti che prova per noi e di chiederle se sono più forti delle sue paure e dei suoi pregiudizi. Si vince sempre, anche quando si perde, perché i rapporti diventano più chiari come i legami che in tal modo diventano più forti come possono spezzarsi, ma anche quest’ultimo caso fa parte della vita e bisogna accettarlo.
Nel 1869, cento anni prima dei tumulti di Stonewall, in Germania Karl Heinrich Ulrichs introdusse l'idea dell'autodenuncia come mezzo di liberazione per le persone omosessuali. Il primo National Coming Out Day risale al 1988 ed è stato organizzato da Robert Eichberg e Jean O'Leary. Eichberg, morto nel 1995 a causa di complicazioni dovute all'AIDS, era uno psicologo del New Mexico mentre O'Leary era un’attivista e leader politica lesbica di New York. La data dell'11 ottobre è stata scelta perché è l'anniversario della Marcia nazionale del 1987 a Washington per i diritti di Lesbiche e Gay. “La maggior parte delle persone pensa di non conoscere nessun gay o lesbica, ma in realtà, tutti lo conoscono. È imperativo uscire allo scoperto e far sapere alla gente chi siamo e dissuaderla dalle sue paure e dai suoi stereotipi”, disse Eichberg nel 1993.
Coming out e outing: differenze
Ve lo abbiamo già scritto diverse volte, ma lo ripetiamo. Trattasi di tre lettere uguali, “out”, cioè “fuori”, ma si tratta di due espressioni assai diverse: il coming out è una scelta volontaria di chi lo fa, l’outing è deciso da altri. In entrambi i casi ci possono essere conseguenze importanti, ma chi decide di uscire fuori, venire allo scoperto, lo fa generalmente dopo un percorso di riflessione e di autocoscienza che è invece assente nel secondo caso. Per questo, l’outing viene spesso visto come una violenza, che può avere conseguenze anche gravi, sia dal punto di vista personale che sociale: sono molti i Paesi in cui essere omosessuale è un tabù o un reatoe, purtroppo, essere gay o lesbiche in certi ambienti o settori lavorativi, può avere pesanti influenze sulla carriera.
In quella giornata così importante, sono state degne di nota le parole di Jonathan Bazzi, finalista all’ultimo Premio Strega con “Febbre” (Fandango): “A tutte le ragazze e i ragazzi che pensano di essere sbagliati o non vedono futuro davanti a sé, ostaggio di famiglie tiranniche o compagni abusanti, vorrei regalare una qualità che spesso, a me, ha tratto in salvo: il sentimento, sommesso eppure saldo, che domani può cambiare tutto, di colpo, che all’improvviso le condizioni della nostra vita possono mettersi a brillare dell’esatta luce che ci auguravamo. Le cose cambieranno, andrà sempre meglio. Non sarete soli, non sarete più soli”.
Alle sue parole si è aggiunta anche la campagna social dell’Arcigay contenente un necessario e potente messaggio: “Quando sarai pront*, noi saremo qui”, uno spot, il loro, che “vuole attirare l’attenzione su come le nostre vite possono cambiare dopo aver deciso di uscire fuori dall’armadio”. Oggi, dunque, è sempre il giorno giusto e nessun momento è sbagliato.