[La polemica] Il governo del cambiamento si è mangiato la Rai. Altro che merito è la solita lottizzazione
Merito e competenze, finora, sembrano contare meno di zero. La legge che prevede indipendenza e autonomia resta una petizione di principio, del tutto inattuata. Tutto si è risolto con un accordo di spartizione: Forza Italia ha avuto la presidenza della commissione di Vigilanza per un ex giornalista di Mediaset e ha rinunciato ad avere un proprio consigliere, votando quelli di Pd, Lega e Fratelli d'Italia, mentre i Cinquestelle hanno votato chi ha vinto nel voto sulla piattaforma Rousseau, Beatrice Coletti (ma con quali criteri sono stati selezionati i cinque “finalisti” su oltre 200 curriculum inviati votati dalla piattaforma dei Cinquestelle?). E ora si spartiscono presidente, amministratore delrgato, direttori di rete e di tg

“No, non è la Bbc, è la Rai, la Rai Tv...”. Non è proprio la Bbc, il nostro servizio pubblico nazionale. Ancora una volta la politica prevale sulla legge, la lottizzazione prevale su merito e competenze. Si fanno vertici tra ministri della maggioranza sulle nomine, “esaminando profili” (proposti da chi?) e più di un giornale sottolinea come non si sia parlato solo di amministratore delegato e presidente, ma anche di direttori di telegiornali e reti Rai. Non a caso, prima Di Maio e poi Salvini hanno chiesto una sorta di “censimento” interno, nei fatti una schedatura, dei dipendenti di Viale Mazzini. Salvini annuncia che vedrà tutti i candidati (ad amministratore delegato? A presidente? A cosa?).
Lottizze-Rai ancora e ancora
La lottizzazione c'è sempre stata e l'attuale governo non porta alcun “cambiamento” anzi....Sembra quasi voler decidere direttamente i posti chiave dell'azienda pubblica, dai vertici in giù, con l'amministratore delegato e il cda quali semplici esecutori. Le opposizioni, anziché chiamarsi fuori da tale spartizione, in nome dell'indipendenza e dell'autonomia dell'azienda, che per il 60% dei suoi introiti è pagata da noi cittadini con la bolletta elettrica, hanno fatto un patto per spartirsi tre dei sette consiglieri di amministrazione e, a rigor di logica dovrebbero garantire il proprio voto al presidente designato dal Consiglio dei ministri. Al presidente servono i due terzi dei voti della commissione di Vigilanza per diventare tale. La partita non è chiusa, ma il primo tempo non lascia ben sperare. Merito e competenze, finora, sembrano contare meno di zero. La legge che prevede indipendenza e autonomia resta una petizione di principio, del tutto inattuata.
Le Camere, per la prima volta, infatti, hanno nominato quattro consiglieri con la novità prevista dalla legge del 2015, quella del voto su candidature presentate entro il 31 maggio da qualsiasi cittadino avente i requisiti previsti dalle legge (indipendenza, competenza, onorabilità ecc).
L'autonomia che svanisce in fretta
Era una grande occasione per varare un vertice finalmente autonomo rispetto a interessi esterni, in primis quelli della politica. Un vertice, quindi, che poteva permettere, finalmente, di offrire un'informazione più libera e indipendente di quella attuale, meno conformista, più attenta a quanto emerge dalla società civile. No, non è la Bbc. Tutto si è risolto con un accordo di spartizione: Forza Italia ha avuto la presidenza della commissione di Vigilanza per un ex giornalista di Mediaset e ha rinunciato ad avere un proprio consigliere, votando quelli di Pd, Lega e Fratelli d'Italia, mentre i Cinquestelle hanno votato chi ha vinto nel voto sulla piattaforma Rousseau, Beatrice Coletti (ma con quali criteri sono stati selezionati i cinque “finalisti” su oltre 200 curriculum inviati votati dalla piattaforma dei Cinquestelle?).
Per dare un giudizio completo bisogna attendere gli altri due consiglieri che saranno nominati dal Consiglio dei ministri, con ogni probabilità nella giornata di venerdì 27, salvo rinvii. Il quinto consigliere, Riccardo Laganà, vincitore tra i dipendenti che hanno votato durante la giornata di giovedì 19 dimostra in primo luogo la delegittimazione dei sindacati "ufficiali". Ci sarà in cda uno strenuo difensore della Rai e del servizio pubblico, certo, a partire dalla trasparenza degli atti; ma è solo. Dei primi due che saranno nominati dal Governo, uno andrà a fare il presidente, l'altro sarà l'amministratore delegato. E noi spettatori? Dovremo attendere la prossima primavera per dare un giudizio, visto che i programmi Rai della prossima stagione autunnale sono stati approvati dal vertice uscente. Sui telegiornali, però, quando cambieranno i direttori si potrà dare subito un giudizio.
Chi ha competenze non ha voti
Quello che si può dire è che non basta prevedere l'invio di curriculum per far emergere il merito e le competenze: Carlo Freccero, Giovanni Minoli e Michele Santoro ne hanno molto più degli eletti nel cda; ma non hanno preso voti, ad eccezione dei due racimolati da Santoro. Da una parte servirebbero audizioni dei candidati davanti alla commissione di Vigilanza per una preselezione effettiva, che nessun partito ha proposto o ipotizzato; dall'altra, soprattutto, servirebbe la volontà e la coscienza da parte delle forze politiche du varare un servizio pubblico di varare un servizio pubblico radiotelevisivo che sia davvero “al servizio del pubblico” e senza casting fatti da qualche ministro. Una Rai non al “loro” servizio, insomma. Non è solo un fatto di volontà politica, ma di cultura, di difesa degli interessi generali da parte di chi riveste una carica pubblica: il governo britannico nomina nei fatti i vertici della Bbc, ma i telegiornali della Bbc sono spesso critici verso il governo in carica, di qualsiasi colore esso sia.
Il servizio pubblico "antico" nella tv che è già cambiata
La Rai è attesa da un triennio, tanto dura il mandato di ogni vertice – troppo poco – in cui i cambiamenti nello scenario televisivo saranno sempre più accelerati e convulsi, sotto la spinta di Internet, del digitale, del consumo in mobilità. Molti si chiedono se si possa ancora parlare di televisione, quando si vede un contenuto video sul proprio cellulare o sul proprio pc. Il compito della Rai sarebbe quello di fare sempre televisione, ma innovando i formati, in modo da essere ovunque e in ogni momento con dei contenuti riconoscibili e identificabili come “servizio pubblico”. Il nuovo vertice è il più adatto per andare in questa direzione? Avere qualche dubbio è legittimo.