Rapporto Ispra sull’ambiente in Italia: «qui la transizione ecologica è già cominciata (e qui no)»

Crescono i boschi ma aumentano le “isole di calore” urbano, con 4-5 gradi di temperatura in più rispetto alle aree periferiche. E cresce il consumo del suolo a grande velocità: 60 chilometri quadrati l’anno, più di 15 ettari al giorno. In testa a tutti la Capitale che, in un anno, ha “trasformato” quasi 110 ettari di suolo, pari a 200 campi da calcio. Intanto, la transizione energetica muove i primi passi: è diminuito del 18% il fabbisogno di energia rispetto al picco del 2005, i consumi da fonti rinnovabili (19%) sono più che raddoppiati. Comincia a muoversi anche l’economia circolare: di risorse naturali se ne utilizzano meno
L’analisi di ANNA MARIA SERSALE
PATOLOGIE E SQUILIBRI caratterizzano lo stato di salute del nostro ambiente. Ma ci sono anche segnali positivi. Dal secondo dopoguerra ad oggi abbiamo raddoppiato la superficie delle nostre foreste, battendo Germania e Svizzera. L’Italia è un paese coperto quasi al 40% da foreste, per l’esattezza la percentuale di territorio coperto da boschi da noi oggi è pari al 37%, un valore superiore a quello dei due paesi europei, entrambi al 31%. Lo certifica l’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Dagli Anni ’50 le foreste italiane sono aumentate costantemente, passando da 5,6 a 11,1 milioni di ettari. Occorre attenzione, però, alla conservazione di alcune tipologie, come i boschi umidi e quelli lungo le rive dei fiumi, le foreste vetuste e quelle di pianura (minacciate dagli incendi, dal cemento e dalle infrastrutture). Altro dato positivo è che dagli anni Settanta ad oggi le aree protette terrestri e marine sono aumentate: la superficie protetta sulla terra tocca il 20% , quella marina oltre il 19%. Un tesoro di biodiversità animale e vegetale che entro il 2030 raggiungerà la quota del 30%, poiché sono in programma 23 nuove aree marine protette. E grazie al finanziamento di 400 milioni di euro previsti dal Pnrr ci saranno aiuti per risanare i fondali marini, ripulirli dalla plastica e da altri inquinanti.
Cementificazione, scarsità di aree verdi, inquinamento, dissesto dei territori, crisi climatica. «Fenomeni allarmanti, che mettono a rischio soprattutto le aree più fragili», rileva l’Ispra, che in vista del Pnrr ha presentato alla Camera dei deputati un nuovo Rapporto sull’ambiente, grazie ai dati dell’Istituto, con oltre 600.000 campioni esaminati, 74.000 istruttorie, 100.000 ispezioni, con l’intento di sottolineare le trasformazioni in corso ed indicare in quale direzione andare nel futuro. Sotto esame i sistemi di urbanizzazione. Più di un terzo della popolazione italiana si concentra in quattordici città metropolitane, con effetti disastrosi perché si crea il fenomeno delle “isole di calore” urbano, anche per l’utilizzo dei sistemi di caldo/freddo degli edifici; tra le cause dell’aumento delle temperature, fino a 4-5 gradi in più rispetto alle aree periferiche.
L’avanzare del cemento, il consumo incontrollato di suolo, l’urbanizzazione selvaggia contribuiscono al dissesto del territorio e al global warming. Da decenni le dinamiche speculative divorano migliaia di ettari. Il consumo di suolo in Italia procede a velocità elevatissima: vengono “bruciati” 60 chilometri quadrati l’anno, in media più di15 ettari al giorno, più di 2 metri quadrati al secondo. Purtroppo il disegno di legge che dovrebbe mettere un freno a tutto questo è arenato in Parlamento. Risultato: invece di rigenerare e riqualificare edifici e infrastrutture esistenti non si fermano le colate di cemento.
Guardando i dati nazionali si scopre che la Lombardia è la regione che ha registrato il più alto consumo di suolo, seguita da Veneto, Puglia, Piemonte e Lazio. La provincia romana è una delle più compromesse, la maglia nera va alla Capitale che in un anno ha “trasformato” quasi 110 ettari di suolo, un’estensione pari a 200 campi da calcio. Nella classifica negativa delle province seguono Cagliari e Catania. Se poi consideriamo che il 2020 ha chiuso il decennio più caldo di sempre, con anomalie tra +0,9 e +1,71 gradi, appare evidente quanto la situazione sia critica. «L’Italia — sottolinea Ispra — si trova al centro del Mediterraneo, dove l’impatto dei cambiamenti climatici sarà presumibilmente più intenso e disastroso a causa dell’elevata vulnerabilità dell’area».
Se i dati positivi aprono la strada alla transizione ecologica, quelli negativi sono i mali da curare il più in fretta possibile. Crisi climatica e consumo di suolo, urbanizzazione selvaggia e alcune attività produttive contribuiscono al dissesto idrogeologico. Relativamente agli ultimi 20 anni i danni provocati da eventi estremi sono stati stimati in oltre un miliardo di euro l’anno. Una cifra di gran lunga superiore agli investimenti, che in media non hanno superato i 300 milioni annui per combattere il rischio frane e le alluvioni. Solo negli ultimi tre anni gli investimenti hanno raggiunto il miliardo l’anno: ancora poco, tenuto conto che il fabbisogno è di 26 miliardi.
Dunque, moltissime criticità. Per abbattere le emissioni di gas serra nel nostro Paese troppa strada resta da fare. Le politiche di decarbonizzazione e l’impiego delle rinnovabili procedono a rilento e sono ancora un traguardo molto lontano. Tuttavia l’Ispra evidenzia che negli ultimi 30 anni le emissioni di gas serra prodotte dall’Italia si sono ridotte del 19% rispetto al 1990. Un risultato che si è ottenuto attraverso l’impiego (ancora modesto) dell’energia da fonti rinnovabili, soprattutto con l’idroelettrico e l’eolico. La riduzione delle emissioni è avvenuta soprattutto grazie ai grandi utilizzatori, ovvero le grandi aziende, che dispongono delle risorse necessarie per investire in nuove tecnologie più efficienti: diminuite le emissioni del 46% nell’industria manifatturiera e del 33% nelle industrie energetiche.
Intanto, la transizione energetica muove i primi passi: è diminuito del 18% il fabbisogno di energia rispetto al picco del 2005 e più che raddoppiati i consumi da fonti rinnovabili (19%); e comincia a muoversi anche l’economia circolare: si utilizzano meno le risorse naturali. Ma ci sono ancora troppi veleni. I pesticidi, per esempio, proteggono le colture agricole dai parassiti tuttavia comportano effetti negativi. In Italia se ne usano 114.000 tonnellate l’anno, con circa 400 diverse sostanze. Nei cibi se ne trovano pochi residui, ma nelle acque superficiali e sotterranee ci sono tracce evidenti: con concentrazioni che nel primo caso superano i limiti del 25%, e del 5% nel secondo. Non solo. La contaminazione è sottostimata, a causa di difficoltà tecniche e metodologiche. Obiettivo europeo è ridurne l’uso del 50% entro il 2030. © RIPRODUZIONE RISERVATA