[Il commento] "Non rattristatevi, non ho rimpianti": le ultime parole di Lorenzo, ucciso alle spalle nella guerra all'Isis
Dopo la morte in battaglia del volontario anti Stato Islamico italiano, restano le sue parole. Una scelta forte, lucida. Su cui ora si parla, si sparla, si specula politicamente

Morire per delle idee. C'è chi lo ha cantato, come Brassens, tradotto da De André, e chi continua a farlo, in tutto il mondo. Lasciando quella che chiamiamo "normalità". Cioè le abitudini di tutti i giorni: sveglia a quell'ora, colazione, lamentele varie di fronte alla lettura del giornale al bar, figli da accompagnare a scuola, poi farsi largo nel traffico come i salmoni controcorrente, otto ore di lavoro, altri brontolii, altra noia quotidiana. Quindi casa, a pensare ai prossimi conti da pagare e a qualche ora di relax da concedersi in pizzeria o al ristorante con gli amici. Finché morte non ci separi. Lorenzo Orsetti di questa normalità, della noiosa ma comoda e rincuorante routine giornaliera non sapeva che farsene. Era lucido, determinato fino all'ultimo, anche quando presumibilmente è caduto sulla sua faccia dopo essere stato colpito alle spalle da combattenti dello Stato islamico nascosti in una buca nella sabbia. Da lì sono spuntati fuori e hanno aperto il fuoco. Come lo stesso padre di Lorenzo ha confermato: "Un'imboscata, li hanno uccisi tutti", la voce incrinata dalle lacrime di dolore e dall'orgoglio per la coerenza del figlio.
"Ogni tempesta comincia con una singola goccia"
Lorenzo, detto Tekoser, l'Orso, 32 anni, fiorentino, aveva imbracciato il fucile per opporsi a una moderna forma di dittatura. Violenza che vuole spazzare via la violenza. Armi per abbattere quanti più guerriglieri dell'Isis lì in territorio curdo, dove un popolo sempre sospettato e sempre perseguitato continua ad essere fra gli ultimi baluardi (donne combattenti comprese) contro il sogno di un mondo dominato dall'estremismo islamico che vuole distruggere il modo di vita occidentale e tutti quei musulmani che non se ne discostano. "Sono quasi certo che me ne sono andato con il sorriso sulle labbra. Non avrei potuto chiedere di meglio" scrive Tekoser nella sua ultima lettera, "non rattristatevi più di tanto, mi sta bene così". E così significava mollare il ristorante e il posto di sommelier in Toscana per finire, fucile in mano, a sparare contro gli uomini del Daesh in quel fazzoletto di terra di Afrin, roccaforte curda al confine tra l'avanzata dell'Isis e la resistenza dello Stato turco, sempre intransigente contro il kurdistan. Poi l'avanzata fino a Baghuz, metro dopo metro, proiettile dopo proiettile, fino all'imboscata. Alla morte.

"Sono tempi difficili, non cedete alla rassegnazione"
Lo diceva anche in un audio diffuso nuovamente dopo la sua caduta in battaglia, Lorenzo Orsetti: era andato fin là per combattere per "l'emancipazione della donna, la cooperazione sociale, l'ecologia sociale e, naturalmente, la democrazia". E scrive nella sua lettera: "E' proprio nei momenti più bui che la vostra luce serve". Ora partirà la gara a chi per primo lo santifica, a chi si appropria della figura di questo ragazzone toscano a cui non interessava nessuna santificazione o speculazione politica. Cominceranno le polemiche su chi rischia di essere definito terrorista mentre lotta contro i terroristi, e contro la bizzarria di uno che aveva tutto e lo ha voluto in qualche modo "rinnegare" per giocare all'eroe in terra straniera, sentita come sua vera patria. Casa. Il posto per cui vivere, lottare, morire. Si parlerà e si sparlerà, come facciamo tutti mentre stiamo, annoiati ed arrabbiati, in mezzo al traffico anche oggi. Nella casa natia piange il padre che parla alla stampa, in lacrime: nessuno gli ridarà il figlio, nessuno cancellerà quel dolore, niente gli toglierà l'orgoglio di aver visto il suo ragazzo scegliere come vivere e morire. Non è dato a tutti. Meno che mai a quelli annoiati dalla democrazia, come ci si annoia del divano nuovo su cui appena qualche mese prima si stava seduti con tanto entusiasmo.
