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[Il caso] Ex Ilva, il dossier che scotta nelle mani dello Stato. Il Quirinale chiede una soluzione in tempi rapidi

Ipotesi nazionalizzazione tramite Cassa depositi e prestiti. Giorgetti (Lega): “Finirà che ci dovrà pensare lo Stato, come sempre in questo Paese”. Cinque stelle a un passo dall’implosione. Così come la legislatura. Di Maio non controlla più i gruppi parlamentari. I sindacati: “Piedi in terra, non perdere tempo con ipotesi oniriche”

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
[Il caso] Ex Ilva, il dossier che scotta nelle mani dello Stato.  Il Quirinale chiede una soluzione...

Il Quirinale ha convocato il premier per essere aggiornato sul dossier Ilva, per rimarcare che non si tratta di un fatto di un pezzo di territorio ma di una questione nazionale e anche, direttamente, intrecciata con la tenuta politica del governo. “Fare presto e in tempi rapidi” è stata la raccomandazione del Capo dello Stato. Il ministro Patuanelli ha infornato il Parlamento tra molti applausi e altrettanti fischi, cori (“elezioni-elezioni”)  e striscioni (tutto by Lega) “andate a casa voi e non gli operai dell’Ilva”. Il premier, dopo l’incontro con il Presidente Mattarella, ha convocato a palazzo Chigi sindacati e enti locali: sul tavolo tutti i dettagli della storia, da tutti i punti di vista. Poi è andato anche in tv, nel salotto degli italiani che è quello di Vespa, per ribadire ciò che forse non tutti hanno ancora chiaro: il paese deve “marciare compatto, senza divisioni nè speculazioni su quello che potrà accadere nelle prossime ore e giorni”, tanto nelle analisi quanto nelle possibili soluzioni oppure “il caso Ilva diventa l’Armageddon finale sulla tenuta del governo e anche della maggioranza” casomai qualcuno ancora pensasse o ipotizzasse un terzo governo nell’ambito della stessa legislatura.

Il silenzio della multinazionale

In tutta la giornata chi veramente doveva parlare, dare una segnale, battere un colpo, cioè la presidenza e la dirigenza della Arcelor Mittal,  è stato invece zitto. Le 48 ore che Conte aveva dato ai signori Mittal, padre e figlio, scadono entro oggi. Il problema è che si tratta di un ultimatum senza munizioni nè alternative. La multinazionale n.1 dell’acciaio nel mondo ha già deciso: straccia il contratto, abbandona l’Italia e Taranto e si permette anche di citare i commissari della ex Ilva e il governo di allora in Tribunale perchè “inadempienti” e persino “con dolo”. Cioè nulla o quasi è andato come doveva andare. Il governo però non sa ancora che pesci prendere. “Non ci sono piani B”, “non esistono alternative”, “al momento siamo senza soluzioni” è stato ripetuto anche ieri per tutto il giorno in ogni sede. Ma non avere un piano B su un dossier che si trascina da mesi e che sembrava destinato a scoppiare, non è un bel segno per un governo che vorrebbe guidare il paese almeno per i prossimi tre anni. Perchè nel dramma di questa situazione, c’è una cosa che stupisce più delle altre: Ilva non era tra le preoccupazioni del governo nei prossimi mesi.

La profezia di Giorgetti

Una soluzione invece è necessaria e deve essere trovata in fretta anche visto che le acciaierie non possono lavorare a singhiozzo (gli altiforni non sono una caldaia che si accende con un clic) e ci sono circa 15 mila persone che a fine mese aspettano lo stipendio. “Finirà all’italiana - diceva ieri un furibondo Giancarlo Giorgetti - ci metterà i soldi lo Stato, non vedo altre soluzioni”.  Quando, qualche minuto prima, il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli parlava in aula e chiedeva “unità” nelle scelte delle prossime ore perchè “senza la produzione nazionale di acciaio non può esistere una prospettiva industriale seria”, l’ex sottosegretario alla Presidenza del Consilgio dei ministri in quota Lega lo incalzava dal banco: “Ah, adesso chiedi unità, adesso la chiedi, in nome di una prospettiva industriale seria… E prima, cosa avete fatto prima sulla Tav e su tutti gli altri dossier che ci avete bloccato con i vostri No, No e No… un po’ di coerenza”. Parole che pesano perchè Giorgetti è uno che parla pochissimo. Un atto d’accusa che fa male a Patuanelli, capogruppo al Senato nei giorni in cui il Movimento riusciva a votare contro tutti, anche se stesso, e contro la Tav. E’ stata la vigilia della crisi di governo. Un pezzo dei 5 Stelle è ancora oggi rimasto ancora a quel punto là, a quel tempo: vorrebbe dire No al decreto che reintroduce immediatamente lo scudo penale (sui reati ambientali e per le situazioni pregresse) per i manager Mittal.Vorrebbe tornare a parlare di decarbonizzazione.

Lo stallo

Al di là degli appelli all’unità e all’orgoglio nazionale (“è una questione di sovranità nazionale” ha detto il ministro Patuanelli), non si vedono però possibili soluzioni.  E palazzo Chigi è in  pieno stallo.  La trattativa con ArcelorMittal al momento non c’è. Men che meno nel governo c’è la volontà di piegarsi alla multinazionale. L'unica concessione al momento resta lo “scudo penale” non solo per Ilva ma anche per altre realtà, un modo per facilitare investimenti e arrivo di capitali. Lo “scudo” però divide, alla faccia dell’auspicata unità: sono contrari i 5 Stelle, il sindaco di Taranto e il governatore Emiliano; favorevoli tutte le forze politiche e i sindacati. Va detto che nella vertenza specifica lo scudo (che il premier Conte ha subito offerto mercoledì mattina all’azienda ricevendo in risposta un “non serve più grazie”) è un tema ormai superato da altre criticità come lo spegnimento entro il 13 dicembre dell’Altoforno 2 perchè tossico e nocivo come annunciato dalla magistratura e la produzione più bassa rispetto al previsto (4 milioni i tonnellate invece di sei e 60 milioni di perdite al mese).

Nuovi commissari in arrivo

Palazzo Chigi deve quindi prepararsi al peggio, motivo per cui cerca di fare scorta di consensi preventivi. Sul tavolo ora c’è una battaglia legale epica (“Ci vediamo in Tribunale e perderete” è stato il commiato di Conte con i signori Mittal mercoledì mattina) e l'arrivo di nuovi commissari che, attraverso prestiti-ponte, dovranno traghettare l’ex Ilva nel periodo della non facile ricerca di una nuova cordata. Nella maggioranza si fa largo l’idea di nazionalizzare, “acciaio di Stato”. Italia Viva apre nella formula di una presenza importante, ad esempio di Cassa depositi e prestiti, in una cordata ove siano anche privati. Così come era nella cordata arrivata seconda nella gara internazionale aggiudicata nel 2018 da ArcelorMittal (su questo ci sono molte polemiche ma Conte ha chiesto di non farne di nuove, nè con i governi del passato nè con quelli attuali, “qui non si tratta di dare la colpa a qualcuno”).  Per i 5 Stelle la nazionalizzazione è la soluzione nell’ambito di un progetto di “decarbonizzazione” che vede entusiasta, da sempre, anche il governatore Emiliano da anni in trincea per il caso Ilva. “La Regione (che sarà al voto nel giugno prossimo, ndr) darà il via molto presto a corsi di aggiornamento per gli operai Ilva” ha annunciato ieri sera aggiungendo anche di aver sottoscritto una dopo l’altra le parole del premier Conte. Soprattutto il progetto ( non a caso fatto una delle pochissime cose fatte trapelare dal tavolo) di fare di Taranto “il centro internazionale per la conversione energetica”. I sindacati avrebbero invitato a “lasciar perdere progetti onirici perchè il tempo è scaduto”. La nazionalizzazione è per Conte una delle alternative. Con due variabili decisive, però: il via libera di Bruxelles scontato; il peso dell'operazione sui conti pubblici. Che sarebbe però, dalle prime simulazioni, insostenibile.

Comunque ieri sera Conte ha comunicato ai sindacati che se ci sarà l'effettivo disimpegno da parte di ArcelorMittal, “il primo step sarà la gestione commissariale al Mise”.

Piedi per terra

Mai come adesso per affrontare il caso Ilva servono piedi per terra e idee chiare. Sono i sindacati, tutti, a far fare un bagno di realtà a politici, ministri e amministratori ieri sera seduti nella Sala Gialla di palazzo Chigi. Maurizio Landini (Cgil) pensa ad una soluzione “cento per cento pubblica” oppure “mista con un’importante partecipazione pubblica”. Più cauto Marco Bentivogli della Fim: “La gestione commissariale è costata 3 miliardi e 600 milioni e non è la soluzione ottimale”. Occorre aspettare le prossime ore.  “Ci sarà un nuovo incontro governo-azienda - ha detto Bentivogli - non servono soluzioni politiche astratte”. Il primo passo resta “togliere dal tavolo tutti gli alibi: costruire una norma di portata generale che reintroduca lo scudo penale”.

Di Maio senza controllo

Più si vuole togliere dal tavolo la questione dello scudo penale (lo fa costantemente Conte) e più torna sul tavolo. Perchè è qui si misura la volontà e la capacità politica di far andare avanti governo e maggioranza con un Pd sempre più diviso tra andare al voto subito aver approvato la manovra (Orlando, Zanda e altri) e proseguire ma non a tutti i costi (Franceschini e Zingaretti). E allora gli occhi tornano sui 5 Stelle e su Luigi di Maio. “Non controllo i miei gruppi parlamentari” ha ammesso l’altro notte, tornato da Shangai per sedere al tavolo Ilva.  Così ieri Di maio ha dovuto fare un lungo post per dire No allo scudo penale, “un falso problema” e soprattuto un pericoloso alibi che non tiene conto della salute dei cittadini. Mancava solo la citazione del “parco giochi al posto dell’area dello stabilimento Ilva” e saremmo tornati alla campagna elettorale del 2018, quella del No Tap, No Tav e No Ilva e anti altri No. Molti sono già decaduti. Come i consensi dei 5 Stelle. Luigi Di Maio è così una volta di più  a un passo dall'implosione. Non può e soprattutto non vuole forzare sul ripristino dello scudo penale, inviso ad una cospicua parte dei gruppi e, comunque, storicamente bocciato dal Movimento. Se il tema dovesse diventare decisivo e dirimente (ecco perchè lo sminuisce in continuazione) lascerà che siano i gruppi a decidere. Magari in libertà di coscienza. Per il Movimento è la resa dei conti. Lo schema Tav che si ripresenta pari pari tre mesi dopo.  Roberto Fico, nei panni del pompiere, assicura l'unità del Movimento nei momenti chiave. Davide Casaleggio, nel mirino dal dissenso interno, ieri pomeriggio s’è visto alla Camera e poi al Senato. Di Maio vedrà di nuovo i direttivi dei gruppi e, probabilmente, martedì tutti i sentori e i deputati che ancora non sono riusciti a nominare il capogruppo per divisioni interne. Incontri decisivi per la sopravvivenza della legislatura.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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