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[Il caso] Il lungo addio di Luigi Di Maio. Che prova a resistere ma dovrà lasciare se il M5S si fermerà al 5% in Emilia Romagna

La rabbia del leader ieri di fronte alla notizia in prima pagina sul giornale amico circa il suo imminente passo indietro. I sospetti che la fonte sia a palazzo Chigi. Ma in assemblea plenaria di fatto lo hanno già commissariato. Di Maio prende tempo fino agli Stati generali (13-15 marzo)

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Tre mosse per resistere. Ma quello del capo politico del Movimento 5 Stelle è ormai un fortino troppo indebolito. La mossa numero uno è stata smentire categoricamente il giornale amico (Il Fatto Quotidiano) che ieri mattina ha dedicato la prima pagina alla notizia delle sue dimissioni (di Luigi Maio) dal vertice politico del Movimento entro il 20 gennaio. “Una assoluta fake news” ha tagliato corto lo staff di Luigi Di Maio. Almeno con un’ora di ritardo però (alle 8.40) rispetto al dovuto. Un tempo lunghissimo che si giustifica infatti con la “sorpresa” e lo “stupore” che ha colto lo stesso staff del ministro degli Esteri. “Una pugnalata così da Il Fatto non ce l’aspettavamo” riferiscono. Tanto che, senza neppure troppo mistero, i colpevoli della soffiata fake sarebbero stati subito individuati dentro palazzo Chigi. Dopo il lungo faccia a faccia tra Conte e Di Maio giovedì pomeriggio per cercare di superare il brutto incidente diplomatico con il libico Serraj.

Tre mosse per reagire  

La mossa numero 2 è stata anticipare l’annuncio della data degli “Stati generali” del Movimento (13-15 marzo), l’assise in cui per magia il Movimento dovrebbe rifondarsi, superare la crisi del “settimo anno” (entrarono in Parlamento nel marzo 2013) e ripartire facendo riferimento non più ad uno solo (cioè Di Maio) ma ad una “segreteria” di “facilitatori”, ben 18, detto anche “il team del futuro” (anche questo modi di esprimersi, forse, ha fatto un po’ il suo tempo).

La mossa numero 3 è stata mettere in campo i fedelissimi. “Fatevi sentire che altrimenti sembra che Luigi è rimasto solo” è stato l’invito-suggerimento. Il problema è che alla fine se ne sono schierati meno del previsto: Fraccaro, Castelli, Bonafede, Buffagni, Crimi, D’Uva e Di Stefano, Macina e Battelli tra le prime file (cioè membri del governo) e poi altre figure minori. Troppo poco per il capo politico del Movimento che ha la maggioranza relativa in Parlamento, oltre trecento parlamentari.

“S’è rotto qualcosa”

A metà giornata una fonte politica vicina all’entourage di Di Maio rifletteva con realismo e amarezza: “Sarà lungo e anche faticoso ma sarà comunque un addio. Ormai s’è rotto qualcosa tra lui e la nostra base, prima lo capisce e meglio è. Certo che se in un momento come questo, quando la sera prima c’è stata un’assemblea importante nella storia di questo Movimento perché c’è stato chi per la prima volta ha preso la parola per dirgli ‘non sei superman, o fai il capo o fai il ministro’, Luigi fa uscire un’intervista sul Corriere in cui tratta con la mano sinistra la questione del cumulo degli incarichi, dimostra anche di essere arrogante. E questo mi spiace e mi preoccupa”.

Non c’è dubbio che i problemi non possono essere concentrati su una persona sola, Luigi di Maio, che comunque ha traghettato il Movimento dal nulla fino al governo giocando anche con il doppio forno, prima con la Lega e poi con il Pd. Ma i movimenti leaderistici condividono il fatto che quando le cose non vanno, prima ancora di chiedersi perché e cercare risposte, si cambia il capo. Dunque probabilmente è esagerato ipotizzare il passo indietro del Capo politico “intorno al 20 gennaio, quando sarà completata la segretaria del Movimento con la nomina dei facilitatori regionali”. Ma il concetto non cambia.

 

5%, soglia di sopravvivenza

I numeri di cui si parla, infatti, sono altri: il 5 e il 26. Il primo fa riferimento alla soglia di percentuale di voti che il Movimento, che ha preteso di correre da solo, dovrà superare alle regionali per sopravvivere politicamente. Il secondo è la data delle regionali, I sondaggi lo attestano in Emilia Romagna tra il 5 e il 9. Un po’ meglio (intorno al 12%) andrebbe in Calabria dove però il candidato Aiello è alle prese ogni giorno con uno scandalo (di ieri il vincolo parentale con un presunto mafioso scomparso da cinque anni). Scendere al 5 per cento in Emilia Romagna, che del Movimento è stata la culla, sarebbe una disfatta senza ritorno. E con un responsabile - Luigi Di Maio - che finirebbe in quel caso sotto processo e sarebbe costretto a lasciare. Sarebbe stato Grillo nei colloqui dei giorni scorsi a fissare l’asticella del non ritorno al 5%.

I difensori, troppo pochi

I difensori di Di Maio gli riconoscono qualità e capacità politiche. “Chi attacca Luigi Di Maio, attacca il Movimento!” ha scritto ieri Bonafede. “ Il nostro capo politico merita rispetto. Chi lo attacca, oltre a dimostrare evidente miopia, forse dimentica il percorso fatto dal Movimento da quando Luigi è stato eletto dalla rete. Una strada che ci ha portato ad avere la straordinaria occasione di dare concretezza a tutte quelle idee e valori che sono stati da sempre nel nostro Dna”. A senso unico il sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro. “In 20 mesi il M5S è riuscito a raggiungere i migliori risultati e lo ha fatto con Luigi Di Maio capo politico. Siamo noi l’unica speranza di cambiamento per milioni di italiani e la fase di rilancio ci renderà sempre più forti nel portare avanti la nostra azione di Governo”. Piuttosto, i fedelissimi osservano come le critiche e gli attacchi arrivino da chi non è in regola con le rendicontazioni. E da chi, nella speranza di un nuovo incarico e di un ruolo politico, sta lasciando il Movimento per approdare alla Lega o ad un nuovo soggetto politico.

 

Soldi e invidia

Nel mirino c’è soprattutto l’ex ministro della Pubblica Istruzione Fioramonti e il suo “Eco” dove stanno transitando uno dopo l’altro deputati e senatori. Ieri altri due – Massimiliano De Toma e Rachele Silvestri – e almeno altri quattro sarebbero in partenza. In tempo, ai primi di febbraio, per dare vita alla componente di Eco nel gruppo Misto della Camera (ne servono almeno venti per fare un gruppo parlamentare). “Tutte terze e quarte file che condividono la mancata rendicontazione e una presenza parlamentare incolore” è la stroncatura dei dimaiani. “Perché Fioramonti – polemizza Buffagni a distanza - che è in Parlamento grazie al Movimento e alla piattaforma Rousseau non mostra i bonifici che dice di aver fatto ma che a noi non risultano? Facile parlare di coerenza e trasparenza. Occorre soprattutto praticarla”. E quando non si tratta di soldi, dietro i malumori e le critiche, dicono, “c’è la rabbia di chi credeva di avere un certo tipo di incarico nel Conte 2 e non l’ha avuto”. C’era una volta uno-vale-uno e la scatoletta di tonno da aprire e svuotare.

 

E c’è già una nuova linea politica

L’immagine del lungo addio di Di Maio è emersa in modo chiaro giovedì sera all’assemblea plenaria dei parlamentari a cui ha partecipato Di Maio e, tra i ministri, Patuanelli e Spadafora, il mentore politico di Di Maio ai tempi del 33 per cento. La lettera-documento firmata da tre senatori – Dessì, Crucioli e Di Nicola – nei fatti dà la linea a quel che resta del Movimento: Sì al riformismo e no a Salvini; divisone di ruoli tra governo e partito; stop ai decreti e voti al buio; cambiare la gestione di Rousseau che va tolta alla Casaleggio, affidata al Movimento e perseguita con trasparenza e democrazia; cambiare il metodo delle restituzioni. Un vero e proprio cartello politico con tanto di regole interne.

 

Odore di Gattopardo…

Di Maio non ha reagito bene. “Basta con questi documenti – avrebbe detto in assemblea - è il quinto che arriva dal Senato e il terzo dalla Camera. Si potrà rimettere tutto in discussione, ci sarà dibattito ma questo avverrà a marzo, non ha senso parlarne ora, è stata avviata la riorganizzazione interna e si rischia solo di delegittimare il Movimento in un momento così delicato”. Di Maio chiede tempo e prega di stare buoni. “Ma - ribatte un senatore - così i problemi restano irrisolti e rischiamo la debacle alle prossime elezioni”. Soprattutto, aggiunge una senatrice, Di Maio “ha ampi poteri, se li è dati con Davide Casaleggio nel 2017 con lo Statuto del nuovo partito ratificato poi dal web. Il suo incarico dura cinque anni ed è rinnovabile per altri cinque”. Sentono odore di Gattopardo i parlamentari critici e malpancisti. Di quell’antico tutto cambia per non cambiare mai. E le soffiate di fonti qualificate sulle dimissioni imminenti hanno a che fare soprattutto con questo.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani, giornalista parlamentare   
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