La guerra dei Benetton, Alessandro lascia l'azienda: scontro sui tagli e i licenziamenti
Il figlio di Luciano si dimette in polemica con le scelte aziendali. All'orizzonte tagli pesanti al personale. La storia di un grande marchio e le preoccupazioni per il futuro

Cosa sta succedendo alla Benetton, una delle aziende familiari più note d’Italia? Cosa significano le dimissioni di Alessandro Benetton dal cda di Benetton Group? Ormai si parla apertamente di “dissidi di famiglia e lotte intestine”, come scrive Repubblica. Il figlio di Luciano Benetton infatti abbandona dopo essere stato presidente esecutivo sino al 2013. All'origine della decisione dell'imprenditore cinquantenne pare ci sia la mancata condivisione sui progetti futuri dell'azienda di Ponzano Veneto. Alessandro sarebbe infatti contrario alla ristrutturazione e favorevole a un rilancio del marchio storico.
Per la società – come riporta il Corriere della Sera – siamo di fronte a “un normale avvicendamento in Cda”. Per alcuni si tratta però di un ulteriore colpo agli equilibri storici della famiglia già messi a dura prova dopo la scissione in tre parti dell'azienda, quella tra la parte industriale, l’immobiliare e il retail. Stando a quanto si legge su La Stampa, Alessandro aveva già lasciato il posto ai due manager Gianni Mion e Marco Airoldi e – più recentemente – a Francesco Gori. La decisione di Luciano Benetton di non nominare un rappresentante della famiglia fa tuttavia intendere che “per la prima volta si apre uno scontro tra lui e il fratello Gilberto”, responsabile di Edizione, holding che controlla - oltre a Benetton - Autostrade, Autogrill, Aeroporti di Roma e altro.

(Alessandro Benetton)
La storia della Benetton
Ma chi andrà allora a sedersi al posto del dimissionario Alessandro? Probabilmente un manager esterno alla famiglia Benetton, da nominare nel Cda di dicembre e proveniente dal mondo della moda – si legge sui giornali - e questo segnerà un cambiamento storico nella vita dell’Azienda e della dinastia che la creò negli anni sessanta. Erano stati infatti quattro fratelli a porre le basi dell’impero tessile: Luciano, Gilberto, Giuliana e Carlo. Il primo negozio aperto a Cortina d’Ampezzo fu presto seguito da tanti altri ed appena 3 anni dopo la filosofia commerciale della Benetton portò all’apertura del primo negozio internazionale a Parigi.
Come ricorda il quotidiano La Stampa “nell’Italia del Centrosinistra e dell’abbondanza i pulloverini Benetton facilmente indossabili e poco costosi diventano una specie di divisa democratica”. E ben presto i negozi smart della Benetton si diffondono in varie parti del Pianeta.
L'apporto di Oliviero Toscani
Negli anni ’80 poi arriva la forza propulsiva della comunicazione pubblicitaria che vede in campo il fotografo Oliviero Toscani. A fianco di Luciano Benetton, il re dello scatto vara delle campagne che “sovvertono i pregiudizi” e propongono tematiche sociali. “L’armonizzarsi delle tinte dei pullover corrisponde in un certo modo alla previsione di una società multietnica e alla visione di un accordo tra le razze umane”, fa notare il quotidiano piemontese. Insomma “bianchi e neri, arabi ed ebrei, angeli e diavoli stretti in un tenero abbraccio”. Denuncia sociale e politica pura. Si va dalla “suora che bacia il prete alla donna nera che stringe al petto nudo un bambino bianco, dal morente di Aids ai vestiti insanguinati del caduto in Bosnia”.
"Meglio le idee dei pullover"
Poi nel 2000 l’intesa tra l’industriale e l’artista si spezza. “Meglio le idee dei pullover”, affermerà polemicamente il fotografo. Intanto i Benetton cominciano a diversificare, a investire negli autogrill e negli aeroporti. L’attenzione verso il settore tessile si allenta e viene lasciato più spazio ai manager. La parabola della Benetton e dei suoi capi d’abbigliamento sembra perdere la spinta propulsiva. “Tanto che in una intervista a Libero Alessandro, il dimissionario di oggi, confida: “Il segreto dei Benetton è stato partire senza soldi. Quando non hai i mezzi sei predisposto al cambiamento e vengono fuori le idee”.
Le preoccupazioni
Insomma la prima generazione “si era divisa equamente i compiti ma alla seconda generazione tutto si è complicato”, osserva La Stampa. Alessandro lascia in un momento in cui la direzione di marcia non lo convince. Inoltre “nessuno gli ha mai proposto la presidenza della holding, ruolo per cui molti lo vedevano tagliatissimo”. Cosa succederà ora è dunque tutto da scoprire. L’azienda negli ultimi anni non ha brillato e si profila all’orizzonte un piano di ristrutturazione che potrebbe portare a tagli pesanti, anche per quanto riguarda il personale. In discussione per altro, secondo alcuni, anche il ruolo dell’attuale amministratore delegato di Benetton Group, Marco Airoldi.
Per questo c’è molta preoccupazione sul futuro della società, ed anche il sindacato non lo nasconde. Non per nulla “la segretaria generale della Filtcem Cgil di Treviso, Maria Cristina Furlan, parla sul Corsera di “strategia troppo ondivaga fondata su progetti estemporanei”.