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[La polemica] Colpo di scena, la guerra mondiale contro Berlusconi è finita. Ora per il suo grande nemico è il male minore

Il signore di Arcore, nel tempo della grande incertezza, smette di essere un impresentabile, un moderno demone, diventa un usato sicuro, un uomo di cui non si condivide nulla, ma a cui si riconosce, in questa fase storica, una maggiore affidabilità rispetto all’incognita grillina, rispetto alle pulsioni anti-Europee. Scalfari coglie con grande sensibilità il problema di un mondo

Luca Telesedi Luca Telese   

Ieri, a Dimartedì, Eugenio Scalfari ha messo fine alla “seconda repubblica” e ha aperto i battenti alla terza con due parole e una spruzzata di puntini sospensivi. 
-Floris: "Chi voterebbe tra Di Maio e Berlusconi?”. Scalfari :"Sceglierei... Berlusconi!".
Dentro questa lapidale dichiarazione - come spesso accade - c’è tutto un mondo, o meglio: ce ne sono almeno due. Finisce la seconda Repubblica bipolare (quella che “O si sta di qua o si sta di là”) e finisce il mondo di Repubblica - il quotidiano - come lo abbiamo conosciuto fino a ieri. Le dieci domande, Cavaliere si dimetta, guerra alle olgettine, superiorità morale. 

La dichiarazione che spiazza

Se Berlusconi diventa un male minore, infatti, cade un architrave identitaria forte del quotidiano di Largo Fochetti. L’idea che anche nel mondo nato dalla caduta del muro di Berlino si potesse e si dovesse scegliere, senza se e senza ma, fra alternativi morali. Curioso che proprio nel giorno in cui esce “la nuova La Repubblica”, con un carattere progettato apposta per l’occasione (che porta il suo nome), Eugenio spiazzi tutti. Tant’è vero che oggi Sergio Rizzo, vicedirettore del quotidiano faticava a tenere la fiaccola: “Capisco Eugenio, ma io non ho mai detto cosa votavo al Corriere della Sera, non lo dirò nemmeno ora”. Una prudenza comprensibile ma che il Fondatore, con il suo fiuto e la sua esperienza non ritiene di dover osservare.

Se il centrosinistra sta a guardare

Scalfari avverte che dalle elezioni siciliane in poi la crisi del Pd di Matteo Renzi (e la guerra a sinistra, è lo stesso) faccia si che talvolta gli antagonisti si riducano a due, perché il più debole non si qualifica per la fase finale delle grandi partite politiche. Era così vero che è già accaduto - anche in un doppio turno - ad Ostia, solo pochi giorni fa. E allora, se si sfidano il centrodestra e i Grillini la sinistra cosa fa? Rimane equidistante? Non dichiara le sue preferenze? Vota sotto banco?

Bisogna scegliere

Il vecchio-giovane Eugenio ha messo a fuoco il primo grande dibattito della stagione tripolare: se la tua squadra non c’è più perché il Renzismo nel suo crepuscolo si trascina dietro la qualificazione per la fase finale, allora bisogna scegliere. E se bisogna scegliere, lui, Eugenio, preferisce abbracciare il nemico di ieri piuttosto che rischiare l’ignoto. C’è un eco, in questo dibattito, dell’ormai proverbiale “votare turandosi il naso” con cui Indro Montanelli giustificava nei suoi editoriali la preferenza apposta nell’urna sul simbolo dello scudocrociato.

Votare come Montanelli

All’epoca, negli anni 70, nel tempo delle grandi distinzioni ideologiche ideali, Montanelli usava questa immagine per dire che a lui la Dc non piaceva, ma gli dispiaceva meno di tutto il resto. Quindi il signore di Arcore, nel tempo della grande incertezza, smette di essere un impresentabile, un moderno demone, diventa un usato sicuro, un uomo di cui non si condivide nulla, ma a cui si riconosce, in questa fase storica, una maggiore affidabilità rispetto all’incognita grillina, rispetto alle pulsioni anti-Europee. Scalfari coglie con grande sensibilità il problema di un mondo: mi era capitato, sulla piazza di Palermo, mentre seguivo il comizio conclusivo di Claudio Fava, di trovare sentimenti opposti Tra gli elettori della sinistra. Anziani che facevano lo stesso ragionamento di Scalfari, e che davano un voto disgiunto alla sinistra, è uno a Musumeci, e giovani che partendo da un presupposto assolutamente contrario, davano anche loro un voto disgiunto in cui, alla lista di sinistra, associavano invece il voto a Cancelleri, “per battere la destra”. Già, perché il corollario del ragionamento fatto da Scalfari nella sua risposta a Floris è evidente: ci saranno tanti, a sinistra, al centro e nel Pd che faranno il contrario di quello che dice lui. È già successo: a Ostia, a Roma, a Torino, per quella grande fetta di elettorato, che al valore dell’usato sicuro preferisce quello del cambiamento.

Luca Telesedi Luca Telese   
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