C’è il pericoloso glifosato nel caffè di un colosso attivo anche in Italia
Nescafé e Nespresso, marchi di proprietà del gigante Nestlé, costretti ad avviare dei controlli presso i proprio fornitori di chicchi brasiliani

In Italia sono oltre 800 le imprese che lavorano il caffè. A farla da padrone, tuttavia, sono appena 4 marchi, che da soli assorbono circa la metà del mercato. La multinazionale svizzera Nestlé è uno di questi colossi che, attraverso le controllate Nestlè Italiana, Nespresso Italiana e Nescafè, vanta una leadership assoluta nel segmento del caffè solubile e in quello premium del porzionato, il caffè commercializzato in capsule. Quanto annunciato sulle pagine de Il Salvagente, leader nei test di Laboratorio contro le truffe ai consumatori, rischia di causare al colosso un danno di immagine senza precedenti. Stando a quanto pubblicato sul mensile, infatti, la società avrebbe rilevato la presenza di residui di glifosato, vicini al limite normativo, nella materia prima proveniente da Brasile e Indonesia.
Bloomberg, multinazionale operativa nel settore dei mass media, ha riportato la notizia secondo cui il più grande torrefattore del mondo abbia già informato i fornitori e che avvierà quanto prima una campagna di controlli straordinari, almeno fino a che i livelli di diserbante non caleranno sensibilmente. “Monitoriamo attivamente i residui chimici, incluso il glifosato, nel caffè verde che acquistiamo - ha dichiarato Nestlè -. Questo programma di monitoraggio ha dimostrato che in alcune forniture i livelli di residui chimici sono vicini ai limiti definiti dalle normative. Stiamo rafforzando i nostri controlli in collaborazione con i fornitori per garantire che il nostro caffè verde continui a soddisfare le normative in tutto il mondo”. Il caffè “contaminato” è destinato principalmente in Europa, e quindi in Italia, ma anche in Australia e Malesia. “I nostri agronomi - spiega Nestlé - continueranno a lavorare con i coltivatori di caffè per aiutarli a migliorare le loro pratiche di gestione delle infestanti, compreso l’uso appropriato degli erbicidi e l’adozione di altri metodi di diserbo”.
Il glifosato è un diserbante sistemico di post-emergenza non selettivo. L’esposizione a tale sostanza porta a manifestare effetti avversi per lo sviluppo e al sistema riproduttivo anche a dosi considerate “sicure”. Tali dati, emersi in un recentissimo studio globale, realizzato dal Centro di ricerca sul cancro 'Cesare Maltoni' dell''Istituto Ramazzini' di Bologna, è stato pubblicato dalla rivista scientifica Environmental Health. La ricerca, spiega lo stesso istituto emiliano in una nota, evidenzia come "l'esposizione ad erbicidi a base di glifosato ha causato diversi effetti sullo sviluppo e il sistema riproduttivo in ratti, sia maschi sia femmine, esposti a dosi attualmente considerate sicure negli Stati Uniti ossia 1.75 mg/Kg/die".
Nel dettaglio, all'esposizione alla sostanza sono stati associati "alcuni effetti androgeno-simili, incluso un aumento statisticamente significativo della distanza ano-genitale, sia nei maschi sia nelle femmine, oltre ad un ritardo nel primo estro ed un aumento del testosterone nelle femmine. La distanza tra ano e genitali - viene sottolineato - è un marker sensibile per le sostanze che agiscono come interferenti endocrini già a livello prenatale e sono in grado di alterare il normale sviluppo del feto". Lo studio, realizzato dal Ramazzini in collaborazione con l'Università di Bologna, l'Ospedale San Martino di Genova, l'Istituto Superiore di Sanità, l'Università di Copenhagen, L'Università Federale del Paranà, la Icahn School of Medicine at Mount Sinai di New York e la George Washington University, è in attesa di esser aggiornato attraverso una seconda ricerca finanziata con una campagna di crowdfunding.