Minatori a un bivio, evolversi o scomparire. In Italia sono rimasti in pochi, ma guadagnano bene
La maggior parte delle miniere italiane ha sono state chiuse. Colpa dei costi di gestione eccessivi, ma anche dei tanti problemi legati alla sicurezza. Il futuro per i lavoratori potrebbe esser però splendente

La maggior parte delle miniere italiane ha più di cento anni e molte, nonostante la ricchezza del sottosuolo del nostro Paese, sono state chiuse. Colpa dei costi di gestione eccessivi, ma anche dei tanti problemi legati alla sicurezza. Le miniere di ferro della Val D’Aosta, dell’Isola d’Elba e in Sardegna sono state abbandonate per la bassa concentrazione di minerale presente e per i costi di produzione troppo alti rispetto ad altri paesi del mondo. Stessa sorte per le miniere di carbone della zona del Sulcis, in Sardegna. Nonostante ciò la professione del minatore ancora resiste, e chi la pratica, sebbene possa sembrare incredibile, guadagna più di molti altri lavoratori. Nel nostro Paese se ne contano poche decine, quasi tutti in Sardegna. Hanno un’età media di circa 35 anni, sono tutti diplomati in scuole tecniche e professionali e hanno stipendi che possono arrivare fino a 2.800 euro (lordi) al mese. Non vivono certo nel lusso, ma il trattamento economico non è più quello di un tempo.
Minatori moderni supportati dalla tecnologia
Ogni giorno, armati di piccozza, ma anche di dispositivi tecnologici, si alzano per calarsi nei pozzi. “In tutto il Paese - racconta sulle pagine di Libero Quotidiano il sindacalista Filctem-Cgil Marco Di Luca - abbiamo ancora 2.500 addetti all’estrazione, tra siti, cave e miniere. Sono sempre coordinati da un team di geofisici e di ingegneri, fanno un mestiere particolare ma non più pericoloso”. Il lavoro più duro, compreso quello dell’estrazione vera e propria, viene infatti affidato alle macchine. Nonostante la polvere poi i rischi per la salute sono decisamente inferiori al passato: “Non si muore più di silicosi”.
Sono giovani e in possesso di un diploma
Come detto la maggior parte dei minatori ha un diploma, perché se da un lato è vero che l’esperienza la si fa sul campo è altresì vero che senza un bagaglio culturale minimo non si può andare da nessuna parte. Nonostante ciò le miniere chiudono, una dopo l’altra e per queste figure professionali è sempre più difficile trovare uno sbocco. Nel 2014 i siti produttivi in funzione (scavi a cielo aperto, saline, cave e miniere) erano 2.737. Assomineraria, l'associazione di categoria che fa riferimento a Confindustria, nel 2017 ha censito tra le sue consociate sparse in Italia appena 33 siti produttivi suddivisi in dieci cave e 23 miniere.

Per avere un futuro dovranno evolversi
L’estrazione del carbone, come di altri minerali un tempo abbondanti in Italia, costa troppo e per questo lo si importa dall’Asia e dalla Turchia. Per i minatori l’unica chance è quella di una rapida evoluzione. “O si specializzano su altri minerali - evidenzia Francesco Garau, dipendente di un’azienda sarda - o diventano esperti della manutenzione e della bonifica delle zone in cui lavorano, cosa che peraltro stanno facendo con ottimi risultati”. Insomma, in fondo alla buie gallerie c’è una luce, magari flebile, ma è pur sempre una speranza alla quale i minatori devono aggrapparsi con forza e coraggio, perché il loro futuro non è ancora scritto.