[Il retroscena] Cosa c'è dietro il bacio dei piedi di Papa Francesco e il giallo degli appunti di Ratzinger sulla pedofilia
Baciare i piedi a due leader africani per spingerli a fare una pace difficile ha suscitato analoghe critiche dell’intervento di Ratzinger sulla pedofilia nella Chiesa. Un testo che pone molte domande compresa quella se lo abbia davvero scritto lui
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Non si è parlato a sufficienza di un gesto storicamente raro, fuori dal comune nella storia del papato come è stato il baciare i piedi da parte di Francesco a due autorità civili da cui dipende la pace nel Sud Sudan. Si è sollevato subitaneo clamore intorno a un intervento di Benedetto XVI, papa emerito, sugli scandali della pedofilia nella Chiesa. Questo intervento che in realtà è stato pubblicato dalla rivista tedesca Klerusblatt come veri e propri “appunti” di Ratzinger sulla scottante questione diffusi come contributo al dibattito in corso nella Chiesa. I due fatti: il bacio di Francesco e testo di Benedetto. Di valenza diversa che indicano due modi di servire la Chiesa e rappresentarla nell’attuale contesto mondiale. L’efficacia del bacio non è stata considerata abbastanza sui media mondiali, mentre sono ormai tantissimi commenti, riflessioni, prese di posizione sul testo di Ratzinger. In realtà se il testo sulla pedofilia dei preti fosse davvero di Benedetto XVI anziché di qualche zelante per rinfocolare la critica a Bergoglio sarebbe una visione nota e cara al teologo Ratzinger e da lui riproposta in buona parte anche come successore di Pietro. Un punto di vista con na sensibilità diversa da Francesco ma non in contrapposizione a Francesco come la conclusione del testo lascia intendere intermini indiscutibili. Il bacio poteva avvenire solo nel modo di intendere la Chiesa scaturita dal concilio Vaticano II e che Francesco spinge in ogni modo per accreditarla nel mondo cristiano.

Ma la strumentalizzazione dell’intervento a sorpresa di Benedetto da parte dell’ala conservatrice e tradizionalista della Chiesa come arma da puntare contro Francesco oppure da usare per indicare i limiti oggettivi di un’analisi sul ’68 da parte dei progressisti, sempre lo stesso volto ha: strumentalizzazione di una iniziativa che è apparsa da subito circondata da inquietanti interrogativi. E’ ormai nota la resistenza che a diversi livelli si registra nei confronti di Bergoglio e ai faciloni della destra ecclesiastica non è parso vero arruolare Ratzinger nelle loro fila. In realtà quello di Ratzinger solo in apparenza appare una cosa semplice. Sono infatti più gli interrogativi che suscita che le idee nuove che propone. Lo ha colto e riassunto bene un autorevole pensionato giornalista che è stato a suo tempo autorevole vaticanista.
«È stato davvero Ratzinger a scrivere quel saggio? Ce n'era davvero bisogno?» si chiede infatti Gianfranco Svidercoschi attuale decanodei vaticanisti italiani, dopo aver letto il documento firmato dal Papa emerito. La domanda è “ovviamente legata alle precarie condizioni di salute, salute non solo fisica, di Joseph Ratzinger: Ma è stato davvero Benedetto XVI l’autore materiale del lunghissimo testo?
E, se qualcuno potrà rispondere credibilmente di sì, allora bisognerà porsi una seconda domanda: Ma perché lo ha fatto? Perché non si è limitato a trasmettere questi “appunti” a papa Francesco? Il fatto che ne siano stati informati – così è stato detto – sia il segretario di Stato, Parolin, sia lo stesso Francesco, non attenua in nulla la gravità di un gesto che, venuto dopo il summit sulla pedofilia, sarà inevitabilmente interpretato come una critica alle conclusioni del vertice vaticano, se non come un attacco a Francesco. Oltretutto, a scorrere lo scritto ratzingeriano, non c’è dentro una sola idea nuova, non una sola proposta, sulla tragedia che sta scuotendo la comunità cattolica”.
Il dubbio del giornalista non è solo di Svidercoschi. Anche figure di primo piano che hanno collaborato con Benedetto XVI si fanno la medesima domanda e stanno cercando di capire la genesi dello scritto prima di affermare che si tratta di una nova spruzzatina di veleni che hanno amareggiato il suo pontificato. Una cosa è certa: l’autore in persona non vorrebbe mai che un suo scritto potesse servire da clava verso il papa gesuita con il quale c’è un legame specialissimo e reciproca stima. Diversi ecclesiastici che si sono pronunciati in merito non hanno ancora neppure letto il testo integrale del papa emerito. Cadendo con i giorni il polverone si potrà avere un quadro più obiettivo. Resterà, invece, la meraviglia per il bacio di Bergoglio che ha scandalizzato molti cattolici vecchio stampo ma -cosa ancor più grave – che non ha bucato la grande stampa internazionale e ancor meno quella nostrana. Sarebbe stato invece, con i tempi che corrono ostili alla solidarietà e ai principi di libertà eguaglianza e fraternità tipici della rivoluzione francese, e alla vigilia di importantissime elezioni per il futuro dell’Europa, dibattere sul simbolo di un bacio ai piedi di due leader africani che si sono combattuti e ora stanno cercando una piattaforma di pace per stabilizzare il Sud Sudan.
Il Papa ha accompagnato questo segno con una supplica accorata: “E a voi tre, che avete firmato l’Accordo di pace, vi chiedo come fratello, rimanete nella pace. Ve lo chiedo con il cuore. Andiamo avanti. Ci saranno tanti problemi, ma non spaventatevi, andate avanti, risolvete i problemi. Voi avete avviato un processo: che finisca bene. Ci saranno lotte fra voi due: sì. Anche queste siano dentro l’ufficio; davanti al popolo, le mani unite. Così da semplici cittadini diventerete padri della Nazione. Permettetemi di chiederlo con il cuore, con i miei sentimenti più profondi”.
Bergoglio, come al solito, rovescia i luoghi comuni: la pace non si fa escludendo, ma accogliendo perché non possibile vivere e fare pace partendo dalla discriminante applicata ormai quasi comunemente agli immigrati africani che non tutti gli uomini sono rivestiti di pari dignità. E non si fa pace escludendo e respingendo quanti sono nel bisogno a prescindere dal colore della pelle e dell’etnia. Ma solo servendo chi ha meno si ottiene un mondo giusto e quindi garante di pace. Nella logica del Vangelo “regnare è servire”. E quando finalmente un papa serve anziché regnare viene subissato da critiche o indifferenza, mentre la critica dovrebbe riguardare secoli e secoli in cui c’è stata commistione tra regnare e servire da parte della Chiesa. Francesco riposiziona la Chiesa nel servizio, nel lavare i piedi e baciarli come avviene il giovedì santo. Tutto si potrà dire ma non che non abbia offerto un gesto evangelico. Senza l’umiltà nessun Dio sarebbe morto per l’uomo associandolo alla sua risurrezione. Il papa spinge l’intera chiesa a imitare nel nostro tempo Francesco, il poverello di Assisi di cui non a caso o per vanità ha preso il nome. La strada di Francesco è la strada della Chiesa per riuscire a interloquire la presente umanità.