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Meloni e le riforme che scottano: il no di Schlein e M5S e il "modello italiano"

Primo giro di consultazioni molto acceso sull'idea di riforma in senso presidenziale che ha in mentre la premier. D'accordo solo i centristi

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
Elly Schlein, leader del Pd, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (montaggio da foto Shutterstock)
Elly Schlein, leader del Pd, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (montaggio da foto Shutterstock)

La cornice, a volte, fa il quadro. Lo schieramento dei maggiorenti del governo che ricevano le forze di opposizione nel giro di tavolo sulle riforme istituzionali sembra quello delle consultazioni – formalissime – per la formazione di un governo. Palazzo Montecitorio, sala importante, vetusta di gloria, delegazioni al massimo livello (capigruppo e leader politici), giornalisti in attesa fino a tarda sera per le dichiarazioni finali. Insomma, sembra che novità eclatanti debbano uscire, a ore se non a momenti, dal tavolo. Invece, si tratta solo di un primo approccio. I giochi sono appena iniziati, la trattativa sarà lunga e complessa: ci vorranno anni – come minimo – per venirne a capo, sulle riforme istituzionali (come sempre è, d’altronde), e chissà se stavolta ci si riuscirà, ma la cornice sembra quella delle grandi occasioni forse perché si vuole dare il senso della grande impresa cui il governo si accinge a mettere mano. La giornata è lunga e complessa, le delegazioni sfilano una via l’altra, trovare un ‘filo rosso’ è complicato, meglio riavvolgere il nastro.

Riforme: le tre ipotesi del governo. La scheda

Le idee e il metodo della Meloni e il colloquio con Conte

Prima prendiamo la scena dal lato maggioranza. Nessun testo, dalla Meloni, ma tre possibili scenari su cui sondare le opposizioni che da ieri mattina la premier ha incontrato alla Camera: presidenzialismo, semipresidenzialismo e premierato le tre opzioni su cui la premier chiede alle opposizioni di lavorare. Ma la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nelle 'consultazioni' che ha tenuto con i gruppi parlamentari, ha anche ribadito che è sua intenzione affrontare il capitolo delle Riforme istituzionali partendo dal presupposto che la priorità è quella di avere un 'collegamento' tra il voto dei cittadini e il governo e che c'è tutta l'intenzione di fare riforme condivise ma che non accetterà dei no pregiudiziali. In questo senso, la premier ha anche fatto sapere che valuterà la proposta avanzata dal Movimento5stelle di una commissione ad hoc. E proprio dall’incontro con la delegazione del M5s, che all’ultimo momento ha schierato al tavolo il suo presidente, ed ex premier, Giuseppe Conte, facendo stravolgere orario e calendario (degli altri) sono arrivate le principali novità in merito.

Il dialogo va avanti a singhiozzo: le carte della premier

In sintesi, la premier ha messo sul tavolo i tre modelli possibili di riforme costituzionali (presidenzialismo, semi presidenzialismo o premierato), si è detta disponibile a considerare le proposte in campo e anche lo strumento per arrivarci con un unico paletto, "no a intenti dilatori". Pure la possibilità di una commissione ad hoc - proposta rilanciata dal presidente M5s Conte (l'idea è di una commissione che agisca in sede referente) ma non sostenuta dal Pd - non viene scartata a priori, anche se la premessa è che la sede propria per una discussione "esiste già ed è il Parlamento, è la Commissione affari costituzionali, che questo lavoro fa e ha sempre fatto" ha rimarcato la premier. Meloni, dunque, rilancia la necessità di assicurare al Paese stabilità e governabilità. Poi, in serata, tira le somme: "Colgo timidi segnali di apertura" sul modello dell'elezione diretta del premier, "li terremo in considerazione", è il sistema che ha riscontrato "la minor opposizione", dice in serata, davanti ai giornalisti.

Ed ancora: "Il dialogo è stato molto aperto, franco, ma anche collaborativo", si cercherà "una maggioranza più ampia possibile ma non a costo di venire meno agli impegni con i cittadini". "E' stata una giornata proficua", il bilancio del presidente del Consiglio che tra le "posizioni variegate" dell'opposizione riscontra la possibilità di andare avanti "per rimettere la sovranità ai cittadini" senza cedere sull'autonomia ("Il pacchetto è unico"). "Ora formuleremo una proposta", afferma. Il presidente del Consiglio ha ascoltato dalle 12,30 fino a tarda sera le osservazioni delle forze politiche che non sostengono l'esecutivo. Clima rispettoso (così viene definito) con Conte che si è detto contrario al criterio dell'elezione diretta ma - sottolinea una fonte di governo - non ha chiuso la porta. La vera sponda è arrivata dal Terzo polo, con Calenda che ha annunciato l'intenzione di collaborare, escludendo la strada dell'Aventino. Ed è un segnale che l'esecutivo aspettava, del resto la premier ha sottolineato che gli incontri sono stati organizzati proprio per cercare convergenze su uno dei tre modelli illustrati al tavolo.

Il tavolo e il modello di dialogo seguito

Al tavolo con le opposizioni è stato il presidente del Consiglio ad intervenire per il governo, con il ministro delle Riforme Casellati ("Al lavoro per un'Italia più stabile, più competitiva, più vicina ai cittadini. Riformare l'Italia si può, noi ci crediamo", ha scritto su la ministra su Twitter) che ha replicato alle osservazioni in diverse occasioni per avallare il criterio dell'elezione diretta. Non sono intervenuti i vicepremier Tajani e Salvini, che però ha poi rimarcato: "E' nostro dovere ascoltare tutti, ma poi decidere. Dare la possibilità ai cittadini di eleggere un governo e una maggioranza di governo senza cambi di casacca e di poltrone, insieme all'autonomia, renderà l'Italia un Paese più efficiente".

La posizione della Lega e il nodo autonomia

Forza Italia è a favore del premierato e anche il ministro per i Trasporti e le Infrastrutture nei giorni scorsi ha detto che non c'è un modello prestabilito su cui puntare. Il capogruppo della Lega Molinari ha ricordato che nel programma del centrodestra si parla di elezione diretta del presidente della Repubblica, "se si vuole virare sull'elezione diretta del premier ci devono essere garanzie sul ruolo del Parlamento".

La tesi - osserva un altro 'big' leghista – è che il Parlamento non deve essere trasformato "in un consiglio comunale" e che c'è il rischio di un eccessivo accentramento di potere in campo al premier. Dietro le quinte si monitora anche l'iter dell'autonomia, con Calderoli che oggi ha insediato il Comitato Lep, composto da 61 esperti. Proprio il ministro per gli Affari regionali, insieme ai capigruppo della Lega, la scorsa settimana ha avuto un incontro informale con il ministro Casellati. "Nessun rischio di svuotamento del Parlamento", dicono in Fratelli d'Italia. Garanzie in questo senso sarebbero state fornite anche dal presidente del Consiglio. Fdi punta a 'livellare' l'iter delle riforme costituzionali con quello dell'autonomia e il governo ha già pronto anche un provvedimento su Roma capitale. Ora, dopo il giro di tavolo con le opposizioni, i fari sono puntati sulla tempistica sulle riforme. La ministra Casellati ha indicato in fine giugno la 'dead-line', annunciando di voler presentare un ddl in Consiglio dei ministri.

I futuri appuntamenti e il segnale del governo

Il prossimo appuntamento sulle riforme è per il 17 maggio: mercoledì prossimo ci sarà un convegno nel Parlamento del Cnel che sarà aperto dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Mantovano (parteciperà anche il ministro Casellati) cui parteciperanno molti costituzionalisti anche per dare un segnale sul premierato. Il messaggio che il presidente del Consiglio ha voluto mandare è innanzitutto sul metodo: non ci siano atteggiamenti pregiudiziali, l'approccio del governo è cercare un dialogo, "provare a vedere se ci sono punti di contatto e se siamo d'accordo con gli obiettivi", ovvero "lavorare per costruire un sistema che garantisca rispetto della volontà popolare e stabilità di governo".

Ed ancora: "Non è detto che l'Italia non possa immaginare un suo modello, ne avremmo diritto e ne possiamo inventare anche uno migliore. L'importante che ci sia un collegamento il più possibile diretto fra le indicazioni di voto e il governo un collegamento soprattutto con i programmi che i cittadini hanno votato". Già tramontata l'opzione Bicamerale? Il ragionamento è questo: bene il confronto, "ma - e lo ha chiarito anche il ministro Lollobrigida ieri - se ci fossero forze che vanno pregiudizialmente in senso opposto, magari solo per ragioni strumentali, noi proveremo ad andare avanti lo stesso".

Le risposte delle opposizioni: un ‘no’ corale. Aperture dai centristi

Il problema sono le risposte delle opposizioni. In pratica, si tratta di un coro di ‘no’, con una (timida) apertura del Terzo Polo sul premierato, che però già bisticcia al suo interno: all’incontro si presenta in formato unitario, tra Azione e Iv, ma poi Calenda propone un coordinamento tra le opposizioni mentre la Boschi nega di volerlo fare.

Tolto il presidenzialismo dove il no è da 'campo larghissimo', la giornata di 'consultazioni' convocate da Giorgia Meloni conferma però anche che l'opposizione non ha una posizione unitaria sulle riforme. E certifica la 'sponda' di Azione e Italia Viva sull'ipotesi del premierato, "l'indicazione del premier sul modello Sindaco d'Italia". I centristi si smarcano dal resto della minoranza attestata, dal Pd ai 5 Stelle passando per Verdi-Sinistra e Più Europa, sul no a qualunque modello che preveda l'elezione diretta, che sia del premier o del presidente della Repubblica. Il Pd di Elly Schlein e i 5 Stelle di Giuseppe Conte 'contropropongono', come soluzione all'instabilità dei governi, il rafforzamento dei poteri del premier. E Schlein ci aggiunge anche il cambio della legge elettorale: basta liste bloccate dice in un'intervista tv mentre è in corso l'incontro con Meloni alla Camera. Vediamo, dunque, le posizioni dei vari partiti, ma per ragioni di spazio ci limiteremo ai maggiori.

No M5s-Pd a elezione diretta, Terzo polo apre

Nessuna novità, si registra, a dirla tutta, rispetto alla vigilia. Fatta eccezione per l'ex Terzo polo (che però 'litiga' sul coordinamento delle forze di minoranza), le opposizioni respingono al mittente qualsiasi ipotesi di elezione diretta del presidente della Repubblica o del premier. Unica apertura possibile che M5s, Pd e Più Europa sono disposti a concedere al governo è un premierato alla tedesca, quindi senza elezione diretta del presidente del Consiglio, al quale però si possono attribuire più poteri. Il canovaccio dei faccia a faccia voluti da Giorgia Meloni con le opposizioni si articola come previsto: la premier ribadisce la disponibilità al dialogo, purché il confronto non si tramuti in pantano, mettendo in chiaro che governo e maggioranza sono pronti anche a proseguire il cammino delle riforme da soli. Che poi davvero soli non sarebbero, visto che Azione e Italia viva dicono sì all'elezione diretta del premier, sul modello del Sindaco d'Italia, anche se il supporto degli ex terzopolisti non sarebbe sufficiente ad evitare il referendum, che scatta come prevede la Costituzione qualora le riforme non vengano approvate da almeno i due terzi del Parlamento.

Quasi tutte le opposizioni, dunque (M5s, Pd e Più Europa), confermano il loro no netto al presidenzialismo, sia esso puro o 'semi' alla francese. E non decolla (per la verità l'ipotesi non affascina nemmeno la premier) l'opzione bicamerale o commissione ad hoc, proposta dal leader pentastellato Giuseppe Conte. Piuttosto, tutti (ad eccezione dei renziani, che tengono subito a precisare che "Calenda parla per Azione") i leader delle forze di minoranza si dicono pronti a dar vita a un coordinamento o confronto tra di loro proprio sul tema delle riforme. Ancor più drastica la posizione di Verdi e Sinistra: le priorità del Paese sono altre (dalla disoccupazione alla crisi sociale e climatica), non le riforme della Carta che, anzi, va difesa così come "va tutelato il ruolo di garanzia del Capo dello Stato", punto su cui tutte le opposizioni concordano ("il Capo dello Stato non si tocca", il refrain). Dunque, scandiscono in coro Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, "siamo indisponibili a qualsiasi ipotesi di elezione diretta" cosi' come al rafforzamento dei poteri del premier, "casomai va rafforzato il ruolo del Parlamento".

L'apertura delle "danze"

Come si diceva, Meloni apre e guida le 'danze' a Montecitorio, accompagnata dai due vicepremier, dal titolare delle riforme Elisabetta Casellati e dei Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani e dai due sottosegretari Mantovano e Fazzolari. Gli incontri si aprono con la delegazione dei 5 stelle, anticipo della tabella di marcia per consentire al leader Giuseppe Conte di essere presente. E così sarà.

Ed è per primo a Conte che Meloni spiega il suo pensiero: la premier ricorda di avere ricevuto dagli elettori un mandato a fare le riforme. Quindi, apertura e disponibilità al dialogo, ribadisce, ma pronta ad andare avanti anche da sola se non si riuscirà a trovare una sintesi. Come preannunciato, la premier non mette sul tavolo dei suoi interlocutori una proposta definitiva, perché prima il suo intento è quello di ascoltare e verificare se c'è la possibilità di una convergenza. Meloni delinea il perimetro di intervento: presidenzialismo puro, semipresidenzialismo alla francese o elezione diretta del premier. Ma si dice anche "disponibile a cambiare schema", ovvero un modello italiano. Quello dell’elezione diretta del premier, dotato poi di poteri molto ampi.

Fine primo round

La lunga giornata si chiude con l'atteso primo faccia a faccia tra la premier e la segreteria Pd Elly Schlein. E, anche in questo caso, nessuno stravolgimento rispetto alle premesse: "A noi interessa la qualità e il perimetro del confronto, perché se hanno già deciso come va a finire, non è un vero confronto", anticipa la leader dem al Tg3, ribadendo la difficoltà a dialogare sulle riforme finché in campo resta l'autonomia differenziata, osteggiata dal Pd. No a premierato, sindaco d'Italia o presidenzialismo che sia, insiste Schlein. Sì alla modifica della legge elettorale e disponibilità a riforme per "rendere più efficienti le istituzioni e rafforzare la stabilità". Stesso ragionamento fatto da Conte, che osserva: "Non sono emerse soluzioni condivise". E chiede a Meloni di "non procedere a colpi di maggioranza".

Le riforme che bruciano

Ma se la Meloni, in serata, chiosa, "L'elezione diretta del premier è l'ipotesi con minore opposizione”, la battuta a lei della Schlein (“e allora perché no alla monarchia illuminata?”) la dice lunga. Sul percorso accidentato delle riforme costituzionali, i voti del Pd, M5s e +Europa non ci saranno mai, anche con la soluzione del ‘modello italiano’ (premierato forte a elezione diretta), quindi al massimo il centrodestra dovrà e potrà fare le riforme con il Terzo Polo che però non basterà, in Parlamento, per evitare un eventuale referendum confermativo – gli stessi che Berlusconi nel 2006 e Renzi nel 2015 persero. La Meloni spera di avere maggior fortuna, ma spesso con le riforme ci si brucia.

Ettore Maria Colombodi Ettore Maria Colombo   
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