Accadde oggi. “Grande Terremoto” de L’Aquila (1703), due maremoti nella Calabria Meridionale (1783)

Il 5 febbraio ricorre la data d’inizio dello sciame sismico denominato “Terremoto della Calabria Meridionale del 1783”, che ha costituito la peggior catastrofe naturale del XVIII Secolo in Italia. Lo scorso 2 febbraio è ricorso l’anniversario del “Terremoto della Candelora” del 1703: distrusse quasi completamente il capoluogo abruzzese; fu cinque volte più violento di quello dell’Abruzzo del 2009, con circa 2500 vittime, un quarto dell’intera popolazione. Nel 1783, in Calabria, le scosse del 5 e del 6 febbraio innescarono anche due maremoti distruttivi. Quello del 5 colpì le coste siciliane tra Messina e Torre Faro e quelle calabresi tra Scilla e Cenidio (Reggio Calabria), causando vaste inondazioni da Capo Vaticano (Vibo Valentia) a Catona (Reggio Calabria); a Messina distrusse il Teatro Marittimo
Scheda/Le misure di un terremoto. L’entità di un terremoto può essere definita in base sia ai danni che esso provoca (Intensità I), che all’energia che esso libera (Magnitudo M o la Magnitudo Momento MW). L’intensità I è ora misurata utilizzando la Scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS), di 12 gradi, mentre la magnitudo M lo è utilizzando la Scala Richter (sino ad ora, il valore massimo raggiunto dalla Magnitudo è stato 9,5, in occasione del terremoto di Valdivia, in Cile, nel 1960). Si nota che, mentre la Scala Richter confronta l’ampiezza delle oscillazioni registrate con quella del sistema di riferimento (e permette, quindi, una misurazione molto rapida, ma non sempre del tutto precisa, in quanto dipende da tipo di strumentazione utilizzata e dal luogo del sisma), la Magnitudo Momento MW mette in relazione l’area della faglia coinvolta, la sua rigidità ed il suo spostamento (è, dunque, una misurazione più affidabile, ma con delle tempistiche di rilevazione più lunghe). Un terremoto è definito “disastroso” se I = IX e lo è (usualmente, in Paesi ove le costruzioni sono tuttora assai sismicamente vulnerabili, come l’Italia) se M ≥ 6,5÷7,0.
L’analisi di ALESSANDRO MARTELLI, ingegnere sismico
COSÌ COME IN GENNAIO, anche nei primi giorni di questo mese ricorrono gli anniversari di violenti terremoti italiani: il 2 febbraio ricorre quello del Terremoto della Candelora (o Grande Terremoto de L’Aquila) del 1703, che distrusse quasi completamente L’Aquila e causò gravissimi danni in tutta la sua provincia, mentre il 5 febbraio ricorre quello della data d’inizio dello sciame sismico denominato “Terremoto della Calabria Meridionale del 1783”, che ha costituito la peggior catastrofe naturale ad aver colpito l’Italia Meridionale nel XVIII Secolo.
Il Terremoto della Candelora del 2 febbraio 1703 (Mw stimata = 6,7, I = X), con epicentro a circa 20 km a nord-ovest de L’Aquila, si verificò di mattina, alle 11:05. Fu cinque volte più violento di quello dell’Abruzzo del 2009 e fu quello conosciuto più devastante ad aver colpito l’Aquilano. Dato che il 2 febbraio è il giorno dedicato alla purificazione di Maria (rito della Candelora, da qui il nome del terremoto), quella mattina molti fedeli erano radunati nelle chiese. In particolare, secondo le fonti, 800 persone si trovavano nella Chiesa di San Domenico, per la comunione generale: il terremoto provocò il crollo delle capriate del tetto di tale chiesa, uccidendo, solo lì (si stima), 600 persone.
Il patrimonio storico-artistico de L’Aquila (romanico e rinascimentale) fu quasi tutto quantomeno fortemente danneggiato (solo la cinta muraria della città restò intatta). Solo a L’Aquila morirono 2.500 persone, sugli 8.000÷10.000 abitanti di allora, ma il numero totale di vittime causato dal sisma (contando quelle delle città vicine) fu di oltre 6.000. Infatti, oltre a L’Aquila, molti altri importanti centri abruzzesi furono colpiti. Il terremoto fu avvertito da Venezia a Napoli. Alla scossa principale seguirono, fino al 26 febbraio, 160 forti repliche.
Il Terremoto della Calabria Meridionale (o di Reggio e Messina), iniziato il 5 febbraio 1783, interessò l’area dello stretto di Messina e la Calabria Meridionale e fu caratterizzato da numerose scosse, delle quali 5 violente. La prima di queste (Mw = 7,1 ed Istimata = XI), durata 2 minuti, si verificò il 5 febbraio, con epicentro a Polistena, oggi comune della città metropolitana di Reggio Calabria. Il 6 febbraio, poi, vi fu una seconda scossa, pure alquanto forte (Mw = 5,9), con epicentro a nord di Messina. Inclusa quest’ultima, le scosse che si verificarono tra il 5 ed il 7 febbraio furono ben 949.
Le scosse del 5 e del 6 febbraio innescarono anche due maremoti distruttivi. Quello del 5 febbraio colpì le coste siciliane tra Messina e Torre Faro e quelle calabresi tra Scilla e Cenidio (Reggio Calabria), causando vaste inondazioni da Capo Vaticano (Vibo Valentia) a Catona (Reggio Calabria) e, a Messina, la distruzione sia del Teatro Marittimo che delle banchine del porto. Il maremoto del 6 febbraio, invece (come ho già scritto in un precedente articolo), fu provocato da un’enorme frana innescata dal sisma, che, distaccatasi dal Monte Pacì, era precipitata in mare: esso provocò numerose vittime (1.500 nella sola Scilla). Però, lo sciame sismico era tutt’altro che terminato: il 7 febbraio, infatti, vi fu la terza scossa violenta (Mw = 6,7), con epicentro nell’attuale comune di Soriano Calabro (Vibo Valentia), e ad essa seguirono eventi con epicentri che via via si spostarono, in Calabria, verso nord, lungo la dorsale appenninica.
I danni causati da questi eventi sismici e dai due maremoti suddetti furono enormi, in Calabria dall’istmo di Catanzaro allo Stretto ed in Sicilia nel Messinese: oltre 180 centri abitati furono totalmente (o quasi) distrutti e sia Reggio Calabria che Messina furono rase al suolo (a Messina, ove, il 5 febbraio, il terremoto aveva anche causato uno spaventoso incendio, sopravvisse solo la Cittadella). Gravi danni subirono anche altri centri urbani importanti. Il sisma, inoltre, causò estesi sconvolgimenti anche dal punto di vista geomorfologico: ad esempio, abbassamenti e spaccature di montagne, modifiche del corso di fiumi e torrenti, nonché formazione di paludi e pure di nuovi laghi (questi, internazionalmente denominati “quake lakes”, furono ben 215).
In totale, secondo le stime ufficiali, gli eventi del 1783 causarono almeno 30.000 vittime (su 440.000 abitanti) nella Calabria Meridionale e circa 630 nel Messinese (ma i morti potrebbero esser stati fino a 50.000). Ben sappiamo che, nel 1700, le costruzioni non erano in grado di resistere a violenti terremoti, perché non erano ancora disponibili adeguate tecnologie antisismiche in grado di proteggerle. Ora, però, non ci sono scuse: disponiamo di tali tecnologie, occorre solo applicarle davvero, attivando, finalmente, corrette politiche di prevenzione sismica. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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