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L’appello dell’ambasciatore d’Israele: “Siamo in guerra, non l’abbiano cercata noi”. Migliaia sotto l’arco di Tito

Grande successo della manifestazione lanciata da Il Foglio. Tutti presenti tranne 5 Stelle e Verdi e Sinistra. Il Parlamento si divide sulle risoluzioni. Il ministro Tajani disinnesca la figuraccia. La Lega e un pezzo di Fdi puntano i piedi. Il Pd accetta poi la mozione grillina e di verdi e sinistra in cui si dice che la colpa alla fine “non è solo di Hamas”. Il nodo dei finanziamenti ad Hamas. Anche dall’Italia

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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       “Israele è in guerra, nella nostra vita non abbiamo mai visto le atrocità, il massacro e la barbarie che stiamo vedendo ogni giorno. Israele è in guerra, alla fine supererà anche questa tragedia ma non è più disposta a tollerare il dominio e la capacitò militare di Hamas. Ecco perchè faremo tutto il necessario per impedire che Hamas continui a terrorizzare”. Alon Bar è l’ambasciatore di Israele a Roma. E’ in piedi sotto l’arco di Tito illuminato da luci fioche che gli impediscono di leggere fluente il messaggio che ha preparato. Sono giorni difficili anche per l’ambasciata, molti giovani italiani ed ebrei chiedono di poter chiamati come riservisti. Bar si aiuta con la luce del telefonino. Intorno un silenzio irreale considerate le migliaia di persone arrivate a piedi, con la candele e avvolte nella bandiere di Israele in questo pezzo di antica Roma tra ulivi e pietre e terra secca che sembra Palestina. Le parole dell’ambasciatore sono dure, precise, drammatiche.  

      Le parole dell’ambasciatore

      “Noi non avremmo voluto fare ciò che stiamo per fare, abbiamo fatto il possibile per evitarlo ma non abbiamo scelta. Gli abitanti di Gaza non sono i nostri nemici ma gli uomini di Hamas si nascondono tra i civili e saranno i responsabili della loro morte”. L’auspicio finale aumenta l’intensità del dramma. “Spero - dice ambasciatore - di avere lo stesso supporto e sostegno mentre faremo ciò che dovremo fare”. La folla sparsa tra gli olivi applaude. Si accendono la candele, rintoccano le campane. Scene antiche. Quasi da film. Scene viste ieri sera a Roma sotto l’arco di Tito dove Giuliano Ferrara e Claudio Cerasa, fondatore e direttore del Foglio hanno messo in piedi in meno di 48 ore una cerimonia che ha tenuto insieme civiltà, passione, soprattutto dolore e tristezza per la catena di tragedie, provocate da Hamas, che vediamo ogni giorno e continueremo purtroppo a vedere. Quattromila persone (tremila per la questura) sparse e arrampicate tra le pietre antiche e preziose del Foro Romano, ben oltre le attese. Una situazione ad alto rischio, sia per la sicurezza - impossibile controllare - sia per la conservazione del sito. Inutili gli appelli della Soprintendenza che chiedeva di “scendere dai terrazzamenti”. Era difficile prevedere tanta partecipazione. Uomini, donne, ragazzi e ragazze di ogni età. Molti stranieri, probabilmente ebrei in vacanza a Roma che chiedevano la tradizione simultanea degli interventi dal palco. 

      Migliaia di persone alla fiaccolata  

      Persone avvolte nelle bandiere, bandiere appese agli ulivi, bandiere ovunque, cartelli eloquenti: “Hamas = Isis”; “La libertà dell'Occidente si difende sotto le mura di Gerusalemme”, “Jewish lives matter”. Era difficile immaginare che non ci sarebbe stato posto per tutti, che magari sarebbe servito un sistema di amplificazione e dei maxi schermo per chi è dovuto restare laggiù, in fondo alla strada, collegato via telefonino come le due radio (Radicale e Leopolda) che hanno fatto la diretta. Difficile immaginare che l’arco di Tito, luogo nefasto per gli ebrei perchè eretto nel 70 in omaggio alla guerra giudaica combattuta da Tito in Galilea e che distrusse il Tempio. Iniziò così la diaspora. “Non siamo qui per caso - sottolinea il rabbino capo Riccardo Shemuel Di Segni - Questo luogo è stato per secoli per noi ebrei simbolo di umiliazione e sconfitta e poi di riscatto. Fino al 1948, anno della nascita di Israele, gli ebrei romani hanno sempre evitato di passare qua sotto. Ci siamo tornati nel momento esatto della nostra rinascita. Significa che il nostro popolo, che ne ha viste e subite tante, rinasce sempre. E lo farà anche questa volta”.  

      Per più di due ore, dalle 20 alle 22 e 30, migliaia di persone sono state li ad ascoltare, a parlare piano, a condividere. Tanti gli interventi dal piccolo palco, insufficiente per dimensione ma potente grazie agli interventi ospitati. Hanno parlato il sindaco di Roma Gualtieri, i due direttori Cerasa e Ferrara (la vera star della serata), ambasciatore e rabbino,  il ministro Tajani, l’onorevole Donzelli, l’ex premier Matteo Renzi che ha emozionato quando ha ricordato le parole di Golda Meir, la prima donna premier dello stato di Israele e di origini ucraine. “Potremmo forse perdonarvi per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto a uccidere i vostri figli”. Questo, ha aggiunto Renzi,  “è il dramma di Israele oggi”. L’ex premier ha voluto poi ricordare “le famiglie che hanno un figlio e una figlia che sta partendo per Israele per difendere la propria patria”. E’ un altro effetto collaterale, di cui non si parla, della guerra scatenata da Hamas. Sotto l’arco di Tito c’era mezzo governo  - i ministri Nordio, Lollobrigida, Pichetto Fratin, Santanchè, Bernini, Zangrillo - ampie delegazioni di tutti i partiti tranne Cinque Stelle e Verdi e sinistra.  

      I canali di finanziamento 

      Negli interventi, molto applauditi, sia il ministro Antonio Tajani che il portavoce di Fratelli d’Italia Giovanni Donzelli  hanno voluto insistere sulla necessità di tagliare ogni forma di finanziamento ad Hamas spesso travestita da offerte per scopi umanitari. E’ un tema, questo, che sta dividendo molto la politica. Ha diviso anche per ieri il dibattito parlamentare. “Dillo all’Europa” hanno gridato dalla folla al ministro Tajani. Nell’emozione si rischia il cortocircuito come quello accaduto a Bruxelles lunedì quando il Commissario ungherese (non a caso) ha chiesto di congelare il fondo (circa 700 milioni) per il sostegno all’Autorità nazionale palestinese. Sarebbe un gravissimo errore confondere Hamas con la Palestina e l’Anp di Abu Mazen. “Non se ne parla proprio - ha corretto poco dopo il tiro il commissario agli Affari Esteri Borrell . Vorrebbe dire aiutare i terroristi e Hamas”.    

      Il punto degli aiuti umanitari e delle onlus che si fanno carico di raccogliere e veicolare è molto sensibile. Al centro della telefonata tra Meloni e Netanyahu sabato poche ore dopo l’irruzione dei commandos di Hamas nel territorio israeliano. All’attenzione del Copasir in queste ore. E di alcune procure italiane.  

      La rete  delle onlus  

      Come già anticipato ieri da tiscali.it Tel Aviv cerca di seccare da tempo i canali di finanziamento. Con fortune alterne. A giugno – segno che gli alert erano arrivati all’intelligence israeliana – sono stati arrestati in Olanda due persone, padre e figlia, perché accusati di inviare soldi ad Hamas. Tel Aviv ha chiesto alcune misure – dal sequestro all’arresto – anche per alcune figure che vivono in Italia e ruotano intorno ad un network di onlus tutte dedite alla raccolta fondi per la  Palestina. Per le autorità israeliane è la solita copertura.  Il network fa capo alla Abspp (Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese) che ha il suo quartier generale a Genova. Il presidente, l’architetto   Mohammad Hannoun, è un personaggio molto popolare nel mondo delle onlus. A cui piace intrattenere rapporti politici di livello: entrava ed usciva dalla Farnesina ai tempi di Manlio Di Stefano sottosegretario (Conte 1), è certamente in buoni rapporti con Alessandro Di Battista. Insieme a gennaio scorso hanno organizzato una missione nel sud del Libano, per portare aiuti ai campi profughi vicino a Sidone. Che sono anche, secondo i report di intelligence, quelli a maggior rischio infiltrazione da parte di Hezbollah. Insieme a loro c’era la deputata 5 Stelle Stefania Ascari. 

      Già nel 2008 e poi nel 2021 Hannoun è finito nel mirino dell’antiterrorismo e della Finanza  che bloccò i conti per “una serie di attività sospette”. Tutto rientrato. Fino a pochi mesi fa quando il governo di Tel Aviv ha presentato una nuova richiesta di accertamento.   

      Sette diverse risoluzioni  

      Lega e un pezzo di Fratelli d’Italia hanno fatto di tutto per dividere il Parlamento seguendo la narrazione precostituita di Salvini: “A sinistra ci sono gli amichetti di Hamas…”. Antonio Tajani, vicepremier, ministro degli Esteri e segretario di Forza Italia, ha fatto il miracolo di spezzare una spirale che poteva degenerare. Nell’informativa, alle 13 alla Camera, a seguire al Senato, sull’attacco terrorista di Hamas contro Israele, il titolare della Farnesina ha usato le parole giuste per condannare i terroristi, per schierare il governo dalla parte di Israele “unica democrazia nel quadrante mediorientale”,  nel rivendicare il suo diritto-dovere alla difesa, nel chiedere i corridoi umanitari per i civili e i soccorsi, nell’attivare tutte le strade della diplomazia per evitare l’escalation militare, nel tutelare il tavolo degli Accordi di Abramo. Il principio “Due popoli, due Stati”. Ma per come si era messa la situazione – una risoluzione di maggioranza che potevano diventare due se la Lega avesse puntato troppo i piedi e ben cinque risoluzioni per le cinque forze di opposizione – la mossa vincente di Tajani è stata quella di dare pareri separati ai singoli capoversi delle varie mozioni e farli poi votare per parti separate. Il risultato è che la temuta frantumazione del Parlamento è stata più indolore del previsto. 

      Certo, il colpo d’occhio finale è che neppure di fronte al terrorismo di Hamas il Parlamento italiano è riuscito ad essere unito e compatto. A destra si è voluto tenere il punto e sovrapporre il terrore alla legittima aspirazione del popolo palestinese ad avere l’agibilità di un proprio Stato. E’ stata soprattutto la Lega a ribadire in ogni intervento “lo stop agli aiuti al popolo palestinese” condannandolo e schiacciandolo sull’unica dimensione del terrore. “Hamas e la Palestina non possono più essere distinti” ha detto il sottosegretario Fazzolari, uomo ombra di Meloni. Nel centrosinistra si è discusso fino alla fine perché 5 Stelle e Sinistra e Verdi hanno mostrato forse troppa ambiguità e troppi distinguo nel separare l’azione di Hamas dal destino della Palestina e nel voler puntare il dito anche contro il premier israeliano Bibi Netanyahu. Il Pd si è alla fine schierato con loro per non dare l’impressione di un’opposizione divisa in cinque parti accusando però la maggioranza di aver provato solo a dividere e mai ad unire.  

      “Nulla su cui trattare” 

      Il Terzo Polo, Italia viva e Azione, si sono invece subito ritrovati perché non hanno mai avuto dubbi su cosa dire. “Non c’è nulla su cui trattare. Abbiamo le idee molto chiare, nessuna ambiguità, nessun ma-anche e meno che mai i soliti né-né. I terroristi non sono martiri della libertà e Hamas ha fatto di Gaza una prigione a cielo aperto”. Risoluzione a parte anche per +Europa ma solo per questioni di tempo. 

      Alla fine però le divisioni sono state annullate. Tutti hanno votato tutto, maggioranza ed opposizioni a dimostrazione che le differenze erano solo pretesti. L’unica parte bocciata è il quinto capoverso della mozione Pd-M5s- Sinistra e Verdi in cui si dice che “il processo di pace è stato messo in grave crisi da iniziative unilaterali da entrambe le parti, come continui attacchi missilistici provenienti da Gaza e l’allargamento, sostenuto dal governo israeliano, degli insediamenti dei coloni in Cisgiordania”. Insomma, la responsabilità non è da una parte sola. Un distinguo inaccettabile per tutte le altre forze politiche.  

      La solidarietà dei giovani iraniani  

      L’unità, il senso comune, sono stati poi ritrovati ieri sera tra i sassi secolari del Foro Romano. Quando tutti, chi più chi meno, hanno intonato “Hatikva, La speranza” che è l’inno di Israele. Qualcuno lo sussurrava in italiano: “Non è ancora persa la nostra speranza due volte millenaria di tornare alla terra dei nostri padri”. All’uscita del Foro Romano dei giovani iraniani aspettavo quel popolo per scusarsi e vergognarsi del loro paese. Iraniani con la bandiera di David. Anche questa un’immagine da ricordare.  

       

       

      Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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