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Nel nàos di Cosimo Damiano Fonseca tra libri, ricordi e gustosi caffè fumanti

di Italia Libera   
Nel nàos di Cosimo Damiano Fonseca tra libri, ricordi e gustosi caffè fumanti

In via Vittorio Veneto, a Massafra, risiede un vero maestro: teologo, storico, medievista di fama europea, fondatore dell’università della Basilicata. Grazie a un semaforo giallo in tempi di Covid, il nostro inviato in Magna Grecia gli fa visita per accertarsi stia bene, farsi raccontare di Federico II, di Tancredi, degli aragonesi, della congiura dei Baroni, di guelfi e ghibellini, di masserie fortificate e di monaci basiliani. Che ne è stato della proposta di apporre una targa sulla facciata del castello di Taranto al grande Federico II? E del ridisegno dell’archeologia urbana, a partire dall’anfiteatro romano, avanzata da Francesco D’Andria? Questi ed altri interrogativi si pone ci pone Fonseca

Il racconto di ARTURO GUASTELLA, nostro inviato nella Magna Grecia
SE AVETE DESIDERIO di parlare, ma soprattutto, di ascoltare di normanni, di svevi, di Federico II, di Medio Evo, ma anche di arte e di letteratura, di pittura, e di archeologia e di civiltà rupestre, c’è un luogo, un santuario nella via Vittorio Veneto, a Massafra, dove “officia” un gran sacerdote. E, poiché questa cittadina, Massafra, è conosciuta anche come la “Tebaide” d’Italia, non è azzardato raccontare di questo “maestro”, come di quel Thot della città egizia “dalle cento porte”, di Tebe, insomma, che era il nume della sapienza, della scrittura, della misura del tempo, della geometria e della musica e delle arti. Sono anche sicuro che questo magniloquente incipit, strapperà un sorriso al mio carissimo “Don Fonseca”, e per qualche minuto lo distoglierà dai suoi libri e dalla sua scrittura e dai mille impegni che continuano a vorticare le sue giornate. Anche in tempi di covid, di vaccini e di pandemie. Mentre quel “Don”, lanciato quasi per caso sulla pagina dal vostro malizioso cronista, oltre ad essere un “sema”, un segno di affetto, sottolinea anche che il nostro sacerdote è davvero un monsignore, una tonaca illustre, parimenti innamorato di teologia (con una laurea specifica) e di storia (altra laurea alla Cattolica di Milano) e un medievista di fama europea. «Meno male che non hai detto mondiale ‒ accentua il sorriso ‒ dato che oltreoceano, c’è un altro concetto di Medio Evo». Ma non ero venuto qui, in questo “nàos” di via Vittorio Veneto a Massafra, per riandare ai tempi in cui il nostro “Don Fonseca” era anche Magnifico. Nel senso di quando aveva letteralmente fondato l’Università della Basilicata, introducendo, forse per la prima volta in Italia, l’accesso alle facoltà con il numero programmato. Averla diretta “magnificamente”, per oltre tredici anni, fino a farne un autentico gioiello della cultura accademica del nostro Mezzogiorno.

Ero venuto, invece, approfittando del “semaforo giallo” accordatoci dal Governo, per farmi raccontare di Federico, di Tancredi, degli aragonesi, della congiura dei Baroni, di guelfi e ghibellini, di masserie fortificate e di monaci basiliani. Ma, soprattutto, per accertarmi che stesse bene. Che la sua linea sottile ed elegante non si fosse maggiormente piegata sotto il peso degli anni e che non si fosse appannata quella sua straordinaria (non c’è altro termine per definirla) capacità di tenere un discorso, di raccontare per decine e decine di minuti, senza mai perdere il filo. Senza la minima sbavatura. Di continuare a voltare le pagine del suo grandissimo sapere in perfetta sincronia. «A proposito di Federico II ‒ mi fa subito notare ‒ e della sua venuta a Taranto, più e più volte, fino quella estrema del suo viaggio definitivo per Palermo, possibile che la marina militare e il sindaco di Taranto, che non ho il piacere di conoscere personalmente, abbiano lasciato cadere nel vuoto la proposta di apporre una targa sulla facciata del castello che guarda al canale navigabile, per gli ultimi onori militari e di Taranto al gran re?». «E nessuna notizia ‒ rincara ‒ della proposta di un ridisegno dell’archeologia urbana a Taranto, a partire dall’anfiteatro romano, avanzata dal mio caro Francesco D’Andria e subito condivisa dai più grandi nomi dell’archeologia italiana e dell’architettura archeologica europea?».

Mi racconti, piuttosto, di Leonardo Sciascia, cerco di glissare. Quella volta, di quando dopo aver presieduto la commissione che aveva messo in cattedra all’università di Palermo (storia medievale, ovviamente), Salvatore Fodale, il genero dell’autore di Todo Modo, di Una Storia Semplice, o di Il Giorno della Civetta, foste invitati in un ristorante di Palermo dove, insieme alla pasta con il nero di seppia e un assaggio di quella con le sarde, si parlò anche di “Gattopardi”, delle poesie del barone Piccolo o dei Beati Paoli? «Turi Fodale, è andato in pensione proprio qualche tempo fa e quella fu una di quelle serate indimenticabili. Come quella volta a Matera, con te, Cesare de Seta, Fabio Isman, Eugenio Introcaso, e il ministro della Giustizia del tempo, ricordi?». E, come non potrei! «E, tuttavia — riprende il filo rouge — se dovessero decidere di porre quella targa a Federico, sappi che io ho già scritto il testo».

Per fortuna, si apre un varco sulla moltitudine di libri che impreziosiscono l’intera dimora del prof. Cosimo Damiano Fonseca, la sorella del Magnifico, la professoressa Comasia, con un vassoio di caffè fumanti. I cui aromi, opportunamente, assorbono qualunque mia improbabile risposta. E ritorniamo a chiacchierare dei castelli di Melfi e di Lagopesole, e di Pier delle Vigne e dell’arte della caccia con i falchi e del venusino Orazio, e delle sue conferenze “in remoto” (e sorride) con l’Accademia dei Lincei. E di Italia Nostra, del quale è stato Presidente regionale e di Giorgio Bassani e dell’Ilva e della sua “variante indiana”. Mi duole accommiatarmi. «Aspetta», mi fa cenno. E, come di consueto, mi riempie le braccia di libri. Viridarium Novum, un ponderoso volume di studi di storia dell’arte, e il Sellerio di Le Contraddizioni della Storia, e Melfi tra Longobardi e Bizantini (due volumi), e altri due volumi di scritti in onore del suo maestro, Cinzio Violante. E, ancora. Palagianello: dal Casale al Comune. E, infine, un raffinatissimo e splendido tomo (e tostissimo, come peso) di cultura rupestre, Due Regioni, una Civiltà, la vita in Grotta tra Puglia e Basilicata.

Arrivederci a presto, professore. E, accidenti come pesa la cultura! © RIPRODUZIONE RISERVATA

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