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I terremoti di gennaio che hanno funestato l’Italia nella storia antica e recente

di Italia Libera   
I terremoti di gennaio che hanno funestato l’Italia nella storia antica e recente

Dal sisma di Verona del 1117 a quelli del Belìce del 1968, nella storia del nostro paese il primo mese dell’anno è stato punteggiato più volte da disastrose scosse. Sono state accompagnate, talvolta, dall’innesco di maremoti, come la scossa  del 9 gennaio 1693 nella Val di Noto. Le onde raggiunsero i 15 metri di Altezza ad Augusta e colpirono le coste ioniche della Calabria e lo Stretto di Messina. Fu uno dei più catastrofici terremoti che hanno colpito l’Italia nella storia dell’umanità. Quello sismico costituisce un rischio reale in Italia e occorre attivare con urgenza corrette politiche di prevenzione

L’analisi di ALESSANDRO MARTELLI, ingegnere antisismico

PURTROPPO GENNAIO È un mese in cui l’Italia fu funestata, in passato, da non pochi violenti terremoti, come quelli di Verona del 3 gennaio 1117, della Val di Noto del 9 e dell’11 gennaio 1693, di Foligno del 13 gennaio 1832, della Marsica del 13 gennaio 1915 e del Belìce del 14-15 gennaio 1968.

Il terremoto di Verona, di magnitudo stimata Ms = 6,9, è il più forte evento sismico avvenuto nell’area padana di cui si abbia notizia. Fu talmente violento da causare, oltre a 30.000 vittime, vastissimi danni non solo a Verona e nei territori limitrofi, ma anche in diversi altri centri dell’Italia settentrionale, veneti, emiliani e pure lombardi. A seguito dell’evento maggiormente distruttivo, si verificarono forti repliche per tutto il 1117. Secondo alcuni studiosi, gli epicentri principali in Pianura Padana potrebbero essere stati due: uno nel territorio veronese e l’altro in quello cremonese: si dovrebbero a quest’ultimo il crollo della costruenda cattedrale di Cremona ed altri gravi danni nelle città emiliane.

La sequenza sismica che devastò la Val di Noto nel 1693, in Sicilia (Ms = 6,5), iniziò il 9 gennaio. Il giorno dopo era passato senza forti scosse, la popolazione si illuse che tutto fosse finito, ed invece l’11 gennaio il terremoto iniziò a colpire nuovamente: verso le 9:00 si verificò una seconda forte scossa, seguita da una terza, circa un’ora dopo. L’evento principale, però, fu la tremenda scossa (di magnitudo momento stimata MWs = 7.3÷7,4) che si verificò alle 13:30, provocando pure l’innesco di un maremoto. Si tratta di uno dei terremoti più catastrofici che hanno colpito l’Italia, uno dei più disastrosi della storia dell’umanità.

L’epicentro è stato identificato al largo del porto di Catania, con una profondità ipocentrale di 18 km. Il terremoto fu avvertito in un’area molto vasta, dalla costa africana alla Calabria Settentrionale, alle isole Eolie. Provocò danni abbastanza gravi anche nell’isola di Malta; però, la parte più colpita fu la Sicilia Meridionale, dove il sisma interessò una superficie di circa 5.600 km2. Furono totalmente distrutti oltre 45 centri abitati e le vittime furono almeno 60.000 (di cui 16.000, su 20.000 abitanti, nella sola Catania). Il maremoto fu caratterizzato da onde di altezza massima stimata di 15 metri (ad Augusta), colpì le coste ioniche della Sicilia e lo Stretto di Messina; probabilmente, interessò anche le Isole Eolie. Le scosse di assestamento furono numerosissime (circa 1.500) e si protrassero per circa due anni.

Il terremoto di Foligno (magnitudo momento MWs = 6,3) fu avvertito distintamente in tutto il Centro Italia il 13 gennaio (da Roma ed Ancona fino a Lucca, Firenze e Ferrara). Si trattò della più violenta di una serie di scosse iniziata il 27 ottobre 1831, con un primo evento che aveva causato danni pure a Foligno. Il terremoto del 13 gennaio 1832 fu talmente violento da distruggere la quasi totalità delle abitazioni di molte città della valle umbra nord. Provocò enormi danni al patrimonio storico-artistico e molti crolli anche di strutture private, in una vasta area intorno a Foligno. Si registrarono, inoltre, crolli o danni significativi ad Assisi, a Perugia, a Spello, a Trevi ed in altri centri. Alla scossa principale del 13 gennaio seguirono numerosissime repliche, che resero difficile la ricostruzione immediata e che non cessarono fino al 19 aprile. Alcune di queste peggiorarono fortemente le condizioni degli edifici già danneggiati. La sola scossa principale causò almeno 40 vittime, ma forse molte di più (anche indirettamente, poiché le condizioni degli sfollati costretti all’addiaccio erano aggravate dal freddo dell’inverno).

Il terremoto della Marsica (o di Avezzano) avvenne pochi mesi prima dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale, il 13 gennaio. Per la sua forza distruttiva ed il numero di vittime da esso causato, è classificato tra i principali sismi avvenuti in Italia (MWs = 7,0). Si verificò senza esser preceduto da alcun evento premonitore tale da creare allarme. Devastò la Marsica e le aree laziali limitrofe, cancellando interi paesi, radendo al suolo completamente Avezzano e causando più di 30.500 morti, in diverse province del Centro Italia. Nella sola Avezzano perirono quasi 11.000 persone, su 13.000 abitanti. Il sisma colpì, oltre al Lazio, anche le Marche e parte della Campania e fu avvertito dalla Pianura Padana alla Basilicata.

Nonostante la scossa avesse procurato danni pure nella capitale, il governo Salandra tardò molto a comprendere quanto vasta fosse l’area colpita e quanto drammatica fosse la situazione: l’allarme fu lanciato solo dodici ore dopo. I primi soccorsi, inadeguati, raggiunsero le aree colpite solo all’alba del 14 gennaio, anche a causa dell’impraticabilità della linea ferroviaria e delle strade, a causa di frane e di macerie indotte dal sisma.

Il terremoto del Belìce (o di Gibellina) il 15 gennaio colpì una vasta area della Sicilia Occidentale (Valle del Belìce), compresa tra le province di Trapani, Agrigento e Palermo. La scossa principale (MW = 6,4) avvenne il 15 gennaio, poco dopo le 3:00 del mattino. In realtà, quattro forti scosse si erano già verificate, a cominciare dal 14 gennaio. Già le prime due avevano provocato gravi danni a Montevago, Gibellina, Salaparuta e Poggioreale ed erano state avvertite fino a Palermo, Trapani e Sciacca. La terza aveva causato gravi danni nuovamente a Gibellina, oltre che a Menfi ed altri centri abitati. La quarta, poco dopo le 2:30 della mattina del 15 gennaio, fu talmente violenta da causare già gravissimi danni e da esser avvertita fino a Pantelleria.

Alla successiva devastante scossa principale di circa le 3:00 del mattino del 15 gennaio ne seguirono altre 16. Il numero totale di scosse registrate strumentalmente tra il 14 gennaio ed il 1º settembre 1968 fu 345, delle quali 81 di MW ≥ 3,0. I pochi muri che non erano ancora crollati prima della replica del 25 gennaio lo fecero quel giorno: fu questa scossa a portare alla decisione delle autorità di proibire l’accesso alle aree dei crolli, a Gibellina, a Montevago ed a Salaparuta. Il terremoto del Belìce provocò numerose vittime: certamente almeno 231 (secondo alcune fonti 370). Vi furono, poi 600÷1.000 feriti e 70.000÷90.000 sfollati. 

Il ricordo dei suddetti terremoti dovrebbe contribuire a convincere, chi ancora ne dubitasse, che quello sismico costituisce un rischio reale in Italia e che, quindi, occorre attivare urgentemente corrette politiche di prevenzione sismica: il fatto che un violento terremoto non si verifichi da qualche anno (Norcia, 30 ottobre 2016, MW = 6,5) non deve purtroppo tranquillizzare [leggi qui la nota]. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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