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[Il caso] Il cortocircuito della Fase 3, tra il giallo di Villa Pamphili, il Piano Colao e “pezzi dello Stato che remano contro”

Nebbia sugli annunciati Stati generali del premier. Di sicuro non ci sarà il manager Colao che ha firmato il Piano che piace e delude in modo trasversale le forze politiche. Il Pd osserva preoccupato le mosse di Di Maio e Conte che lavora al proprio soggetto politico. La consulente Mazzuccato: “Non ho firmato il Piano, ho da fare nel gruppo di lavoro per il premier”

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte
Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

La Fase 3, quella della ripartenza e del rilancio perchè “guai a sprecare una crisi”, comincia con un cortocircuito. Anzi, quattro. E tutti all’interno della maggioranza. C’è la convocazione degli Stati generali dell’economia, un vero e proprio thriller dai contorni assai incerti. C’è il Piano Colao, commissionato da Conte e, una volta consegnato, quasi rinnegato dal governo e apprezzato invece dalle opposizioni e da Italia Viva. C’è il ministro Di Maio che convoca i “suoi” Stati generali e trasforma la Farnesina un po’ come faceva Salvini quando convocava i sindacati al Viminale da vicepremier e ministro dell’Interno. E c’è la smentita, che è una conferma, di una frase che Conte non avrebbe mai pronunciato - “pezzi dello Stato remano contro le riforme” - attaccando il ministro Gualtieri e il ministero dell’economia. Se il buongiorno si vede dal mattino, il rilancio del sistema Italia post Covid comincia male. Sullo sfondo si intravede una dinamica tutta politica: Conte sta lavorando per il proprio futuro politico da leader di una forza politica di centrosinistra che andrà a raccogliere pezzi dei 5 Stelle e nuove energie, un soggetto politico stimato intorno “al 20 per cento”. E che sommato ad un altro venti per cento garantito dal Pd può diventare un blocco competitivo tra un paio d’anni, al termine della legislatura, con quello del centrodestra. E non c’è nulla di meglio per dare gambe ad una nuova forza politica con annessa leadership che dare prova di saper gestire con visione e progettualità una massa di danaro fresco, quei circa 300 miliardi che nei prossimi anni Bruxelles metterà a disposizione dell’Italia. Un tesoretto su cui tutti vogliono mettere le mani. Ma che non può essere sprecato.

Il giallo di Villa Pamphili

Annunciati una settimana fa esatta - era mercoledì scorso - dal premier Conte all’insaputa dei partner di governo, sono ancora oggi “un grande evento” di cui però si conosce solo la location (qualcuno ieri sera aveva ancora dubbi anche su quella) e il primo attore, Giuseppe Conte. Sconosciuto tutto il resto: orari, modalità, ospiti e temi. Ieri il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà ha parlato per nome e per conto del premier con cui vive ormai una simbiosi politica che possiamo immaginare sia destinata a durare anche oltre la Fase 3. D’Incà dunque ha assicurato che “gli Stati Generali inizieranno nel fine settimana, venerdì e sabato, per proseguire anche la settimana prossima”. Ci sarà “un confronto serrato sulle idee” da cui nascerà “un prolungamento di lavoro, un Paese unito, come mai nel passato, in un confronto di dialettica e nel trovare soluzioni concrete”. In queste ore, ieri e anche oggi, Conte sta conducendo una serie di colloqui bilaterali con i singoli ministri (ieri Dadone, Provenzano, Manfredi, Amendola) per mettere a fuoco, in ciascun dicastero, l’agenda delle priorità. Sul tavolo anche il Piano Colao, uno dei punti di frizione del cortocircuito della Fase 3 di cui trattiamo a parte qui sotto.

No show personali

Tanta reticenza e riserbo sono figli, è chiaro, dello scontro della maggioranza dove il Pd, tenuto all’oscuro di tutto, ha accusato Conte di “voler fare troppo da solo” e lo ha avvertito: “Non ti illudere di allestire show personali e passerelle mediatiche”. Dunque si sa solo che nella sala degli Stucchi di Villa Pamphili ci sarà un lungo tavolo, sedie distanziate per un massimo di trenta persone, grandi schermi per i collegamenti in videoconferenza. L’agenda di venerdì prevede i leader delle opposizioni, sabato i vertici delle istituzioni internazionali - David Sassoli in presenza, Ursula von Der Leyen collegata da remoto Cristallina Gheorghieva del FMI - e anche personalità di spicco, archistar e ambientalisti, addirittura premi Nobel. Quasi certamente non ci sarà il manager Colao - e questo la dice lunga su tante cose - e neppure Mario Draghi. “Ci saranno moltissime persone che hanno competenze e capacità al pari di Draghi - ha detto D’Incà - e soprattutto ci saranno persone che sapranno fare la sintesi di gruppi di lavoro molto ampi”. Il punto è che Mario Draghi non ci pensa proprio a mettere piede a Villa Pamphili. Da lunedì fino a metà della prossima settimana, sono previste le parti sociali. E’ certo che l’evento sarà off limits per telecamere e giornalisti almeno fino ad una ipotizzata conferenza stampa finale. Ogni tentazione mediatica sarà così subito sopita. Le opposizioni non ne sono così convinte. “Salotto Conte” lo ha ribattezzato Maurizio Gasparri (Fi).

Il mistero Colao

Il “cortocircuito” dell’avvio della Fase 3 registra scosse poderose sul Piano Colao. Fin dalla sua diffusione. Il manager e una delegazione dei 17 membri ha incontrato Conte lunedì mattina. Il pomeriggio verso le 18 il testo - 54 pagine, in allegato 126 slide - viene diffuso ma Conte in serata assicura: “Non sono stato io”. La prassi avrebbe voluto che un Piano di rilancio o di Rinascita (Conte ha usato entrambe le definizioni) fosse presentato in un’occasione ufficiale. Nulla di tutto ciò. L’assenza dell’ex manager di Vodafone anche dalla lista dei relatori di Villa Pamphili, dice il resto.

Fatto è che ora che il Piano dovrebbe essere il punto di riferimento dell’azione di governo, viene quasi disconosciuto. Ma allora, perchè affidarlo? L’imbarazzo è tanto. A palazzo Chigi se le cavano con giochi di parole. Il più gettonato: “Quello di Colao è un buon punto di partenza ma ora deve intervenire la politica”. Di sicuro non piacciono i condoni (la voluntary disclosure per il contante), le sanatorie (per far emergere il lavoro nero) e il ritorno a forme più flessibili di lavoro, alcuni interventi necessari - insieme all’abolizione del contante - per far emergere l’economia illegale (12% di pil, circa 90 miliardi) e combattere l’evasione (110 miliardi). Misure che non piacciono ai 5 Stelle, soddisfano in parte e a tratti il Pd. “Un contributo con cose importanti e altri meno, un Piano da approfondire” lo ha definito il diplomatico Delrio, capogruppo alla Camera, che ha bocciato le schede sulla scuola e sicuramente la parte sui condoni. Linea diversa nel gruppo Pd al Senato dove il capogruppo Marcucci lo prenderebbe così com’è: “Ottimo lavoro”. Il Piano convince e delude tutti e nessuno. In alcune parti piace alla Lega (“c’è anche il blocco della tasse per tutto il 2020”), ma non a Fratelli d’Italia (Meloni: “No ai limiti del contante”), convince Forza Italia (“in generale ci sono idee e spunti di buon senso”) e Italia viva ci ritrova le sue politiche: contante, lavoro, voluntary disclosure, piano shock per i cantieri. Non piacere a tutti e a persone diverse in genere è una buona patente di qualità.

Gli Stati generali di Di Maio

Mentre Conte li ha annunciati, il ministro degli esteri Di Maio li ha fatti. E lunedì mattina, tra lo stordimento generale, il ministro degli Esteri ha convocato alla Farnesina mezzo governo e mezza Confindustria per firmare il patto di rilancio e la internazionalizzazione del made in Italy. Erano presenti in prima fila De Micheli, Gualtieri, Bellanova, in pratica mezzo governo. All’inizio del Conte 2 l’ex capo politico dei 5 Stelle ha puntato i piedi per portare alla Farnesina la delega del commercio estero che era del Mise. A questa delega, il Movimento poggia tutte le sue leve per incidere sui dossier economici e avere soldi. Ora, al di là dell’evento in sè a cui Conte non ha partecipato, è chiaro che questa è solo l’ultima mossa di una lunga lista di scelte con cui Di Maio certifica la sua “guerra” personale a Conte e la sua leadership nel Movimento 5 Stelle mandando segnali espliciti a quella parte che si è già messa a disposizione di Conte. Non solo: Di Maio diventa sempre di più una “pedina” utile in quel piano B che resta sullo sfondo e che vede la prosecuzione della legislatura ma non del Conte 2.

Quei “pezzi dello Stato che remano contro”

Mai smentita è stata più confermativa. A tutta pagina sul Corriere della Sera ieri è comparso un titolo virgolettato: “C’è un pezzo del Stato che rema contro le riforme e contro il governo”. L’avrebbe detta Conte e il riferimento va alla struttura del Mef e alla squadra di Gualtieri con cui gli attriti sono esplosi da mesi in relazione alla trattativa in Europa sul Mes e sul Recovery Fund. A metà giornata, dunque con corposo ritardo, è arrivata la smentita. “La frase è totalmente inventata e come tale non può essere ritrattata perchè queste parole non sono mai state pronunciate” hanno chiarito fonti di palazzo Chigi che ha escluso “attriti tra palazzo Chigi e il ministro Gualtieri e la struttura del ministero dell’Economia”. Qualcosa di molto simile era successa anche ai tempi del Conte 1 e del ministro Tria. Tutto questo preoccupa e non poco il Pd. Da due giorni il capo delegazione Franceschini, che venerdì aveva dato l’altolà a Conte sugli Stati Generali, tace. Il segretario dem Zingaretti resta sulla linea della diffidenza chiedendo “la svolta”, il “cambio di passo” e la risoluzione dei dossier che contano, Aspi, Mes, Ilva, Alitalia, giustizia. Tutto ben più urgente del Piano Colao.

Il partito di Conte

Se tre indizi fanno una prova, è chiaro che Conte sta lavorando per un proprio partito di centro che andrebbe a pescare nelle fila dei 5 Stelle. Una formazione che, alleata al Pd (motivo per cui alla fine al Nazareno non conviene strappare) potrebbe arrivare intorno al 40 per cento ed essere competitiva con il centrodestra nel 2023 quando si andrà a votare. Scenari troppo futuribili, non c’è dubbio. Gli indizi però sono tanti. L’ultimo è che Marianna Mazzuccato, consulente economica di Conte a palazzo Chigi e componente della task force guidata da Colao. Mazzuccato non ha firmato il Piano perchè “mi sono dedicata molto di più alla nuova giovane squadra al lavoro cui il primo ministro ha affidato una precisa mission”. Per Ecco, appunto: Conte ha una squadra che sta lavorando per lui. Per il suo progetto. Nulla si sa invece del progetto politico del Pd. Un vuoto che Zingaretti deve riempire in fretta.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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