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Il dopo Berlusconi, l’egemonia della Destra e «la solita recita del reciproco inganno»

di Italia Libera   
Il dopo Berlusconi, l’egemonia della Destra e «la solita recita del reciproco inganno»

L’attacco a freddo del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano alle radici federaliste dell’Unione Europea apre l’anno elettorale che ci porterà al rinnovo del Parlamento europeo. «La lava incandescente delle passioni popolari» torna «a solidificarsi nel vecchio stampo» degli assurdi nazionalismi temuti da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. La richiesta europea di spendere bene i soldi del Pnrr sarebbe un attacco alla sovranità del popolo italiano, per il “dottor sottile” della Destra. «Silvio Berlusconi è stato il bersaglio numero uno del partito del “Manifesto di Ventotene”. Oggi Meloni è nel mirino per lo stesso motivo», ha specificato l’eminenza grigia della premier. La Destra italiana ha bisogno di trasferire in Europa l’egemonia costruita dall’impero mediatico di Mediaset nell’ultimo ventennio, per consolidarla nella Nazione “riconquistata”. La partita decisiva dei prossimi decenni in Italia e in Europa si gioca oramai quasi tutta qui

Questo editoriale apre il numero 39 del nostro magazine distribuito nelle edicole digitali dal 20 giugno 2023

L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ

A DIRLA DRITTA, stavolta ci ha pensato Alfredo Mantovano. Se, a destra, c’è un “dottor sottile” quello è lui: taciturno e appartato, apparentemente impalpabile, con i dossier giusti sempre sul tavolo, persino se dichiarare o meno il lutto nazionale per la morte di Berlusconi. «C’è un “partito” anti-italiano, che non si presenta alle elezioni che pensa che l’Italia sia un paese sbagliato», ha detto stavolta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, un “partito” che si riconosce nel “Manifesto di Ventotene”. Lo ha fatto alla festa di “Tempi” di metà giugno. Proviamo a mettere a fuoco la questione politica.

Da Ventotene — dov’erano stati confinati da Mussolini —, nel 1941 Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi scrissero i capisaldi del “Manifesto” dell’Europa federale fondata su pace e libertà, mentre il continente sprofondava nell’abisso della guerra nazifascista. Diffuso clandestinamente da Eugenio Colorni prima di essere ucciso dai fascisti, quel “Manifesto” divenne la traccia su cui prese corpo la battaglia per dar vita all’Unione Europea. L’obiettivo dichiarato era evitare che «la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità nazionalistiche».  

Per “chiamare le cose con il loro nome” — tema dell’incontro dei conservatori cattolici a Caorle —, l’eminenza grigia di Giorgia Meloni si spinge con non poca audacia ad affermare che chi si riconosce negli scritti di Spinelli, Rossi e Colorni ritiene che «il popolo non è in grado di operare le sue scelte, se lo fa è pericoloso e va riorientato». Per il braccio destro della premier, «è questa la logica del Pnrr: se non fai come dico io ti tolgo i fondi». Chiaro? Non abbastanza: «il governo Meloni — aggiunge Mantovano — è pericoloso, perché rompe questa logica. Berlusconi è stato il bersaglio numero uno di questo partito. Oggi Meloni è nel mirino per lo stesso motivo». E qui il cerchio si chiude.

Sono parole, queste, che dicono tanto di quel che avremo davanti fino alle elezioni del giugno 2024. E ci dicono tutto sulla lotta per l’egemonia che in Italia la destra ha già vinto da un ventennio, per trasferirla ora in Europa e consolidarla nella Nazione “riconquistata”. Sull’egemonia della destra imperante i funerali del fondatore di Forza Italia sono stati uno specchio implacabile anche della memoria del Paese che si avvicina a quella del pesce rosso. Tutto è perdonato dalla finta bonomia nei confronti degli “eccessi”. E “i vedovi” sono tanti. Fra i giornalisti essi hanno una densità persino superiore a quella dei calciatori o delle soubrettes dell’universo Mediaset, costruito dalla tessera n. 1816 della P2 di Licio Gelli, secondo i dettami (punto 2, lettera d) del “Piano di rinascita democratica” trovato a Castiglion Fibocchi. 

Cupio dissolvi o cervello all’ammasso poco rileva in un racconto continuo che trasfigura i vizi in virtù. Tirata nel dibattito sul lutto nazionale, Dacia Maraini s’è chiesta l’altra sera in tv che fine ha fatto l’etica in politica. «Mi preoccupa — ha detto esattamente la scrittrice — che si parli di politica, di economia, ma non si parla mai di etica. C’è l’etica o no? Ci deve essere o no? Il comportamento dei politici deve avere una sua etica, perché rappresentano un Paese. E l’esempio conta». Altroché, se conta, carissima Dacia. Conta anche nelle spirali retoriche delle omelie alate fra le volte gotiche di una cattedrale. Pure «corruzione esistenziale» e «prostituzione psicologica» — è stato scritto in questi giorni — sono l’esatto opposto dell’etica pubblica come religione civile di un Paese evoluto.

Anche su “Italia Libera” si discute su quanto abbia «assecondato» o «cambiato» gli italiani Silvio Berlusconi nella sua parabola. Su abilità e talento c’è poco da dire. Basti pensare allo slogan coniato da Federico Fellini «non si interrompe un’emozione» per contestare l’abuso delle interruzioni pubblicitarie durante la trasmissione dei film. Trasformato nel suo contrario dal “Grande Venditore” al fine di impedire la regolamentazione del suo impero televisivo attraverso voci e volti delle trasmissioni Fininvest. Una disparità di mezzi gigantesca e incontrastata che gli ha consentito di costruire l’egemonia odierna. Un vero e proprio cambio antropologico di cui siamo stati, talvolta, testimoni sul campo. 

Come quella volta sull’Istmo di Lesina. Tre chilometri di demanio pubblico largo poche decine di metri occupato da 1500 abusi edilizi, peraltro orrendi. Nel 2008, all’avvio del suo quarto governo, Berlusconi annunciò l’ennesimo condono, questa volta “tombale” — il primo era stato fatto dal suo sodale “urbanistico” Bettino Craxi. L’Istmo sul Gargano era il posto giusto per toccare con mano una piaga endemica. Durante le riprese televisive si presentò, con un corteo di auto blu, l’ex sindaco di San Nicandro Garganico ed ex presidente della Provincia di Foggia divenuto deputato della Repubblica. Mi chiese cosa stessimo facendo e aggiunse: «Sono l’onorevole Marinacci e la villa abusiva che state riprendendo è la mia. Che male c’è? Anche Venezia e Santa Margherita Ligure sono state costruite sul mare». Registrata in presa diretta e messa in onda da “Ambiente Italia”, su quella frase Corrado Augias ci costruì, qualche mese dopo, una puntata del suo programma culturale per la Rai; la trasformazione antropologica era compiuta: lo scempio di un bene pubblico era rivendicato come un diritto, la vergogna evaporata definitivamente.     

È proprio così. Siamo sempre davanti all’“Autobiografia della nazione” di Piero Gobetti, citata più volte nei giorni del “lutto imposto”. L’«Italia civile» — per riprendere l’espressione usata da Norberto Bobbio nel 1986, agli albori del berlusconismo — è «un Paese ideale, non molto abitato, immune da alcuni vizi tradizionali, e fra loro contrapposti, della vecchia Italia reale (vecchia e sempre nuovissima): prepotenza in alto e servilismo in basso, soperchieria e infingardaggine, astuzia come suprema arte di governo e furberia come povera arte di sopravvivere, il grande intrigo e il piccolo sotterfugio». A questo punto, è bene averlo chiaro: la vera partita — come ha ben capito il sottosegretario Mantovano — si gioca oramai quasi per intera in Europa. E qui i termini diventano via via più stringenti. Sulla «solita recita del reciproco inganno» della classe dirigente, per dirla di nuovo con il grande filosofo della politica, ci torneremo ancora. Su un punto possiamo starne certi subito: Giorgia Meloni è un’attrice di solido talento. Il suo volto sa cercare la luce giusta, sempre. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Sfoglia qui l’anteprima del magazine n. 39 (giugno 2023)

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