[Il retroscena] La sfida di Conte a Salvini: "Non mi dimetto, ci vediamo in Parlamento". Ora la crisi si complica. E il premier diventa un problema
Tutto si chiarisce dopo due colloqui tra premier e vicepremier. E il faccia a faccia al Quirinale. Il leader della Lega: “Mi candido premier”. Durissimo Conte: "Non è lui che decide tempi e modi. Sarà la crisi più trasparente della storia della Repubblica". Ipotesi governo elettorale. 20 agosto e metà ottobre le date per la sfiducia e le urne
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Alla fine volano stracci. Tra Conte e Salvini. Tra Di Maio e Salvini. Il governo del Cambiamento e del contratto di governo finisce come i coniugi Roses nell’indimenticabile film che ne raccontò la guerra: crollano a terra schiacciati da un pesante lampadario di cristalli. Questa volta sono in tre. Auguriamo a tutti di risorgere da sotto il lampadario nel migliore dei modi. Ma le ferite sono profonde. Anche per Salvini. Il modo peggiore per iniziare l’ultimo miglio di una maratona elettorale iniziata a gennaio 2018 e in realtà da allora mai finita.
La crisi di Ferragosto
La crisi di governo di Ferragosto - unico precedente il 4 agosto 1983, governo Craxi I, pentapartito, che andrà avanti fino al 18 aprile 1987 - prende forma e sostanza nel primo pomeriggio di un giovedì di agosto caldo-umido, Parlamento chiuso, il centro della Capitale invaso da turisti ignari che si fanno i selfie davanti ai palazzi della politica, quelli che vedono sempre in tv. Da giorni i soci della maggioranza giallo-verde si parlano solo per comunicati e messaggi whatsapp. Alle 14 e 41 arriva una nota ufficiale di via Bellerio. “Nessuna richiesta di poltrone, nessun rimpasto come nella prima Repubblica - precisa lo staff di Salvini - L’Italia ha bisogno di certezze e di scelte coraggiose e condivise, inutile andare avanti tra no, invii, blocchi e litigi quotidiani. Ogni giorno che passa è un giorno perso. Per noi l’unica alternativa a questo governo è ridare la parola agli italiani con nuove elezioni”. La crisi temuta, evocata dal voto sulla Tav (un doppio suicidio politico per il Movimento: non sono riusciti a bloccarla ma non si sono dimessi), annunciata, subito congelata (“ne riparliamo lunedì” aveva detto Salvini al comizio di Sabaudia) e quindi ancora reversibile, diventa qualcosa da fare “subito e adesso”. Senza se e senza ma. Non basta più le verifica sul programma, le dimissioni di Toninelli, della Trenta e di Costa, i tre ministri grillini che più “ostacolano l’azione di governo”. Forse qualche sondaggio social misurato su ciò che gira da 24 ore su siti e giornali sul leader della Lega che chiede ministri e un novo programma, e veicolato dal fidatissimo spin doctor Luca Morisi, gli ha suggerito che il tempo della cautela è esaurito. “Il Capitano deve fare il Capitano, ad un certo punto sceglie e si assume le responsabilità” spiegava ieri una fonte di governo leghista in attesa però come altri delle note ufficiali di via Bellerio.
La geografia della crisi
La verità è che Salvini, come sempre, ha condiviso molto poco con i suoi e ha deciso parecchio da solo. Ma se dobbiamo fissare una geografia di questa crisi di governo, i momenti da segnare in rosso sono almeno tre: il colloquio a palazzo Chigi tra Conte e Salvini mercoledì pomeriggio, dalle 19 alle 20, prima di andare a Sabaudia, prima tappa di quel beach tour che a tanti è sembrato fin da quando è stato annunciato - circa dieci giorni fa, ai tempi del caso Russia - come una nuova campagna elettorale; il colloquio tra Conte a Mattarella ieri all’ora di pranzo; il secondo colloquio tra Salvini e Conte ieri sera (dalle 16.50 alle 18) prima di partire per Pescara, seconda tappa del beach tour.
L’inutile resistenza dei Cinque Stelle
Ventiquattro ore in cui Luigi Di Maio e il suo governo sono rimasti muti, spiazzati, afoni. Umiliati nel tentativo di far finta di nulla e che anche questa volta fosse come le altre: solo “una tempesta in un bicchiere d’acqua”, qualcosa che “vedrete, è come sempre, poi alla fine non succederà nulla”. Ventiquattro ore in cui tutti hanno provato a fare come se niente fosse. La viceministra Castelli spiegava che “abbiamo da fare la manovra e molte iniziative sono in cantiere per dare più soldi agli italiani”. Il ministro Bonafede è andato a Reggio Emilia per annunciare “il team speciale al ministero della Giustizia per fare luce sugli affidi dei bambini” e già che c’era ha parlato nuovamente della “necessaria riforma della giustizia”. Il sottosegretario Tofalo rendeva onore alle vittime di Marcinelle nell’anniversario di quella strage di emigrati italiani, quando eravamo noi a partire per cercare lavoro. Umiliazioni che sarebbe stato preferibile evitare. Disperati, a loro modo anche commoventi, tentativi di restare aggrappati ad un governo che la stessa base elettorale grillina - basta leggere i commenti ai post sul blog delle Stelle - ha già dichiarato “finito”. “Da buttare” per tentare di salvare la faccia. Almeno un po’.
La sfida di Conte a Salvini
Il premier è stato protagonista dei tre colloqui chiave di queste lunghissime 24 ore. Se quello con il Presidente della Repubblica è stato il più “utile” per comprendere bene le regole che devono accompagnare una crisi di governo nelle sue molteplici modalità, rischi e vantaggi di ciascuno scenario, il faccia a faccia con Salvini di ieri pomeriggio è stato certamente il più difficile. E anche la svolta dell’impasse che si era venuto a creare. In quel colloquio, infatti, caduta la necessità di mediare e trovare sempre una soluzione, il premier ha sfidato e tenuto testa al vicepremier Salvini che era andato a spiegare i motivi per cui stava aprendo la crisi (“voglio andare al voto per capitalizzare il consenso che la Lega ha nel paese” e poi “ci sono troppi punti di vista diversi pe rnon Dore opposti”) e, soprattutto, perchè il premier doveva compiere l’atto di andare a rimettere il mandato direttamente nella mani del Capo dello Stato e non in quelle, legittime, del Parlamento. “Giuseppe dimettiti - è stato il suggerimento di Salvini a Conte - dobbiamo fare presto ad andare al voto, poi inizia la sessione di bilancio e io chiederò mandato pieno per me e per il mio partito".
"No caro Matteo…"
Ma Conte, mai come in queste ore e giorni fieramente convinto del proprio ruolo, ha risposto picche: “No, caro Matteo, io vado in Parlamento ed è lì che voglio essere sfiduciato. Come dicono le regole della democrazia, nessuna scorciatoia, nessuno sconto, massima trasperanza”. In quell’ora e mezzo di colloquio si sono detti ovviamente molto di più. Ma questo è il passaggio principale perché Salvini ha fatto di tutto per evitare la parlamentarizzazione della crisi. Che oltre ad allungare i tempi, porta sempre con sè qualche insidia. La Lega ha in Parlamento circa cento deputati e una cinquantina di senatori. Conte, dopo aver spiegato cosa e perchè ha portato allo scioglimento anticipato della legislatura, chiederà nuovamente la fiducia. E’ si sa, il tempo che passa, qualche impegno già preso (ad esempio il mutuo per la casa) , molte belle abitudini acquisite in questi 14 mesi, il rischio, per molti, di non sapere cosa fare dopo e tutto il resto che va sotto il nome di attaccamento alla poltrona; bene tutto questo potrebbe giocare brutti scherzi al piano di Salvini. Il quale però resterà comunque in modalità win-win, comunque vincitore: se si va al voto vince a mani basse; se qualche giochetto di palazzo dovesse trattenere nel ruolo Giuseppe Conte, il leader della Lega avrà ottimi argomenti nella prossima campagna elettorale per denunciare la “limitazione del volere del popolo”. Vedremo. Da due mesi è proprio la parlamentarizzazione della crisi, il rischio di un Conte bis, ad aver frenato la Lega dal fare saltare il banco. Quando il premier, durante l’informativa sulla Russia, ha spiegato di avere “tanto rispetto per il Parlamento da passare comunque dall’aula per chiedere o meno la conferma della fiducia”, Salvini era andato su tutte le furie. Era a Helsinki e cominciò ad attaccare chi “stava pensando di andare a cercare voti come si fa in certi boschi del Trentino quando si creano i funghi”.
Il timing delle dichiarazioni
Sono state ventiquattro ore concitate. Che hanno preso finalmente una forma concreta intorno alle undici di sera. Fino a quell’ora, infatti, a parte il botta e risposta a suon di comunicati Lega e 5 Stelle, nessuno si era dimesso e nessuno aveva pronunciato le parole “crisi di governo” o “scioglimento anticipato della legislatura”. Un andirivieni tra Quirinale, Colle, a palazzo Chigi, Montecitorio (il presidente Fico è stato da Mattarella). Molte indiscrezioni raccolte tra i parlamentari di Lega - molti dei quali ancora convinti nel pomeriggio di essere in fase di “verifica” - e 5 Stelle - loro disperatamente contrari al voto anticipato - e però nessuna veramente chiarificatrice. Una condizione surreale amplificata dal caldo umido, quasi un miraggio. Anzi un incubo. Occhi puntati quindi sulla serata quando Salvini avrebbe finalmente parlato dal palco di Pescara. Il leader della Lega, finché è stato sul palco e quindi in diretta streaming, non ha però detto molto di più rispetto a ciò che già si sapeva. Solo sul finale, mano sul cuore, emozionato per i figli che vede poco e sono sottoposti a qualche attenzione di troppo da parte dei media, ha chiesto alla piazza di Pescara “aiutatemi a vincere e a governare questo Paese, vi chiedo mandato pieno, voglio governare da solo, mi candido premier".
La rabbia gelida di Conte
Mentre Salvini era ancor sul palco, alle 21 e 45, arriva una comunicazione da palazzo Chigi. “Tra circa mezz’ora il presidente Conte scenderà in sala stampa a palazzo Chigi per dichiarazioni alla stampa. Lo staff del premier ha atteso fino all’ultimo secondo che Salvini terminasse il suo comizio e poi hanno dato la parola a Conte. Mediaticamente una staffetta perfetta. Politicamente una dichiarazione di guerra totale. Se Salvini ha allungato la sua performance nella speranza, forse, di togliere spazio e voce al premier, Conte ha saputo prendersi tutta l’attenzione del caso. Menando ceffoni al leader politico Salvini, al vicepremier e al ministro dell’Interno. Quasi che Conte volesse esprimere da tempo certe opinioni e valutazioni e non l’abbia mai fatto per carità di patria.
"Salvini resti al suo posto…"
"Sono qui per darvi alcuni doverosi chiarimenti…” ha esordito Conte in una sala stampa aperta per l’occasione alle 22.45. Il Professore è rimasto Professore - dunque classe, educazione, eloquio istituzionale e bon ton - ma ha preso letteralmente “a ceffoni” Salvini. Ha rivelato che la crisi viene aperta “perchè la Lega vuole capitalizzare il suo largo consenso”. Legittimo, ma perchè Salvini non l’ha fatto due mesi fa dopo le Europee? “Ho spiegato, con rammarico - ha continuato Conte - che in questo modo avremmo rinunciato a molte riforme già in cantiere ed avviate e di cui il Paese ha bisogno”. Detto ciò, ha promesso subito dopo, sarà “la crisi più trasparente nella storia della Repubblica perchè io la porto davanti al Parlamento che non considero un molesto orpello ma la vera essenza della democrazia”. Aprendo così ad alcune variabili che, come visto, non sono mai del tutto prevedibili. L’insidia più grossa per Salvini. A cui il premier si rivolge direttamente ricordagli che “non spetta” al leader politico della Lega “convocare le Camere e decidere i tempi di una crisi. Salvini faccia il senatore e il segretario politico del suo partito. Il resto non gli compete”. Molto probabilmente un annuncio di sfratto dal Viminale nella fase di transizione verso le urne. E poi ancora più duro: “Non accetterò più gli slogan mediatici per cui questo è il governo che non ha fatto nulla, il governo dei No. Questo, sia chiaro, è un governo che ha parlato poco e lavorato molto. Di certo non in spiaggia. Non accetterò più che sia svilito e umiliato”. Una dichiarazione molto dura, forse concordata con Di Maio ma anche con il Colle, che lascia il cerino delle responsabilità della crisi in mano a Salvini (è sempre un cerino molto scomoda) e ben racconta il livello di tensione raggiunta in queste 24 ore tra Salvini e Conte. E’ Conte, e non da oggi, l’avversario politico di Salvini.
Cosa succede adesso
Dopo Conte, ha parlato Di Maio, ormai vicino ad essere ex di tante cose, anche della leadership del Movimento. “Ci vogliono fermare prima che approviamo riforme importanti come il taglio dei parlamentari” ha detto lanciando quello che sarà il tormentone della campagna elettorale. Da ora in poi la regia delle crisi passa nelle mani del Presidente della Repubblica che, da buon arbitro che annusa prima e si prepara alla partita, aveva congelato da giorni la sua partenza per le ferie. Il Presidente della Repubblica è il custode più attento delle regole della democrazia. La parlamentarizzazione della crisi è sempre stata, secondo indiscrezioni, la modalità più giusta per aprire una crisi di governo. Va da sè che è altrettanto legittimo che Conte provi a cercare un’altra maggioranza politica in Parlamento che “al momento però, in base anche alle dichiarazioni dei vari segretari di partito, non risulta essere possibile".
Il problema, adesso, non è certo quello di convocare le Camere: devono essere chiamati i Presidenti dei due rami del Parlamento, toccherà poi a loro convocare la conferenza dei capigruppo che dovrà decidere la data per la seduta delle comunicazioni del Presidente del consiglio. Una procedura che richiede, visto che siamo a Ferragosto, almeno una settimana di tempo. Le prime date utili individuate sarebbero il 19-20 agosto. Il 24 e il 26 agosto quelle per le consultazioni.
Governo elettorale?
Salvini ha fretta e ha già iniziato ad attaccare, “se migliaia di italiani sono di turno a Ferragosto non vedo perchè non possano farlo senatori e deputati. La Lega ovviamente è disponibile anche il giorno di Ferragosto”. Ma subito dopo il voto di sfiducia a Conte - salvo sorprese, va sempre ricordato - il problema sul tavolo della Presidenza della Repubblica è se sia il caso o meno di andare al voto in autunno (metà ottobre, prima non è tecnicamente possibile) in piena sessione di bilancio con il governo dimissionario in carica. E, soprattutto, il candidato premier Salvini nel ruolo di ministro dell’Interno alla guida cioè della potente e delicatissima macchina elettorale. Le parole di Conte ieri sera sono state chiare: Salvini non potrà essere candidato, leader politico, ministro dell’Interno e vicepremier. Così come non potrà esserlo Di Maio se dovesse ancora essere candidato premier. Troppi rischi e conflitti. E’ probabile che sia dello stesso avviso il Presidente della Repubblica e che ne abbia parlato con Conte durante il colloquio di ieri mattina. Quindi è molto probabile che debba servire un governo elettorale. Che magari, nel frattempo, entro il 15 ottobre presenti a Bruxelles lo schema della legge di bilancio 2020. E, se facesse in tempo, possa indicare sempre a Bruxelles il commissario italiano.
Quello giallo verde era un governo che doveva arrivare a conclusione. Da tempo. Non è questo il punto. Il punto sono, come sempre, i tempi e i modi. Quelli scelti sono sciagurati. Buoni per la fiction. Non per la vita reale.