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L'omicidio della vigilessa, il racconto shock della comandante Fiorini: "Si chiudevano in ufficio, clima di lavoro teso e quell’arma che non doveva essere lì”

La comandante ha riferito di numerose segnalazioni da parte degli agenti, che rifiutavano di lavorare in pattuglia con Stefani per comportamenti inadeguati, sia verso i cittadini che verso i superiori.

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L'omicidio della vigilessa, il racconto shock della comandante Fiorini: 'Si chiudevano in ufficio...
Sofia >Gualandi la vigilessa uccisa e Giampiero Gualandi l'ex comandante e presunto autore del delitto

Emergono nuovi dettagli inquietanti nel processo per l’omicidio di Sofia Stefani, la 33enne agente della Polizia Locale di Anzola Emilia (Bologna) uccisa il 16 maggio 2024 da un colpo di pistola esploso nell’ufficio del suo comandante, Giampiero Gualandi, oggi 63enne, con cui aveva una relazione extraconiugale. L’uomo è imputato per omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dal legame affettivo. La Procura ritiene che non si sia trattato di un incidente, come invece sostiene la difesa.

"Si chiudevano in ufficio"

Davanti alla Corte d’Assise di Bologna, presieduta dal giudice Pasquale Liccardo, ha testimoniato Silvia Fiorini, comandante della Polizia Locale di Anzola e Sala Bolognese. La sua ricostruzione ha offerto un quadro teso e complesso del contesto lavorativo in cui si è consumato il delitto. “Mi fu riferito che la Stefani si chiudeva spesso in ufficio con Gualandi”, ha dichiarato Fiorini, sottolineando che i colleghi avevano notato capelli lunghi e neri nel bagno degli uomini, associandoli ironicamente alla vittima. “Io personalmente non ho mai visto la Stefani nell’ufficio di Gualandi – ha spiegato – ma mi venne detto che arrivava quando non ero presente e rimaneva a lungo, a porta chiusa”.

I rapporti tesi

La comandante ha riferito anche delle continue lamentele da parte degli agenti in servizio con Stefani: “Molti mi chiedevano di non essere messi in turno con lei. Interagiva in modo inappropriato con i cittadini fermati e non rispettava la gerarchia, contestando l’operato del capo pattuglia e telefonando direttamente a Gualandi”. Fiorini ha confermato di aver avviato procedimenti disciplinari nei confronti di Stefani, culminati nel mancato superamento del periodo di prova a novembre 2023. “In un caso, durante un intervento con una famiglia che aveva occupato il Comune, la Stefani si allontanò lasciando sola la collega per andare a prendere una sedia. Venne poi trovata nell’antibagno mentre telefonava a Gualandi. Alla richiesta di rientrare, reagì con un tono minaccioso: ‘Se hai qualcosa da dirmi, ci vediamo fuori’”.

Il ruolo di Gualandi e l’uso improprio dell’arma

Il comandante Fiorini ha anche chiarito che dal 1° gennaio 2024 Gualandi era assegnato a un servizio interno, il contenzioso, e non avrebbe dovuto portare con sé la pistola d’ordinanza. “Non ho mai visto nessuno pulire armi in ufficio, né Gualandi né altri. L’arma era assegnata ma non autorizzata all’uso quotidiano”, ha specificato. A confermare la criticità della presenza dell’arma è stato anche il tenente dei Carabinieri Vincenzo Bazzurri, in aula come teste. “Chi svolge servizi interni non è autorizzato ad avere con sé la pistola – ha detto – Nell’armadietto di Gualandi trovammo due fotocopie: una con due mani intrecciate, una con un seno, e un foglio con la scritta a matita ‘G e S’ e la data 20 aprile 2024”.

Un clima lavorativo ostile

Fiorini ha parlato anche dei difficili rapporti con l’imputato: “Dal settembre 2021, Gualandi era stato dichiarato idoneo solo a servizi interni, e da allora non ha più svolto compiti esterni. I rapporti tra noi erano tutt’altro che distesi. Ogni mia disposizione era oggetto di lamentele, chiarimenti, richieste di spiegazioni. Parliamo di centinaia di email e decine di lettere”. Il contesto emotivo e professionale in cui si è consumato il delitto continua a gettare ombre sull’omicidio, che la Procura di Bologna, con la PM Lucia Russo, considera frutto di una volontà precisa e non di un tragico errore.

Il processo proseguirà nei prossimi giorni con nuove audizioni e accertamenti tecnici. Gualandi, assistito dagli avvocati Claudio Benenati e Lorenzo Valgimigli, continua a dichiararsi innocente, sostenendo che lo sparo sia partito accidentalmente durante una colluttazione.

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