Il pacifismo-interventismo di Cofferati: l'uomo dei 3 milioni al Circo Massimo che non ha paura di schierarsi
L'ex segretario Cgil sostiene che sull'Ucraina "non può esserci equidistanza e neutralità, perché in campo in questa guerra si fronteggiano l'aggressore Putin e gli aggrediti, il popolo ucraino. E la pace si difende anche inviando armi agli ucraini"

Nella storia dell’Italia della seconda Repubblica, Sergio Cofferati è stato l’unico leader capace di portare in piazza tre milioni di persone. Era esattamente vent’anni fa, fine marzo 2002, e il motivo della manifestazione del Circo Massimo, rimasta nella storia, era la lotta contro la riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori firmata dal governo Berlusconi. Insomma, se c’è qualcuno che non ha paura di essere “di sinistra”, quello è Sergio Cofferati.
Ma, allo stesso modo, l’ex leader della Cgil, ex sindaco di Bologna ed ex eurodeputato del Partito democratico, non ha paura a schierarsi nelle questioni internazionali. Anche dal lato opposto a quello di tanti di quei tre milioni del Circo Massimo.
Lo fece, ad esempio, sul Kosovo, dove la parte più massimalista della Cgil gli rimproverò una certa timidezza nella condanna della guerra, “senza se e senza ma”, che era lo slogan di quei giorni del movimento pacifista, con tanto di dimissioni di alcuni esponenti del sindacato che non condividevano la sua linea. Ma in quei giorni fu Adriano Sofri, anche con una lettera aperta allo stesso Cofferati, a spiegare che la mattanza etnica fra serbi e croati in Bosnia richiedeva un intervento.
Due anime della Cgil sul Kosovo
Insomma, anche allora si palesarono le due anime della sinistra che in questi giorni hanno due posizioni: da un lato quella rappresentata in Parlamento da Rifondazione comunista, da Potere al Popolo, dagli ex grillini di Alternativa e da alcuni tuttora pentastellati, a partire dal presidente della commissione Esteri di Palazzo Madama Vito Petrocelli, e addirittura da una parte dell’Associazione Nazionale Partigiani Italiani, soprattutto quella dei dirigenti giovani, che non hanno fatto la Resistenza.
E poi ci sono le parole di chi c’era, di chi le dittature le ha vissute e subite sulla sua pelle, a partire dalla senatrice a vita Liliana Segre e dall’ex presidente ANPI Carlo Smuraglia, che il nazismo sanno cos’è meglio di chiunque altro, e da Luigi Manconi, ex leader dei Verdi e garantista storico che più di tutti ha spiegato perché pacifismo e neutralismo rischiano di essere il miglior regalo a Putin e agli aggressori.
Ecco, Sergio Cofferati è di questa scuola. La scuola della democrazia. L’ha spiegato in una serie di interviste e lo spiega anche agli amici che lo incontrano a Genova, dove è un ottimo padre per Edoardo e un ottimo marito per Raffaella. E ogni sua uscita è un’occasione per ribadire il concetto esplicitato nelle interviste televisive, ai giornali, a “Micromega” che di quei tre milioni di persone fu il giornale di riferimento.
Spiega quindi Cofferati a tutti coloro che provano ad arringarlo, spiegando che “occorre essere contro la guerra e per la pace”: “Prendere parte è necessario. Non può esserci equidistanza e neutralità, perché in campo in questa guerra si fronteggiano l'aggressore Putin e gli aggrediti, il popolo ucraino. E la pace si difende anche inviando armi agli ucraini".
E le parole affidate proprio nell’intervista a “Micromega” risuonano in ogni discorso di Cofferati, anche perché sarebbe grave se non tenesse rigorosamente il punto. Lo fa al Mercato Orientale, dove fa le spese alimentari, lo fa negli intervalli del teatro, al Modena dove è in scena “Lady Macbeth” e al Carlo Felice dove c’è la “Manon Lescaut” pucciniana, entrambe nella splendida lettura di Davide Livermore. L’opera poi ha due lunghi intervalli ed è quindi perfetta per permettere argomentazioni ricche di esempi e ragionamenti.
Insomma, spiega Cofferati agli amici e a chi gli contesta l’articolo 11 della Costituzione, interpretato però a proprio comodo da filorussi che si nascondono dietro un pacifismo che tale non è. E non è un caso che certa destra, certa sinistra e certo sovranismo, anche di marca grillina, si tocchino proprio su questo, magari citando il Papa che viene sempre bene quando fa comodo: "Un conto è ripudiare la guerra, perché non la promuovi, non la solleciti e non la giustifichi, ma qui la guerra c'è: la sta facendo Putin. Dobbiamo aiutare gli aggrediti in ogni modo, con gli strumenti di carattere politico e militare. Ed è una storia che conosciamo”.
Ovviamente, l’esempio è la Resistenza: “Come mai non guardiamo al nostro passato? Ci saremmo mai liberati dai nazisti e dai fascisti senza l'uso delle armi? Chi ci aiutò in quegli anni non lo fece forse anche con gli strumenti militari? Io voglio la pace. Credo nel valore assoluto della pace e della democrazia, ma quando è attaccata va difesa in ogni modo. Se non si distingue tra aggressori e aggrediti, si rischia di compiere scelte errate e ideologicamente contorte".
E ancora: “C’è uno che invade e uno che viene aggredito. L’equidistanza che alcuni hanno addirittura teorizzato è un’assurdità, un’ipotesi priva di qualsiasi senso. Lì c’è l’esercito di un Paese che ha invaso un altro Paese. C’è un invasore e ci sono delle persone che sono state aggredite a casa loro. Questa è la prima questione da chiarire perché non ci siano dubbi su quello che sta accadendo. Seconda questione: il Paese che ha invaso è un Paese nel quale non c’è una democrazia acclarata, notoriamente infatti in quel Paese non c’è nessuna accettazione del dissenso, di opinioni diverse da quelle di chi gestisce il potere, non c’è un’articolazione democratica come siamo abituati a conoscerla e a viverla in tanti Paesi europei.
Lo dico perché nella discussione di questi giorni ci sono tesi che a me mettono un po’ di angoscia. Quando si dice infatti “se si arrendessero si risparmierebbero tanti morti e tanti danni”, si ignora il fatto che con la resa scomparirebbe la democrazia e il Paese che ha invaso imporrebbe le sue modalità e le sue regole di gestione della politica che non riconoscono, non dico il dissenso, che già è una parola forte, ma la mera diversità di opinioni. Dunque, chi eventualmente si arrendesse verrebbe privato della libertà e alcuni di loro rischierebbero la vita. Per cui non si può sostenere disinvoltamente, come alcuni fanno, che se si arrendessero sarebbe un bene per loro perché avrebbero meno morti e meno danni. Non sarebbe così”.
Insomma, chiosa Cofferati, “Sono molto sorpreso dai commenti che ho letto e che francamente nella sinistra non mi aspettavo”. Eterno ritorno dell’eterna domanda gaberiana: che cos’è la destra? Cos’è la sinistra? Cosa sono oggi?