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Addio a Giuseppe Bono: chi era l'ultimo boiardo di stato che fece grande Fincantieri e l'Italia

La sua vera forza era quella di parlare al manager come all’operaio dell’indotto, con la stessa lingua. Il nostro Paese perde un gigante, l’ultimo. L’unico

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
Addio a Giuseppe Bono: chi era l'ultimo boiardo di stato che fece grande Fincantieri e l'Italia
Giuseppe Bono (Ansa)

E’ morto Giuseppe Bono, a 78 anni, ma la notizia è che è morto pochissimi mesi dopo essere uscito da Fincantieri, che era come un ulteriore figlio per lui, che era la sua vita, la sua gioia, la sua grandezza, il suo amore, esattamente come lo era la sua famiglia.

Il governo Draghi, sbagliando, sbagliando molto nell’occasione, decise di non rinnovarlo né come amministratore delegato, né come presidente. E la scelta fu quella di svoltare, di cambiare guida all’azienda, peraltro con un grande manager come PierRoberto Folgiero e con il generale Claudio Graziano alla presidenza, che infatti hanno sempre reso onore all’operato del loro predecessore pur scegliendo una linea aziendale diversa e focalizzandosi più sul core business che sulla diversificazione, in qualche modo voltando pagina rispetto alla storia industriale di un’azienda e di un uomo, concetti mai così coincidenti, che avevano fatto grande il nostro Paese.

Non a caso, a favore di Bono all’epoca si spese molto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e in generale la struttura del Quirinale, così come tanta politica, dalla Lega di Salvini e Giorgetti a Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e Guido Crosetto, che lo stimano moltissimo e che l’avrebbero voluto in queste settimane prima ministro del Mare e presidente di Leonardo, nella chiusura di un cerchio, professionale e ideale. Ma stimato anche dal Pd che con Debora Serracchiani presidente del Friuli-Venezia Giulia l’aveva avuto prima come competitor e poi come amico e collaboratore sul territorio, tanto che Bono diventò presidente degli industriali friulani, lui che di origine era calabrese. Insomma, all’opposto su tutto, ma unite su Bono, Meloni e Serracchiani.

E financo di molti ambienti del MoVimento Cinque Stelle, di ieri e di oggi, a partire da Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, che con lui collaborò sul Ponte di Genova, il capolavoro degli ultimi anni della sua vita.

Draghi lo chiamò per dirgli che la scelta aziendale era stata diversa e gli espresse tutta la sua stima, anche perché non poteva essere diversamente.

E Bono, come al solito ridendo, disse qualcosa che suonava pressappoco così: “Vede, presidente, la ringrazio e mi rendo conto che la carta di identità, a 78 anni mi condanna. Ma anche lei non è che sia un ragazzino…”.

Ma mai con rabbia, sempre con la consapevolezza di essere lui, industrialmente, superiore alla politica. E questo lo faceva proprio apprezzare trasversalmente. Anche questo.

Oltre al fatto di essere il primo al mondo per numero di commesse prese, un fuoriclasse.

Fiero delle sue origini umili, calabrese nel midollo, di Pizzoni, mille abitanti in provincia di Vibo Valentia, che raccontava: “Da bambino volevo farmi prete, ma ero l’unico maschio in famiglia e ci servivano soldi per andare avanti. In fabbrica sono entrato quando avevo 18 anni. Da operaio, a Torino, a 1.300 chilometri da casa. Non avevo molta scelta: papà morì quando ero piccolo, e al nostro paese lavoro non ce n’era. Io nell’industria ci sono nato, le mani me le sono sporcate sul serio. Mica come quelli che non sono mai usciti dai loro salotti e una fabbrica, un cantiere, li hanno visti solo al telegiornale. Gli stessi tigì da cui pontificano di fabbriche e cantieri“.

 

Insomma, questa trasversalità andava molto al di là della politica, di lui – socialista, molto amico del due volte ex presidente del Consiglio ed ex presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato – che però era un “civil servant”, di quelli che collaborano non con Tizio o con Caio, ma con la Repubblica Italiana.

Persino i sindacati - anche la Cgil che con la Fiom, che è proprio un’altra casa e un’altra cosa, spesso gli fece la guerra - comunque difesero volentieri Bono, riconoscendogli un impegno e una forza, anche umana, anche nella battaglia, unica. Una sera, a cena, mi disse: “Vede, finchè ci sarò io non chiuderà nessuno stabilimento”. E la promessa fu ampiamente mantenuta, con Fincantieri che è oggi la prima azienda, non solo navalmeccanica, ma proprio metalmeccanica sul territorio italiano. E la più diffusa: tre stabilimenti in Liguria, Sestri Ponente, Riva Trigoso, Muggiano alla Spezia, Monfalcone e la sede triestina, Marghera, Ancona, Castellammare di Stabia, Palermo, la sede romana….

Un giorno a Genova, l’allora prima cittadina si disse pronta a mettersi sui binari per impedire la chiusura dello stabilimento di Sestri Ponente. E Bono, che non aveva mai avuto intenzione di chiudere quello stabilimento, ma giocava a scacchi col governo per avere nuove commesse e litigava furiosamente con i ministri che non lo capivano, con la sua ironia che lo accompagnava in ogni momento della sua vita, scrisse alla sindaca: “Carissima, mi faccia sapere l’ora in cui si sdraia sui binari. Sarò onorato di guidare io il locomotore…”.

Perché la vera forza di Bono era quella di parlare al manager come all’operaio dell’indotto, con la stessa lingua, che era sempre lingua diritta, e vedere i messaggi di cordoglio, da quello della presidente del Consiglio a quelli dei sindacati e in particolari della Uil ligure che con lui lavorò moltissimo, da quello di Marco Bucci a quello di Giovanni Toti che con lui, Webuild e Rina hanno costruito il Ponte di Genova, è una storia bellissima.

Su questo, mi piace raccontare anche una piccola storia personale: ho avuto la fortuna, grazie a una grande intuizione di Pietrangelo Buttafuoco e Raffaella Luglini e alla fondazione Ansaldo di raccontare in un libro e poi in uno spettacolo, che esordirà nella sua versione definitiva il 31 gennaio 2023, al teatro Modena di Genova, nella stagione del Teatro Nazionale di Genova, di Davide Livermore e di Andrea Porcheddu, a due passi dal nuovo ponte, l’Italia più bella, l’Italia dei lavoratori che hanno stretto i bulloni e saldato i pezzi costruiti in cantiere come le navi, la storia che ha scritto la pagina più bella degli ultimi anni.

La storia di un ponte costruito (e benissimo) a tempi di record con il “modello Genova”, dopo il punto più basso che può toccare un Paese, il crollo di un ponte. Una storia, quella del nuovo ponte, amatissima dal presidente Mattarella che è anch’egli l’immagine dell’Italia più bella, dove Bono era solo uno dei protagonisti sullo sfondo di ciò che raccontai. Fincantieri non c’entrava proprio nulla dal punto di vista organizzativo, ma ci fu la cosa bellissima di una struttura che ha il “competitor” Leonardo al centro, come la Fondazione Ansaldo, che lasciò perdere ogni clima da derby, ma raccontò l’Italia migliore, che era quella del Ponte, senza farsi domande sulle magliette indossate. E proprio il fatto che raccontavo i “suoi” operai e la sua azienda, inorgogliva moltissimo Bono, quasi kennedyano: “Vede, ogni giorno che ci svegliamo, dobbiamo chiederci cosa possiamo fare per il nostro Paese. Noi costruiamo il Ponte, lei racconta l’Italia migliore dei nostri lavoratori. Sarebbe bello raccontarlo in cantiere”. E la prima del 31 gennaio, proprio con un omaggio al presidente Mattarella, è già una grande vittoria.  

E poi la visione strategica, visto che fu il primo a capire che non era possibile mettersi contro la storia con i cinesi, che a quel punto valeva la pena farci un patto, una joint venture con una società partecipata dalla Cina in Cina, ma con l’accordo che in Europa non sarebbero venuti. E, allo stesso modo, la società di Fincantieri negli States che vince commesse su commesse per la Marina a stelle e strisce. E cose simili avvengono con i Paesi degli Emirati e in tante altre parti del mondo, con Bono quasi ministro degli Esteri aggiunto.

Ma anche, per l’appunto, la diversificazione, che in qualche modo – approfittando anche delle pregresse esperienze virtuose di Bono che aveva guidato anche Finmeccanica e Efim – è stato il tratto vincente della gestione di Bono degli ultimi anni: dal gioiellino di Infrastructures, che ha reso una splendida azienda grazie al grande lavoro di Marcello Sorrentino prima e di Giuseppe Gemme ora, agli ospedali, fino alla componentistica, quando vedeva un pezzo della manifattura italiana che rischiava di perdersi, lui interveniva, come un pronto soccorso del Paese.

E poi aveva un pallino assoluto: la formazione dei giovani. Spiegava: “Questo è il primo Paese manifatturiero d’Europa e non possiamo permetterci una scuola che non formi i giovani per ciò che serve” e proprio per questo studiava in continuazione progetti per raccontarlo nelle scuole.

A dare la notizia della sua morte su Twitter, con la sintesi richiesta dal mezzo, ma che è perfetta nel raccontare il personaggio, è stato il ministro della Difesa Guido Crosetto: "È mancato Giuseppe Bono, Peppino. Un amico fraterno, grande uomo, straordinario capitano d'industria. Ha dedicato tutta la sua vita a costruire ricchezza per l'Italia. Lo conobbi appena arrivato a Fincantieri, che era in grave difficoltà. Ora ha i migliori prodotti al mondo. RIP".

Ed è un riassunto ottimo su Giuseppe Bono, una fotografia della sua storia e di come abbia portato un’azienda che era decotta ad essere la numero uno al mondo.

Ultimo boiardo di Stato, ma nell’accezione assolutamente positiva della parola, di quelli mai sfiorati da un dubbio, da un’inchiesta, da nulla di meno che pulito – poi si potevano contestare alcune sue uscite o frasi come quelle sull’amianto e i suoi danni legate a “bilanci che avrebbero potuto essere ancora migliori”, ma è proprio un’altra storia – Bono è stato un visionario.

Ed avendolo molto frequentato ed avendo raccontato anche tante storie su di lui, intervistandolo pure qui su Tiscalinews, l’impressione è sempre stata quella di avere a fianco l’unico vero erede di Enrico Mattei, di Alberto Beneduce e di Adriano Olivetti, gli uomini che hanno fatto grande l’Italia industriale.

Che oggi perde un gigante, l’ultimo. L’unico.

Massimiliano Lussanadi Massimiliano Lussana   
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