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L’Europa del Papa è quella delle radici. La mondanità è un tarlo della Chiesa

Francesco riassume il viaggio a Budapest e in Slovacchia  come pellegrinaggio di preghiera, di speranza e alle radici del vecchio Continente. Nessun diretto richiamo al suo incontro con i gesuiti

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Papa Francesco mentre scende dall'aereo (Foto Ansa)
Papa Francesco mentre scende dall'aereo (Foto Ansa)

L’Europa cui continua a pensare papa Francesco è quella del sogno dei padri fondatori che “l’hanno sognata non come un’agenzia per distribuire le colonizzazioni ideologiche della moda, no” ma come risultato dell’impegno civile, animato dalla solidarietà accogliente verso tutti nel rispetto delle diversità alla maniera che anche gli evangelizzatori del Continente, Cirillo e Metodio hanno lasciato in eredità. “ Così intese e vissute, le radici – ribadisce Francesco – sono garanzia di futuro: da esse germogliano folti rami di speranza”. L’Europa è stato uno dei temi di riflessione dell’udienza generale dedicata oggi a un bilancio del recente viaggio a Budapest e in Slovacchia. “Lo riassumerei così - ha raccontato il papa -: è stato un pellegrinaggio di preghiera, un pellegrinaggio alle radici, un pellegrinaggio di speranza. Preghiera, radici e speranza… Più volte – ha aggiunto  Francesco - ho insistito sul fatto che queste radici sono sempre vive, piene della linfa vitale che è lo Spirito Santo, e che come tali devono essere custodite: non come reperti da museo, non ideologizzate e strumentalizzate per interessi di prestigio e di potere, per consolidare un’identità chiusa. No. Questo vorrebbe dire tradirle e sterilizzarle!”.

La mondanità è un tarlo

La visione grande, aperta, deve essere anche quella del popolo di Dio, dei cristiani perché è la lezione profonda da non dimenticare che proviene dall’eucaristia e dalla croce. Alla conclusione del Congresso eucaristico a Budapest una croce, ha ricordato il pontefice “campeggiava sopra l’altare, a mostrare la stessa direzione indicata dall’Eucaristia, cioè la via dell’amore umile e disinteressato, dell’amore generoso e rispettoso verso tutti, della via della fede che purifica dalla mondanità e conduce all’essenzialità. Questa fede ci purifica sempre e ci allontana dalla mondanità che ci rovina tutti: è un tarlo che ci rovina da dentro”.

Il conciliabolo per la successione

La mondanità come pericolo attuale nella Chiesa il papa l’avrà avuto presente quando, nell’incontro a porte chiuse con i 53 gesuiti della Slovacchia riferito da La Civiltà Cattolica, ha evocato il tentativo presente nella Chiesa di guardare indietro e ha rivelato anche quella specie di brutto conciliabolo di un pugno di cardinale riuniti –durante la sua recente degenza al Gemelli – per discutere la successione a Francesco. Si è trattato di un “unicum” nelle parole di un pontefice, almeno nell’ultimo secolo: rivelare un conciliabolo ai suoi danni nella speranza di una sua morte imminente.

In risposta a uno dei gesuiti presenti all’incontro che gli chiedeva della salute il papa ha risposto: “Ancora vivo. Nonostante alcuni mi volessero morto. So che ci sono stati persino incontri tra prelati, i quali pensavano che il Papa fosse più grave di quel che veniva detto. Preparavano il conclave. Pazienza! Grazie a Dio, sto bene”.  Ma oltre l’augurio di morte Francesco è stato più volte oggetto di accuse infondate e calunniose. E’ lui stesso a riferirlo nello stesso incontro con i gesuiti, rispondendo a una domanda in proposito. “Per esempio, - ha riferito - c’è una grande televisione cattolica che continuamente sparla del Papa senza porsi problemi. Io personalmente posso meritarmi attacchi e ingiurie perché sono un peccatore, ma la Chiesa non si merita questo: è opera del diavolo. Io l’ho anche detto ad alcuni di loro. Sì, ci sono anche chierici che fanno commenti cattivi sul mio conto. A me, a volte, viene a mancare la pazienza, specialmente quando emettono giudizi senza entrare in un vero dialogo. Lì non posso far nulla. Io comunque vado avanti senza entrare nel loro mondo di idee e fantasie. Non voglio entrarci e per questo preferisco predicare, predicare… Alcuni mi accusavano di non parlare della santità. Dicono che parlo sempre del sociale e che sono un comunista. Eppure ho scritto una Esortazione apostolica intera sulla santità, la Gaudete et exsultate”.

La ricetta

Nell’udienza odierna  ha ripetuto una ricetta di guarigione dallo spirito mondano: “Peregrinare, fare penitenza, e in tutto questo sentire la pace e la gioia che ci dà il Signore. La nostra vita dev’essere così: adorare, pregare, camminare, peregrinare, fare penitenza. E ciò ha una particolare importanza nel continente europeo, dove la presenza di Dio viene annacquata – lo vediamo tutti i giorni: la presenza di Dio viene annacquata - dal consumismo e dai “vapori” di un pensiero unico – una cosa strana ma reale – frutto del miscuglio di vecchie e nuove ideologie. Anche in tale contesto, la risposta che risana viene dalla preghiera, dalla testimonianza e dall’amore umile. L’amore umile che serve. Riprendiamo questa idea: il cristiano è per servire”.

La strada

Nel viaggio Francesco ha potuto vedere la speranza di Vangelo che “si realizza, si fa concreta solo se declinata con un’altra parola: insieme. La speranza mai delude, la speranza non va mai da sola, ma insieme. A Budapest e in Slovacchia ci siamo trovati insieme con i diversi riti della Chiesa Cattolica, insieme con i fratelli di altre Confessioni cristiane, insieme con i fratelli Ebrei, insieme con i credenti di altre religioni, insieme con i più deboli. Questa è la strada, perché il futuro sarà di speranza se sarà insieme, non da soli: questo è importante”.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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