Roma caput monnezza… La sfida a quattro nella Capitale dall’esito già scritto
Quasi sicuramente al ballottaggio andranno Michetti e Gualtieri, poi vincerà il secondo. La inutile corsa di Raggi e Calenda. Stavolta rischia di più la destra della sinistra

Come abbiamo già scritto, su queste pagine, alle prossime elezioni amministrative del 3/4 ottobre, per una volta, rischia di più la destra che la sinistra, la quale, anzi, è data in pole position. Il caporedattore Politico di Repubblica, Stefano Cappellini, proprio ieri notava che “da quando le amministrative sono diventate l'equivalente politico delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti - con la non trascurabile differenza che lì c'è una scadenza per ogni quadriennio, in Italia ogni anno si blocca per tre o quattro mesi l'attività parlamentare in attesa del responso locale - è una delle poche occasioni in cui la sinistra parte con un vantaggio di posizione”. Lo certificano anche i sondaggi Youtrend, pubblicati da Repubblica, che assegnano alla coalizione di centrosinistra, nei suoi diversi assetti, addirittura la possibilità di una vittoria in tutte e cinque le principali città al voto. “In particolare, appare difficile che il successo, al primo turno o al ballottaggio, possa sfuggire a Milano, Napoli e Bologna. Più aperte e imprevedibili – continua Cappellini - le sfide di Roma e Torino, f il Comune dove il centrodestra ha più possibilità di vittoria al secondo turno”.
Nella Capitale giochi raffinati, ma non troppo
“Ma nella Capitale i giochi sono complicati dalla corsa a quattro - il dem Roberto Gualtieri, il meloniano Enrico Michetti, la sindaca uscente Virginia Raggi e l'indipendente Carlo Calenda - che non garantisce ancora con certezza che il ballottaggio avvenga tra i candidati dei due poli tradizionali”, conclude sempre Cappellini. E da qui, con un ‘viaggio’ nelle principali città al voto che, su queste colonne, inizia proprio oggi, vogliamo cominciare a esaminare le maggiori sfide, e i principali sfidanti, in campo nelle città.
L’eccezione di Roma, la ‘eterna’ Capitale
Roma è una città ‘strana’. “Co’ sta’ scusa” – da pronunciare con inflessione marcatamente romanesca – che “è eterna” (vi è nata la Roma repubblicana e imperiale, la Roma dei Papi e poi dei Re, la Roma della Repubblica italiana, etc.), la Capitale d’Italia (legale, ma per nulla morale) pensa sempre possa permettersi di tutto e di più. I romani, come si sa, sono un popolo disincantato e che, difficilmente, si fa abbindolare dal ‘potente’ di turno, anche perché, appunto, è ‘abituata’ a veder sfilare, e a volte primeggiare, Cesari e imperatori, papi e re, presidenti della Repubblica e presidenti del Consiglio, dittatori e governanti ‘democratici’, leader politici o meno. Figurarsi i sindaci, detti anche ‘sinnaci’, che – dai mitici Ernesto Nathan, agli inizi del Novecento (radicale e massone nella città dei Papi…), fino ai comunisti Petroselli e Argan – Roma ha visto di tutti: sindaci mediocri, ladri, sfruttatori, ipocriti.
L’acqua del sinnaco… Roma è ingovernabile
A Roma, però, ci sono abituati: l’acqua delle famose ‘fontanelle’ – che qui si chiamano ‘nasoni’ - è detta, non a caso, “l’aqua (la ‘c’ non si pronuncia, ndr.) del sinnaco”, cioè l’acqua ‘a gratisse’: fa schifo, ma è gratis, quindi si può bere…. Insomma, a Roma – e ai romani – tutto è dovuto e, in questo, non c’è differenza tra quartieri del Centro (I Municipio) e quartieri delle periferie (per chi vive in centro sono, di fatto, tutti gli altri quartieri, qui detti Municipi, anche perché sono grandi come una città media) o tra zone in cui vive la ‘Roma bene’ (Parioli, Monti, Mazzini) e quelle in cui vive la Roma ‘male’ (Tufello, Primavalle, Talenti, san Basilio). I romani, e Roma, dunque, sono – rovesciando il senso recitato dall’antico brocardo: senatores probi viri, Senatus mala bestia – ‘teribili’: non gli va mai bene niente, figurarsi un sindaco/sinnaco. Governarli è impresa, di fatto, impossibile. Da tempo, e senza scherzare troppo, c’è chi dice che “ci vorrebbe un generale o un dittatore” per farlo, sempre che sia, ovvio, dotato di “poteri speciali”, anche perché la ‘nostalgia’ del ‘Cesare’ di turno (Imperatore, ‘papa-re’, ‘duce’ o altro che sia) non è mai scemata, di generazione in generazione.. Ahi loro, però, ‘pure’ a Roma tocca accontentarsi di sindaci ‘normali’, sottoposti alle ‘normali’ regole del gioco democratico. Una lunga teoria di sindaci, dagli inizi del Novecento, ha governato Roma e, quasi sempre, con figure non all’altezza della “città più bella del Mondo” (che non è più). Chi si ricorda, per dire, i sindaci della Dc e, poi, del pentapartito degli anni 50-60-70-80? Niuno, come si dice a Roma, se non per il fatto che sono stati loro i protagonisti del ‘sacco di Roma’ – non solo edilizio, ma sociale, culturale, penale - che, a un certo punto, indignò persino la Cei e la Chiesa che, sul punto, organizzarono un dotto – quanto inascoltato e dunque inutile - convegno.
Il ‘modello Roma’ di Bettini e i guai seguenti
Eppure, vi fu anche la ‘stagione d’oro’ dei sindaci alfieri del ‘modello Roma’. Un mix di cultura – popolare e ‘alta’, magniloquenza e strade pulite, furbizie e rinnovamento - ideato dal mentore di Zingaretti ieri e di Conte oggi, Goffredo Bettini (ex europarlamentare dem, oggi libero pensatore). I suoi ‘pupilli’, dal punto di vista politico, il verde Francesco Rutelli e il dem Walter Veltroni, negli anni Novanta, sono stati dei buoni sindaci, anche se – a loro volta – amici di troppi ‘palazzinari’, ma che almeno riportarono la città a passati splendori. Dopo è stato un ‘pianto’, come sindaci. Prima Gianni Alemanno (Msi-An), che festeggiava la vittoria a colpi di ‘saluti romani’ (fascisti) e poi è finito dentro Mafia Capitale (assolto, in parte). Poi Ignazio Marino, il sindaco ‘chirurgo’ del Pd che tutto ha saputo ‘operare’ e risolvere tranne che i mali di Roma (defenestrato dal suo stesso partito). E poi, ancora, la sindaca oggi uscente, Virginia Raggi. Elevata alla carica di primo cittadino a furor di popolo – non solo del M5s - acclamante e adorante, oggi viene accusata di tutto: cinghiali e piccioni, ratti e sporcizia, alberi tagliati (male) e sampietrini divelti, rifiuti abbandonati per strada (e mai o mal smaltiti).
La Raggi, ormai odiata da Roma, rin-corre
Dunque, la Raggi non ha alcuna chanche di ottenere un secondo mandato, ma corre lo stesso, testarda e tetragona, nonostante l’abbiano abbandonata tutti: i tassisti, i commercianti, gli imprenditori, il ‘popolino’ come il ‘generone’ romano e, financo, il suo partito, quel M5s in rotta ormai ovunque, nelle grandi città come nelle piccole, che – con il nuovo leader, Giuseppe Conte – avrebbe assai più preferito un accordo col Pd, pure nella Capitale, ma che ha dovuto subire, obtorto collo, la ricandidatura della Raggi. La quale, peraltro, è stata da poco assurta, a furor di popolo (solo grillino, stavolta) a ‘membra’ del nuovo Comitato di garanzia che sovraintenderà alla vita e alla morte del nuovo M5s, con tanto di potere di ‘revoca’ del capo politico e del Garante. Sarà ricordata come la sindaca di ‘Spelacchio’ (l’orrendo abito piantato davanti al monumento al Milite Ignoto, noto a Roma come ‘la macchina da scrivere’), e come quella che non ha voluto le Olimpiadi, Raggi, e poco più, ma lei ci riprova.
“L’ultima Di Battista” la chiamano nel M5s
“Sottovoce – racconta Annalisa Cuzzocrea, sempre su Repubblica - il Movimento la chiama ‘l'ultima Di Battista’. Virginia Raggi incarna il volto, ormai lontano nel tempo, dell'ortodossia grillina - basti pensare alle dichiarazioni ‘ni vax’ fatte in piena campagna elettorale (“Ho preso il Covid, e il mio medico mi sconsiglia di fare il vaccino”) - pur essendo, tra i 5 Stelle, una delle prime ad aver avuto responsabilità amministrative importanti. Ha vinto Roma, più di cinque anni fa, per un'intuizione di Gianroberto Casaleggio, che in mezzo ai quattro consiglieri comunali uscenti scelse lei. Il provino fu un rapido passaggio tv a In mezz'ora (Rai 3), da Lucia Annunziata, dove l'avvocata travolse i suoi competitor di allora - Marcello De Vito, Enrico Stefàno e Daniele Frongia - per piglio, parlantina e fotogenia. Da allora, una cosa non è mai cambiata: è forte sui social e in tv, ma debole nella gestione della città e della squadra chiamata a governarla. “Non serve – sottolinea la Cuzzocrea - ricordare la girandola folle degli assessorati, la fine di ogni amicizia con gli ex compagni consiglieri, la maggioranza sempre in bilico per gli abbandoni, le mille promesse fatte e mai mantenute, etc.
Detestata a Roma, amata dentro i 5Stelle
E così, anche se, tra gli abitanti di Roma Capitale, nessuno la vuole più, di nuovo, ‘sinnaca’, il voto per il comitato di garanzia sulla nuova piattaforma M5S dice, ancora una volta, che Raggi è la più amata (prima con, molto dietro, sia Roberto Fico che Luigi Di Maio). Il Movimento d'antan - non è un caso che Raggi fosse nella rosa di nomi scelta da Grillo, non in quella di Conte - veda in lei una beniamina, osannata nelle kermesse a 5 stelle, difesa sui social da chiunque osi discuterne le qualità (sic). Ed è con Di Battista che la Raggi sta conducendo interi pezzi di campagna elettorale con una delle cinque liste nate in suo sostegno, quella ecologista, preparate con cura quando ancora Conte non aveva sciolto la riserva decidendo se appoggiarne la corsa o convergere con il Pd.
La campagna social “31 giorni con Virginia”
Avrebbe corso da sola, Virginia Raggi, e non ha mancato di farlo capire. “Ci sta usando come un ultimo treno”, dice chi nei 5 stelle non la ama. L'appoggio di Grillo, però, le permette di ambire a qualcosa di più. A livello nazionale, il consenso alimentato dalle sue pagine social è altissimo e – nota sempre la Cuzzocrea - rivaleggia con quello dell'ex premier (imperdibili i “31 giorni con Virginia” curati dal marito Andrea Severini, che la mostra in pigiama o ai fornelli). Ma Conte di lei non si fida, tanto che – si racconta – vede con favore al ruolo di Raggi nel comitato dei garanti così non deve affidare posizioni di guida nel M5s.
Il rapporto con Grillo e quello con Di Maio
Del resto, il gruppo residuo degli ortodossi M5S vede proprio nella sindaca di Roma una delle possibili alternative all'Avvocato del Popolo, soprattutto se non dovesse sopravvivere l'asse col Pd e, nei 5 Stelle, ricominciasse un'altra storia. Il rapporto con Grillo, il Fondatore - in questo - è dirimente, anche se non è sempre stato idilliaco. A dicembre del 2016, nei giorni della crisi della giunta romana per i guai giudiziari del braccio destro di Raggi, Raffaele Marra, Grillo aveva già deciso di toglierle il simbolo. Fu Di Maio, allora, l'unico esponente del Direttorio a schierarsi con lei, di più anche di Di Battista, convinto che lasciare la guida di Roma sarebbe stata per i 5 stelle un'ammissione di impotenza che avrebbe travolto tutto. “Così Raggi resiste e recupera il rapporto con Grillo mese dopo mese”, spiega Repubblica, “fino a quest'estate, quando in mezzo all'inaspettato duello tra i due leader la sindaca non si schiera, come altri, ma manda a dire al Garante: ‘Ti voglio bene, sono con te’. Così, adesso che i sondaggi la vedono terza, se non quarta, nelle chat interne Virginia Raggi fa notare solo che risale, lei e Carlo Calenda.
Il ‘nemico’ di Raggi e Calenda è Gualtieri
Il nemico di sempre - durissimi gli scontri quando Calenda era ministro dello Sviluppo - che ora con lei scherza su Twitter in nome di un obiettivo comune: indebolire il candidato del Pd Roberto Gualtieri: è lui l'avversario perché è il più accreditato ad andare al ballottaggio con lo sfuggente candidato del centrodestra Michetti.
Il dilemma di Calenda
L’ex ministro allo Sviluppo economico, molto criticato per i suoi indubbi appoggi nel ceto della ‘Roma bene’, ma anche per una lunghissima lista di finanziatori (tutti imprenditori danarosi) alla sua mini-‘creatura’, Azione civile, come alla sua discesa in campo per la carica di sindaco (è stato il primo a farlo, ha girato tutti i quartieri, pure quelli dell’estrema periferia romana), molto preso per i fondelli per la sua appartenenza alla ‘Roma radical chic’ (figlio della regista Cristina Comencini, ha fatto tutte le scuole ‘giuste’ e ha tutte le amicizie ‘giuste’, e neppure da oggi…), in realtà sarebbe il candidato migliore non solo per i romani che, d’estate, ‘svernano’ a Capalbio e per la Roma ‘pariolina’, ma anche per programmi, proposte, idee e una forza empatica che Calenda – assai antipatico di suo, come persona, come spesso dimostra sui social, dove pure è ‘forte’ – ha saputo trovare con un ‘popolo’ difficile come quello romano. Ma la forza dei partiti, volente o nolente, s’impone. Calenda non gode della – piccola ma rodata – ‘macchina da guerra’ del fu Pci-Pds-Ds-Pd, non ha l’appoggio della macchina burocratica e amministrativa capitolina, legata – nel bene e nel male – al sindaco in carica, chi sia sia, Raggi compresa – e non può sfruttare il ‘vento’ nazionale di un centrodestra che, pur schierando un candidato ridicolo e inascoltabile, come Michetti, parte però da uno ‘zoccolo duro’, nei consensi, che sfiora almeno il 40%. Rischia, dunque, di arrivare buon quarto, anche se Roma, amministrata da lui, potrebbe forse trovare l’onore e l’orgoglio perduto ormai da decenni.
Michetti, il candidato di destra che ‘non c’è’
D’altra parte, il centrodestra – forte, nei sondaggi, del 47-50% a livello nazionale e del 40% a Roma – ha combinato un disastro assoluto, scegliendo – per espressa volontà della Meloni, pur nella contrarietà di Forza Italia e anche della Lega – il candidato peggiore sulla piazza. Enrico Michetti, avvocato tributarista che si fa lirico e compunto quando parla della “Roma dei Cesari e degli Augusti”, è diventato una macchietta nel volgere di due mesi, cioè da quando è sceso in campo. Impreparato, goffo, nervoso, scappa da ogni confronto pubblico con i suoi competitor, si rifugia solo in iniziative ‘protette’ dal ‘cordone sanitario’ che gli uomini di FdI gli hanno imposto per limitare, almeno, i danni, e si produce in dichiarazioni che, se non fossero ridicole e imbarazzanti, sarebbero preoccupanti per la loro disarmante pochezza. Non a caso, tutti i sondaggi lo danno perdente con chiunque, al ballottaggio, tranne che con la Raggi, che in ogni caso non vi arriverà mai, il che è tutto dire… Morale, il centrodestra ha perso la sua occasione per amministrare Roma e difficilmente ritornerà, tra cinque anni, in condizioni così favorevoli, anche se i maligni sostengono che la Meloni la città di Roma voglia ‘perderla’, e non vincerla. Una città, di fatto, ingovernabile, e dal debito astronomico, che ancora aspetta una legge ad hoc per ripianarlo, sarebbe solo una palla al piede per chi, come lei, aspira a governare presto l’Italia.
Il candidato impacciato, ma forte, Gualtieri
Non resta, dunque, che l’ex ministro al Mef del Conte 2, quel Roberto Gualtieri che sarà anche bravo a suonare la chitarra, sarà anche capace a maneggiare bilanci pubblici come libri di storia (materia della quale è professore e cultore), ma che è legnoso, timido e impacciato come pochi. Tutto il contrario dei ‘piacioni’ Rutelli e Veltroni che, con i media e con l’opinione pubblica, invece, ci sapevano fare eccome, tanto che sono ricordati come ‘ottimi’ sindaci anche, forse, al di là dei loro – indubbi – meriti di amministratori. Non resta, dunque, che Gualtieri, sostenuto da un centrosinistra assai scalcagnato, ma che ancora, almeno a Roma, sembra ‘in salute’, sia alla sua destra (l’ala moderata e civica di Sant’Egidio) che alla sua sinistra (le liste ecologiste e di sinistra). Insomma, volenti o nolenti, anche i romani che, al primo turno, andranno a votare per Calenda e, almeno in parte, pure quelli che invece andranno a votare per la Raggi, al ballottaggio finiranno per votare per il ‘male minore’, cioè Gualtieri, stracciando, al fotofinish il ‘tribuno’ Michetti. Una sorta di buon amministratore di condominio, Gualtieri: non scalda i cuori – neppure Letta lo voleva, ma Zingaretti, eterno candidato a sindaco di Roma del centrosinistra ha rinunciato pure stavolta e difficilmente ci sarà la prossima – ma che potrebbe, alla fine, spuntarla. Certo, più per i demeriti altrui che per meriti suoi, ma tant’è.
Il dilemma M5s: chi appoggiare al ballottaggio
E poi Gualtieri è anche colui che, in caso arrivi al secondo turno, la sindaca dovrebbe appoggiare. Questi sono i taciti patti stretti tra Pd e 5 stelle, messi in crisi dagli attacchi sempre più duri della Raggi all'ex ministro dell'Economia del governo Conte, quel Conte che, se Gualtieri vincesse, aspira a ereditarne il collegio ‘sicuro’ di Roma 1, che si libererebbe, per andare anche lui dentro il Parlamento, come farà Letta con le supplettive, e partecipare così al grande gioco del Quirinale. Di secondo turno non vuole neanche sentir parlare, oggi, ovvio, la Raggi, ma se i sondaggi si confermeranno giusti, anche per la paladina degli ortodossi tutto cambierà. E dovrà scegliere se seguire la strada di Conte o dargli battaglia, il che però, rebus sic stantibus, è assai difficile accada. Ecco perché, nonostante una sfida serrata, ma per nulla avvincente, almeno agli occhi dei romani, il prossimo sindaco di Roma si chiamerà Gualtieri.
I sondaggi di You trend e anche tutti gli altri
Enrico Michetti, il tribuno radiofonico del centrodestra, primo con il 31% delle preferenze. A seguire Roberto Gualtieri, candidato del centrosinistra, secondo con il 27% dei voti. Quindi la grillina Virginia Raggi al 19,1% e Carlo Calenda al 18,9%, di fatto appaiati al terzo posto. I risultati del sondaggio che il gruppo Gedi ha commissionato a YouTrend per le Comunali del 3 e 4 ottobre propongono ai romani un ballottaggio all'insegna del vecchio bipolarismo: Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia da una parte, il Pd e la sinistra dall'altra. Fuori dai giochi il Movimento 5 Stelle e il progetto civico del leader di Azione civile, anche se gli esclusi sperano ancora: il 44,1% degli 802 intervistati spiega di essere indeciso, di non saper ancora per chi voterà, oppure di non volersi presenterà alle urne. “C'è un'area grigia importante - spiega Lorenzo Pregliasco, direttore di YouTrend - e di solito il 10% degli elettori decide per chi votare soltanto l'ultimo giorno. In ogni caso è improbabile pensare a un ballottaggio diverso di quello tra Michetti e Gualtieri. La forbice tra il dem e chi lo insegue non mette l'ex ministro del Tesoro del tutto al riparo, ma immaginare clamorosi stravolgimenti è difficile. Gli elettori vanno pur sempre mobilitati e la campagna elettorale fin qui è sembrata molto sottotono”.
Proprio come la prestazione di Michetti, che sta 6 punti sotto rispetto al centrodestra: la coalizione che lo supporta è data al 36,9%. Anche Gualtieri va sotto di 2,6 punti rispetto al centrosinistra, che raggiunge quota 29,6%. La differenza tra i due finisce nel bottino dei voti a Raggi e Calenda. La Raggi, sotto i riflettori da cinque anni, invece corre più veloce della sua coalizione: il Movimento e le sei liste civiche della sindaca uscente si attestano al 16%. Il leader di Azione prende 6,7 punti in più rispetto alla sua civica. Uno sforzo che, però, non dovrebbe comunque valere l'approdo al secondo turno per nessuno dei due. In caso di ballottaggio, cioè sfida a due tra Gualtieri e Michetti, il deputato dem vincerebbe con il 58,5% delle preferenze. Calenda batterebbe l'uomo del centrodestra col 61,6% dei voti. Per il tribuno di Giorgia Meloni l'unica sfida alla portata è con Raggi, da cui uscirebbe vittorioso conquistando il 53,9% degli elettori.
Il peso dei partiti nelle Comunali per Roma
Ma facciamo un passo indietro. Tornando al primo turno, ai romani che hanno partecipato alla rilevazione di You trend, è stato anche chiesto di indicare il partito per cui voteranno. La prima forza a Roma risulta essere il Pd con il 21.9% dei voti. Seguono Fratelli d'Italia (18,3%), M5S (13,4%), la lista di Calenda (12,2%), Lega (10,7%) e Forza Italia (4.9%). E pure questa, del Pd primo partito a Roma, in una città storicamente, culturalmente e socialmente ‘di destra’ – in romano ‘de destra’ - sarebbe uno scenario inedito tutto da ‘gustare’…