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[Il retroscena] Il miracolo dello scandalo Consip: il carabiniere indagato è stato promosso

Il capitano Scafarto promosso maggiore: Non è la prima volta che accadono vicende simili. Domani l'ufficiale, già indagato per falso materiale e documentale, sarà sentito dai pm della procura di Roma

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Un'immagine di Gianpaolo Scarfato

Promosso. Quando domani i magistrati della procura di Roma lo interrogheranno per contestargli un nuovo abuso d’ufficio, un’altra irregolarità nell’inchiesta Consip, dovranno chiamarlo “maggiore Scafarto”. Nei mesi estivi, mentre l’inchiesta che potrebbe raccontare il più grave depistaggio della storia giudiziaria maturava nuovi colpi di scena, il capitano una volta in forza al Noe ed ex fedelissimo del colonnello Sergio Di Caprio “Ultimo”, ha lasciato i panni già importanti del capitano per indossare i gradi di maggiore. Con relativo aumento di stipendio e indennità. 

Quella che può sembrare una perversione, è in realtà un automatismo rispetto al quale niente e nessuno può opporsi. Il passaggio dalle tre stelle di capitano alla torre di maggiore è “automatico” e, per quanto valutato dalla commissione di avanzamento, può essere congelato e inibito solo “in presenza di imputazione e/o condanna definitiva”. Scafarto è invece “solo” indagato per falso in atto pubblico materiale e documentale e per rivelazione di segreto istruttorio per diversi episodi dell’inchiesta Consip. E se qualcuno ai vertici dell’Arma provasse a rallentarne la carriera per accuse che al momento sono solo ipotesi di reato, rischierebbe di essere a suo volta indagato per abuso d’ufficio.

Nell’equilibrio di pesi e contrappesi che giustamente devono tutelare l’attività di un pubblico ufficiale con delega di polizia giudiziaria che, in quanto tale, potrebbe risultare inviso a qualche potere superiore, si assiste così al paradosso che l’investigatore che avrebbe falsificato, quasi costruito a tavolino, un’indagine che doveva e voleva andare a colpire l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi, viene promosso sul campo. Una promozione che, notare bene, niente e nessuno potrà negargli qualora un giorno le ipotesi di reato diventassero condanne definitive. Scenario che tra una cosa e l’altra non potrà verificarsi prima di 3-4 anni. 

Nel frattempo Scafarto esercita la sua funzione presso il Comando regionale dei carabinieri di Napoli. Non è la prima volta che accadono paradossi simili: anche ai tempi dei processi sui fatti del G8 di Genova alcuni dei più noti investigatori della polizia di Stato venivano di tanto in tanto promossi e avanzati in carriera fino ad essere poi radiati una volta condannati definitivamente. Ma quella fu un’indagine difficile, in un contesto – i giorni del luglio 2001 al G8 di Genova - complicato e condizionato da tensioni e pressioni. Scafarto, e chi altro con lui, ha invece agito lavorando in autonomia ad un’inchiesta per corruzione dove l’aspetto più rischioso è stato probabilmente quello di allacciare cimici per le intercettazioni e poi ascoltare ore e ore di dialoghi. Sbagliando però spesso e volentieri le trascrizioni e, secondo l’accusa, in maniera dolosa visto che in una chat interna tra i carabinieri del Noe il capitano diceva: “Trovatemi quella frase, riascoltate i file, ho bisogno di quei nastri per arrestare Tiziano Renzi”. Cioè il padre del presidente del Consiglio. Obiettivo non raggiunto probabilmente solo perché poco prima di Natale la procura di Napoli ha dovuto cedere l’inchiesta ai colleghi di Roma per competenza territoriale. Il primo marzo il procuratore Pignatone tolse la delega al Noe “per il numero eccessivo di fughe di notizie”. Tutto il resto è arrivato in conseguenza, quando l’aggiunto Ielo e il pm Palazzi hanno verificato riga dopo riga i passaggi dell’inchiesta trovando molti errori. Troppi. E affatto banali. Un verminaio di infedeltà e manipolazioni in cui sono sprofondati, con Scafarto, anche il numero 2 del Noe, il colonnello Alessandro Sessa indagato per depistaggio. 

Vale qui la pena ricordare almeno un episodio. Il corpo centrale dell’inchiesta è raccolto in una informativa datata 9 gennaio 2017 firmata da Scafarto. Tra i passaggi chiave dell’indagine c’è una frase intercettata con un’ambientale tra il lobbista ed ex deputato Italo Bocchino e l’imprenditore Alfredo Romeo da cui l’allora capitano deduce che “Tiziano Renzi ha incontrato Romeo”.  Tra l’estate 2016 e il gennaio 2017 i militari del Noe coinvolti nell’indagine, comunicavano tutti grazie ad una chat via whatsapp. Ed è proprio in questa chat, tutta agli atti dell’inchiesta sui depistaggi, che emerge in modo chiaro come siano andate le cose. Il 2 gennaio Scafarto scrive ai suoi colleghi della squadra:

«Per favore, qualcuno si ricorda se Romeo ha mai detto a qualcuno di aver visto, anche una mezza volta, Tiziano (Renzi ndr.)?». Nessuno risponde. Il giorno dopo il Capitano ci riprova: «Buongiorno a tutti… Forse abbiamo il riscontro di un incontro tra Romeo e Tiziano Renzi. Ieri ho sentito a verbale Mazzei, il quale ha riferito che il Romeo gli ha raccontato di aver cenato o pranzato (non ricordava) con Tiziano e Carlo Russo». A quella dichiarazione serve però un riscontro per diventare seria. Scafartoè convinto di avercelo, il riscontro. E’ da qualche parte nelle carte. «Remo – scrive Scafarto nella chat - per favore, riascoltala subito. Questo passaggio è vitale per arrestare Tiziano (Renzi ndr.). Grazie. Attendo trascrizione». La trascrizione risulterà poi falsa, perchè forzata, attribuita a Romeo mentre la dice Bocchino ed è riferita a tutt’altro. 

Dunque, piegare le indagini e i riscontri alla necessità di arrestare qualcuno. Il padre, per l’appunto dell’allora Presidente del Consiglio. Per non parlare poi di notizie coperte da segreto rivelate via mail ad agenti dei servizi segreti (gli ex colleghi del Noe transitati in blocco, dodici, nei ranghi dell’Aise e a fine luglio tutti “restituiti” all’Arma  per “interruzione del rapporto di fiducia”). Nella chat Scafarto e il colonnello Sessa (indagato per depistaggio) ipotizzano addirittura di mettere cimici nell’ufficio del comandante generale dell’Arma Tullio Del Sette (a sua volta indagato per rivelazione di segreto con il ministro Lotti e il generale Saltalamacchia perché avrebbero rivelato l’esistenza dell’inchiesta Consip).

Insomma, ancora da dimostrare, ma ci sono tutte le premesse per un verminaio che sfiora l’attentato agli organi istituzionali. Ma da cui possono nascere anche i gradi per diventare maggiore.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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