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"Quando il branco venne nel mio locale. Mi salvai perché non reagii"

Il racconto, pubblicato su Facebook, è di Stefano Sorci, titolare del locale 'Macellerie Sociali'. "Una mezz'ora, e non è successo nulla di particolare - dice - Eppure tutti i presenti quella mezz'ora se la ricordano bene".

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"Un'atmosfera da film di Tarantino", quelle scene sul filo della tensione, coi dialoghi apparentemente neutri mentre l'atmosfera si fa opprimente, la sensazione di violenza pronta a esplodere. Ma quella sera di fine estate, nel suo locale di Giulianello, in provincia di Latina, non sono entrati dei divi di Hollywood, ma il gruppo di ragazzi accusati in queste ore di avere ucciso Willy a Colleferro. Proprio loro. Non era un film.

Il racconto, pubblicato su Facebook, è di Stefano Sorci, titolare del locale 'Macellerie Sociali'. "Una mezz'ora, e non è successo nulla di particolare - dice - Eppure tutti i presenti quella mezz'ora se la ricordano bene". Una serata come tante, per la birreria del piccolo centro. I tavolini all'aperto, il personale che porta boccali appannati per gli avventori che si godono il fresco. Una sgommata, ed era "il Suv che sbucava a tutta velocità per poi inchiodare a due metri dai tavolini. Sono scesi in 5, capelli tinti, catene al collo, vestiti firmati, i bicipiti tirati a lucido e le sopracciglia appena disegnate" così come nelle immagini che in questi giorni sono circolate sui media. E' calato il gelo.

Il primo si è affacciato alla porta: "Chi è che comanda qua dentro?", ha chiesto. Stefano si è avvicinato. "Ah, ecco, comanda lui, è questo qua". Hanno fatto mille domande, "sugli orari di apertura di tutti i locali del paese, poi sulle birre, sul modo in cui si lavano i bicchieri, sulla quantità della schiuma... c'era un'atmosfera pesantissima" racconta il titolare. Nel frattempo però i tavoli fuori si svuotavano, a uno a uno gli avventori se ne sono andati. Stefano ha mantenuto la calma, ha provato a rispondere alle loro domande. Ma loro hanno coperto le risposte con dei rutti. L'altro è riuscito a rimanere impassibile. Allora quelli, prosegue il racconto, "hanno proseguito la provocazione, 'non si fa così, non ci facciamo riconoscere, se ruttiamo poi sembra che manchiamo di rispetto a lui che comanda! Dobbiamo chiedere scusa!".

Stefano ha servito loro le birre, quelli hanno pagato. Se ne sono andati, sgommando come sono arrivati. Li paragona a cani che marcano un territorio nuovo. Ha chiuso il locale, e poi è tornato a casa: "Ho pensato con rabbia alla mia vigliaccheria - dice - al mio averli serviti con educazione mentre mi mancavano palesemente di rispetto in casa mia, e anche al fatto che avevano la metà dei miei anni. Ho pensato che avevo soltanto chinato il capo davanti alla prepotenza. Poi ho sperato di non vederli più, perché se fossero tornati non avrei sicuramente reagito neanche la seconda volta, e ho pensato che avevo avuto paura. Semplicemente. Tristemente. Oggi - scrive ancora l'uomo - ripensandoci alla luce dei fatti recenti, forse non me ne vergogno più, provo solo una stima enorme per Willy e per la sua sterminata mole di coraggio racchiusa in uno scricciolo d'uomo".

Il post di Stefano si conclude con una riflessione: non c'entrano nulla i media, la musica o le arti marziali, ma "c'entrano le istituzioni, i genitori, la scuola, la storia è sempre la stessa, ma non la studiamo mai". Lui, Stefano, ricorda la sua famiglia, le 'lezioni' imparate nell'infanzia e nell'adolescenza, i conflitti, anche. Ma anche le soddisfazioni: "Credo di aver preso un solo schiaffo da loro, in tutta la mia vita, ma non me ne sono mai serviti altri. Mi è servito il loro esempio, ho avuto bisogno dei loro insegnamenti, delle loro rinunce per permettermi di studiare. Siamo tutti figli di una società, ma soprattutto siamo tutti figli - conclude - e la società la facciamo noi".

 

 
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