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Taiwan, il “Superbowl della democrazia” comincia con una buona notizia. Ma l’anno è lungo e incerto

Nel 2024 andranno al voto otto dei dieci paesi più popolosi tra cui India, Russia e Stati Uniti. 71 paesi, il 51% della popolazione mondiale, ma solo 43 di loro avranno elezioni veramente libere.  Pechino non riconosce la vittoria di Lai e minaccia. Il resto del mondo democratico si schiera con Taipei. Tutto il G7. L’Italia non pervenuta. Al momento 

Claudia Fusanidi Claudia Fusani    
Taiwan, il “Superbowl della democrazia” comincia con una buona notizia. Ma l’anno è lungo e incerto

L’anno comincia bene per le democrazie: a Taiwan vince, ma non stravince, per la terza volta consecutiva il Partito progressista democratico (Dpp) che è il più distante da Pechino, dalle mire del Dragone e dagli appetiti di riunificazione dell’isola che una volta si chiamava Formosa e oggi orgogliosamente e solo Taiwan. In quel “Superbowl della democrazia” - così The Guardian ha ribattezzato il 2024 che vedrà “libere”elezioni in 71 paesi per un totale di quattro miliardi di elettori che in sostanza dovranno scegliere tra democrazia e dittature - il primo round va alle democrazie. Chiuse le urne nell’isola che occupa il Mar Cinese, si aprono oggi dall’altra parte del mondo, nel piccolo stato dell’Iowa, dove si svolgono i primi caucus che porteranno alle presidenziali Usa nella prima domenica di novembre. Donald Trump è in testa, scalda il sentiment dei repubblicani e, sembra impossibile, ma rischia veramente  di tornare a guidare la Casa Bianca. 

Il 51% della popolazione mondiale al voto

Da gennaio a novembre - e questo fine settimana è a suo modo paradigmatico - si sviluppa una storia che in undici mesi può cambiare la geografia del mondo, i rapporti di forza, quelli economici. Avere chiaro cosa sta succedendo e cosa può succedere non vuol dire sottovalutare i problemi che abbiamo in casa - dalla sanità ai conti pubblici - bensì pesare meglio anche il nostro destino sulla scacchiera internazionale. Nei prossimi undici mesi andranno a votare otto dei dieci paesi più popolosi al mondo, cioè Bangladesh, Brasile, India, Indonesia, Messico, Pakistan, Russia e Stati Uniti e 18 paesi dell’Africa. E poi c’è l’Europa. Due terzi di questi paesi già adesso vivono in mezze democrazie, democrazie di facciata. Ecco perchè è una buona notizia il risultato di Taiwan. E fa un po’ specie che ieri sera si erano congratulati con il vincitore Lai Ching-Te l’ex ministro Guerini (“grande prova di democrazia) e un membro del Copasir come Enrico Borghi (Iv) ma ancora nessuna nota ufficiale di palazzo Chigi.

Le urne di Taiwan consegnano a Pechino un messaggio molto chiaro: sì alla sovranità nazionale, no all’annessione alla Cina popolare. 

Il ruolo di Taiwan

Taiwan non è solo un’isola simbolo, “la linea rossa invalicabile” come dice Xi Jinping. Taiwan in pochi anni è passata da una dittatura militare ad una società aperta, libera, in continuo progresso sotto il profilo dei diritto e quello economico. Ventitré milioni e mezzo di abitanti, 190 miliardi di dollari di Pil, ventesima economia mondiale grazie soprattutto al 60% della produzione mondiale di semiconduttori (senza i quali il mondo di fermerebbe) e al 90% di quelli più avanzati nel mondo. C’è una Sylicon Valley nell’isola che ruota intorno alla Taiwan semiconductor manifacturing corporation  (Tsmc), una specie di motore del mondo. I semiconduttori da 3 nanometri, gli ultimi, i più piccoli ed efficienti, nascono qui.  Non è solo nostalgia di tempi andati o l’orgoglio di antiche tradizioni: le mire cinesi su Taiwan sono al 99% economiche. Durante la campagna elettorale Pechino ha cercato di interferire sul libero voto democratico in ogni modo: palloni aerostatici nello spazio taiwanese, azioni militari intimidatorie (ancora ieri navi e aerei a ridosso di Taipei), centomila attacchi cyber per provare a piegare un’economia florida sebbene in parte ancora dipendente dalla Cina. I semiconduttori sono anche l’oro cui mira l’Occidente democratico che si schiera al fianco di Taiwan in nome della democrazia ma anche di scambi economici e partnership di cui Europa e Stati Uniti hanno bisogno come dell’oro. Il Covid ha dimostrato come non sia possibile non avere una propria “autonomia” nel settore dei semiconduttori. 

Gli scenari

Fondamentale è dunque capire cosa succederà adesso. Posto che il Superbowl delle democrazie è iniziato bene. Non benissimo, però: Lai Ching- Te ha ottenuto il 40,1 per cento dei voti (nel 2020 ne prese più del 50%); Haou Yu-Hi del partito filo-cinese del Kuomintang ha avuto il 33,5%; Ko Wen-Ji del Partito popolare (l’unico che esplicitamente parla di riunificazione) ha avuto il 26,5%. Sono numeri che non danno a Lai la maggioranza in Parlamento. Ma è anche vero che il voto si è svolto con grandi pressioni cinesi non certo galanti e condizioni molti difficile. Ecco perchè la vittoria di Lai e della democrazia è ancora più importante. “Salvaguarderemo Taiwan delle minacce e dalle intimidazioni della Cina” ha detto Lai nel discorso della vittoria. Aggiungendo come “ridurre la dipendenza economica dalla Cina e stringere più partnership con l’Europa e le democrazie di tutto il mondo” continui ad essere l’obiettivo di questo terzo mandato. Gli Usa ringraziano con una delegazione “non ufficiale” inviata a Taipei durante le operazioni di voto. Ufficialmente i patti Washington-Pechino (“competizione nell’interdipendenza”) impediscono un appoggio totale da parte degli Stati Uniti.  La Casa Bianca non può permetterselo. Ma c’è e fa il tifo per Taiwan.   

Le “minacce" cinesi

Pechino passa al contrattacco e protesta con Usa e Giappone, Australia e India per le rapide congratulazioni (tutto il G7 tranne l’Italia) inviate sabato a William Lai. L’isola considerata ribelle “fa ancora parte dell’Unica Cina” ha ripetuto il ministro degli Esteri Wang Yi chiarendo che “il voto non può cambiare i fatti fondamentali”: Taiwan “non è mai stata un Paese. Non lo è stato in passato e certamente non lo sarà in futuro”. La Cina dunque “alla fine completerà la riunificazione e Taiwan tornerà nell'abbraccio della madrepatria. Riteniamo quindi che la comunità internazionale continuerà a sostenere la giusta causa del popolo cinese che si oppone alle attività separatiste e lotta per la riunificazione nazionale basata sul principio dell'Unica Cina” ha concluso Wang. Taiwan come “proprietà inalienabile” della Cina. Questo è stato il buongiorno una volta ufficializzato il voto. Non poteva essere diversamente e resta da capire quanto di tutto questo sia tattica o strategia di lungo periodo. E qui entrano in gioco il resto del mondo e il Superbowl delle democrazie.

Alcuni  analisti valutano la reazione priva di azioni muscolari militari immediate da parte di Pechino come una prova del fatto che, malgrado la vittoria senza precedenti del terzo mandato, il Partito democratico progressista (Dpp) ha perso la maggioranza assoluta in parlamento e Pechino potrebbe sentirsi rassicurata e optare per una lunga, lenta progressiva tattica di riannessione.

Altri analisti, al contrario, sono convinti  della disfatta di Xi nonostante la pressione militare ed economica. Il leader cinese aveva una tattica: cercare l’alleanza tra i due partiti favorevoli ad una ripresa dei colloqui con la Cina. Obiettivo andato in frantumi una sera di novembre 2023 quando in una sala conferenze Grand Hyatt a Taipei, gli esponenti del Kmt e del Partito popolare si sono azzuffati pubblicamente davanti alle tv mostrando tutta la loro incapacità e insussistenza di programmi. 

Il fatto, quindi, che il Dpp abbia vinto tre elezioni presidenziali consecutive senza precedenti, suggerisce che Taiwan “tutto vuole tranne che pensare di appartenere alla Cina” come ha spiegato Derek Grossman, analista di Rand Corporation. Quindi o Pechino cerca una via d’uscita pacifica con Taiwan rinunciando alle proprie mire e trasformandole in decisioni consapevoli magari un po’ aggiustate. Oppure il destino è tracciato. 

Verso l’Occidente

Taiwan procederà speditamente verso una sempre maggiore integrazione politica ed economica con l’Occidente e con le democrazie asiatiche. Le grandi aziende che ancora hanno sedi e succursali in Cina procederanno con delocalizzazioni verso Vietnam, Filippine e Indonesia, Usa e Europa. Soprattutto nel campo dei semiconduttori. E siamo sicuri che il ministro Urso sta mantenendo contatti fruttuosi con Taiwan.  Anche sul fronte della Difesa Taiwan rafforzerà gli accordi di sicurezza con Usa, Giappone, Australia, India, andrà avanti, ad esempio, nella costruzione di sottomarini taiwanesi prodotti nei cantieri di Kaohsiung. L’accordo con gli Usa per acquisti per 19,2 miliardi  di dollari aumenterà la capacità di deterrenza nei confronti di Pechino. Anche perchè in tutto questo la Cina si è messa contro Filippine e Vietnam - ora alleate con Taiwan - quando ha pensato di mandare sua navi nel mar Cinese meridionale. Tra Vietnam e Filippine, appunto.

Insomma, così stando le cose, la Cina proverà a mostrare i muscoli ma deve trovare un altro modo di convivenza nell’oceano Pacifico. Intanto a Taipei è arrivata una delegazione di ex funzionari statunitensi per incontri post-elettorali “a titolo privato”, tra loro  l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley, l'ex vicesegretario di Stato James Steinberg e Laura Rosenberger, presidente dell'American Institute in Taiwan(Ait), nei fatti l’ambasciata Usa de facto a Taipei. Oggi iniziano una serie di incontri con “personalità politiche di primo piano” per trasmettere le congratulazioni del popolo Usa a Taiwan per il successo del voto. Nel frattempo, Lai ha ringraziato il segretario di Stato Antony Blinken per il messaggio di congratulazioni. Il messaggio su X è chiaro e diretto: “Il partenariato Taiwan-Usa è guidato dai nostri valori e interessi condivisi. Collaborando con gli amici degli Stati Uniti, Taiwan si impegna a promuovere la democrazia, la pace e la prosperità nell’Indo-Pacifico”. 

Lo schema

Lo schema è chiaro: Taiwan contro Cina, democrazia contro dittatura. Occorre monitorare giorno per giorno. Non ci possiamo aspettare altre piacevoli sorprese dal voto in paesi come Bangladesh, Pakistan e Russia. C’è molto interesse per il voto in Iran. Ventotto dei settantuno paesi al voto in questo 2024 non soddisfano, secondo Democracy index, le condizioni minime per poter parlare di votazioni libere e giuste. Intanto, quindi, teniamoci stretta Taiwan. E magari mandiamo anche noi le nostre congratulazioni pubbliche.  

Claudia Fusanidi Claudia Fusani    
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