La grande disfatta giallorossa nel Giardino d’Italia. Di Maio e Conte, uno chiude e l’altro tiene in piedi l’alleanza con il Pd
Trionfo di Salvini che dà “l’avviso di sfratto al governo”. Fratelli d’Italia doppia Forza Italia ma il leader della Lega mal sopporta la Meloni. Italia Viva guarda già all’Emilia Romagna, ultime argine. Conte nel mirino di Financial Times

Salvini a valanga, Meloni raddoppia, Berlusconi tiene, il Pd anche, Di Maio invece crolla e Conte trema. Anche perché in serata, con la chiusura dei seggi, le brutte notizie raddoppiano: con le prime proiezioni che fotografavano un distacco di circa venti punti percentuale tra i due candidati governatori, è arrivata anche la prima pagina del Financial Times e la notizia di Giuseppe Conte consulente, poco prima di diventare premier, di un fondo di investimenti sostenuto dal Vaticano al centro di una indagine su un caso di corruzione finanziaria. Una rogna che il premier cerca di spiegare subito in serata smontando conflitti di interessi di sorta.
“Avviso di sfratto al governo”
L’Umbria diventa il nostro Ohio. Un test da dove l’esecutivo giallorosso a guida esce bocciato. Nonostante il piccolo campione, 700 mila abitanti, la partecipazione al voto è stata così alta (64,6%, circa il 10 per cento in più del 2014) che tutti, anche i più resistenti, sono costretti a fare i conti con i numeri di una disfatta senza se e senza ma. Lo spoglio, concluso alle sei del mattino, scatta questa fotografia: alla coalizione di centrodestra va i 57,7 dei consensi; a quella di centrosinistra il 37,4. La senatrice Donatella Tesei, ex sindaco di Montefalco, diventa il primo governatore di destra della regione dopo mezzo secolo di giunte di sinistra. L’imprenditore Vincenzo Bianconi, venti giorni scarsi di campagna elettorale con l’anno abbondante investito da Salvini, ha fatto quello che ha potuto. La sconfitta del centrosinistra era certa, quasi scontata, ma non di queste dimensioni. Una forbice di 10 punti sarebbe stata digeribile. Pari al doppio, significa che il problema nel centrosinistra è molto serio. E l’analisi dei risultati delle singole liste, inchioda la maggioranza di governo ad una brusca fermata, costringe i capi politici di Pd e M5s a riflettere sull’opportunità dell’alleanza strategica e strutturata vagheggiata da Zingaretti e Franceschini e il premier Conte a fare i conti con la sua clamorosa debolezza. “Sarebbe un errore fermare ora l’alleanza Pd-M5s - è stata la riflessione del premier questa notte quando ormai i risultati erano chiari - interrompere l’esperimento politico per una regione che ha il due per cento dei consensi”.
Lista per lista: la valanga Salvini
Conviene analizzare il voto lista per lista e proiettarne il senso sul governo e sulla tenuta della legislatura. Matteo Salvini ha stravinto con il 37,2% dei voti. Conferma il voto delle Europee ma soprattutto la sua leadership che si era appannata dopo la stangata di agosto quando la Lega da avere tutto si è ritrovata fuori dal governo e dai posti che contano. Salvini aveva bisogno di questi numeri per poter ripartire proprio dal 29 maggio ignorando quello che è accaduto fino ad oggi. “Stiamo scrivendo una pagina di storia, spazziamo via 50 anni di giunte di sinistra” ha detto ieri sera nella hall dell’hotel diventata il suo quartier generale insieme a Donatella Tesei. La neo governatrice s’è vista abbastanza poco nella campagna elettorale perché la quotidiana presenza di Salvini a partire da settembre ma potrei dire da primavera (dopo la dimissioni della giunta causa inchiesta sulla sanità) ha offuscato ogni sua uscita. Ieri sera era raggiante accanto al Capitano che ha però ha subito connotato il voto umbro per quello che è: un test per il governo. “Avete votato e scelto la libertà a nome di 60 milioni di italiani” ha detto il segretario della Lega “perché i signori Conte, Di Maio, Renzi e Zingaretti che sono momentaneamente e abusivamente occupanti del Governo nazionale hanno i giorni contati”.
Il centrosinistra, consapevole di andare incontro ad una sconfitta ma fiducioso di ridurre il più possibile la forbice della distanza, aveva provato a collocare il voto umbro tra i fatti locali, lontani dalla politica nazionale. Per vari motivi: il campione ridotto di elettori - e magari Conte poteva evitare di sottolineare che “gli elettori umbri sono inferiori a quelli della provincia di Lecce” - ma soprattutto per il modo in cui si arriva al voto, un’inchiesta per corruzione nella Sanità regionale che, se confermata, ha messo a nudo l’inconsistenza di un’intera classe dirigente di sinistra. Ma poi nel “Giardino d’Italia” ci hanno messo la faccia tutti i leader nazionali, Salvini e Meloni da sempre, Berlusconi nell’ultimo mese e, sul finale della campagna, anche il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, protagonista della foto di Narni con Luigi Di Maio, Nicola Zingaretti e Roberto Speranza.
Conte sotto attacco
Una foto di gruppo che, evidentemente non ha entusiasmato. “Il primo voto vero ha dimostrato che gli italiani non apprezzano il tradimento. Qualcuno al governo deve ritenersi abusivo già questa notte” ha attaccato Salvini bollando Conte come un “omino”, solo l’ultimo di una serie di epiteti che il capo della Lega riserva al premier con costanza a partire da agosto. “Il centrodestra ha il diritto e il dovere di governare il Paese” gli ha fatto fa eco Silvio Berlusconi mentre Giorgia Meloni ha subito incalzato: “Fossi Conte rassegnerei le dimissioni più velocemente della luce. Se avessero un po' di dignità non arriverebbero a domattina”.
Anche perché mentre, mentre escono i risultati, arriva l’anticipazione del Financial Times di cui si parlava dal pomeriggio.
L’inchiesta del Financial Times
“Un fondo di investimento sostenuto dal Vaticano al centro di un'indagine sulla corruzione finanziaria era alla base di un gruppo di investitori che assunse Giuseppe Conte per lavorare ad un accordo” poco prima che diventasse presidente del Consiglio. Al centro dell’inchiesta c’è l'attività finanziaria del Segretariato di Stato vaticano, la potente burocrazia centrale della Santa Sede e transazioni finanziarie sospette. Il link con Conte non può che rendere ancora più interessante la faccenda. “Nel maggio 2018 - scrive il foglio della City - Conte è stato ingaggiato per una consulenza legale dal gruppo Fiber 4.0. il cui principale investitore è l'Athena Global Opportunities Fund, fondo sostenuto interamente per 200 milioni di dollari dal Segretariato di Stato vaticano e gestito da Raffaele Mincione”. Il fondo all’epoca “era impegnato in una battaglia per il controllo della compagnia di telecomunicazioni italiana Retelit”. Il fondo, tuttavia, non ne ottenne il controllo perché gli azionisti preferirono due investitori stranieri: la tedesca Shareholder Value Management e la compagnia di telecomunicazioni libica. Nel suo parere legale del 14 maggio 2018, all’epoca era solo un possibile candidato premier, Conte scrisse che il “voto” degli azionisti “poteva essere annullato se Retelit fosse stata collocata sotto le regole del golden power, che permettono al governo italiano di stoppare il controllo straniero di compagnie considerati strategiche a a livello nazionale”. Nessuno poteva immaginare che, poche settimane dopo, un governo presieduto dallo stesso Conte sarebbe stato chiamato a pronunciarsi proprio sulla specifica questione oggetto del parere.
In ogni caso, il premier già ieri sera ha fatto sapere di essersi “astenuto anche formalmente da ogni decisione circa l'esercizio della golden Power. In particolare non ha preso parte al Consiglio dei Ministri del 7 giugno 2018 (nel corso del quale è stato deliberato l'esercizio dei poteri di golden Power), astenendosi formalmente e sostanzialmente da qualunque valutazione”. In quei giorni, tra l’altro, Conte era impegnato in Canada per il G7. Nessun rapporto poi col signor Mincione, “mai incontrato né conosciuto”. Vedremo, ma la storia non finisce qui. Anche perché Conte, oltre ad una sua debolezza “politica” interna dimostrata dal voto in Umbria, ha aperto anche il file con gli Stati Uniti e il filone italiano del Russiagate. Non è mai un buon segno quando la stampa internazionale rivela inchieste e mostra queste attenzioni.
Giorgia quasi doppia Silvio
In Umbria vince anche Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia raggiunge la doppia cifra (10,4), quasi il doppio delle Europee di maggio e quasi il doppio di Forza Italia, relegata ormai al terzo posto nella coalizione di centrodestra. Per Meloni, si apre, non da oggi, una partita interessante anche a livello nazionale. Giorgia e Matteo non si amano. O meglio: Salvini da tempo ha annusato che l’ex ministro dei governi Berlusconi possiede una forte leadership che potrebbe anche incalzare la sua che a tratti è diventata un po’ ripetitiva e monotona. L’unico che non può festeggiare nella coalizione è proprio Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è sceso in campo, ha fatto campagna nei paesini umbri e ha fatto il mezzo miracolo di smentire i sondaggi che fino alla scorsa settimana davano Forza Italia al 3 per cento. Ieri sera ha ringraziato via social “per la svolta storica: anche nelle regioni rosse il centrodestra unito rappresenta l’ampia maggioranza degli elettori”. Poi, anche Berlusconi ha guardato subito avanti, al governo: “la nostra alleanza ha il diritto-dovere di governare il Paese”. La vera questione è fino a che punto il Cavaliere vorrà e potrà sentirsi ruota di scorta di una coalizione autonoma rispetto ai voti azzurri (non ne ha bisogno) a traino sovranista e populista. Che non è esattamente la cifra dell’elettorato di Forza Italia.
Italia Viva, si apre la caccia
Il punto è che i voti di Forza Italia (5,6%) potrebbero assumere un valore strategico se dovessero confluire in Italia Viva (4,6) che, pur appoggiando la candidatura di Bianconi, ha preferito non metterci la faccia. Matteo Renzi non ha fatto alcun commento ufficiale durante la notte. Agli amici avrebbe detto che “il voto dimostra che l’alleanza con i 5 Stelle non può funzionare”. Che la scelta di Conte premier “è stata un boomerang” così come la foto di Narni.
Una “sconfitta” così pesante del centrosinistra alleato con i 5Stelle non fa comodo però neppure a Renzi che ha bisogno invece di tempo e di organizzare Italia viva sul territorio per poter poi presentare le liste. Il senatore fiorentino ha davanti il non facile compito di tenere motivate le proprie truppe, portare avanti l’opa per il tesseramento su Forza Italia e centrosinistra senza troppo sbilanciare la maggioranza. Renzi deve comprare tempo e il governo Conte deve, nei suoi piani, poter sopravvivere ancora un po’. Poi si vedrà. Chi progetta un terzo governo, con magari Di Maio premier, in questa stessa legislatura (autoblindata anche dal taglio del numero dei parlamentari), dovrà però fare i conti con il Quirinale. Che, questa volta, potrebbe sciogliere le Camere e mandare tutti a votare.
Il crollo dei 5 Stelle, la tenuta del Pd
Se Salvini è il vincitore, Di Maio è il clamoroso sconfitto. Il Pd infatti tiene con un buon 22,6 per cento, tre punti percentuali in meno rispetto alle Europee, una misura fisiologica con la scissione. Il punto è che il crollo dei 5 Stelle (7,4%, la metà delle Europee) è anche la bocciatura dell’alleanza con Pd. E su questo Zingaretti e Franceschini devono aprire una riflessione. “E’ una sconfitta netta” ha detto il segretario dem “ma il risultato conferma, malgrado scissioni e disimpegni, il consenso delle forze che hanno dato vita all’alleanza”. Zingaretti frena anche le polemiche interne al governo, facendo implicito riferimento al M5S. “Rifletteremo molto su questo voto e le scelte da fare, voto certo non aiutato dal caos di polemiche che ha accompagnato la manovra economica del Governo”.
La riflessione va fatta in fretta perché il 26 gennaio si potrebbe votare per le regionali in Emilia Romagna e Calabria. In entrambe il governatore uscente è del Pd e perderle, soprattutto l’Emilia Romagna, significherebbe crisi di governo immediata. Sempre che la maggioranza non si trinceri nel bunker con l’unico collante dell’antisalvinismo. Opzione pessima.
Conte/Di Maio, due visioni opposte
Se Zingaretti e Franceschini devono riflettere, Di Maio sembra aver già deciso. Sulle Regionali 2020 voglia tornare all'antico, a cominciare da Emilia Romagna e Calabria. “Il patto civico per l'Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l'esperimento non ha funzionato. E questa esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti” si legge in un post del M5S. Di opinione diversa invece il premier Conte che nel tourbillon della serata avrebbe confessato ai suoi: “sarebbe un errore clamoroso fermare l’alleanza”. Quale sarà la scelta dei 5 Stelle eletti in Parlamento? E quale quella della base elettorale? Di Maio o Conte? Di sicuro nelle prossime ore il capo politico del Movimento tornerà nel mirino dei malpancisti, degli ex ministri come Lezzi a Grillo rimasti senza incarico; di chi non ha mai digerito il Conte 2; di chi vorrebbe una rivoluzione nella leadership.