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La pandemia che oscura il futuro: come è cambiata la vita dei giovani ai tempi del Covid

Una ricerca del sociologo Mauro Tuzzolino porta alla luce i sentimenti più intimi dei ragazzi e delle ragazze rispetto alla scuola d'emergenza (Dad) e alle relazioni sociali sempre più virtuali. Avverrà "un cambiamento", dicono gli intervistati in "Modo Proximo". E non sono tutte cattive notizie

Antonella A. G. Loidi Antonella Loi   
La pandemia che oscura il futuro: come è cambiata la vita dei giovani ai tempi del Covid
(Foto Ansa)

"Oggi il domani è incombente, mi si è accorciato il futuro, ne sento il rumore". Potrebbe apparire quasi come una suggestione, ma nelle parole di P. C. studente di 18 anni c'è una percezione precisa dello spazio e del tempo (e di sé) come conseguenza di un contesto "di crisi" senza precedenti. Parole e concetti quali pandemia, distanziamento, Dad, lockdown si sono insinuate e radicate forgiando una nuova quotidianità sociale. In essa i giovani diventano uno straordinario incubatore di informazioni, a ben vedere utilissime per leggere quanto sta accadendo. E allora il primo elemento da annotare è la "paura" di un futuro reso incontrollabile dalla imprevedibilità degli eventi, accompagnato dalla "riscoperta della propria fragilità" che riporta a una "richiesta di maggior protezione collettiva". I fattori positivi sono che la "fiducia" è strettamente legata a quella verso la scuola e la sanità, "ancoraggi solidi" che "hanno saputo contenere gli effetti della crisi", in quanto buoni comunicatori rispetto ai fatti contingenti ma anche in quanto "regolatori emotivi", il cui "campo negativo" cresce al diminuire della fiducia nei due organismi. 

E' una fotografia nitida con non pochi spunti d'analisi della complessa società post pandemia quella scattata da Modo Proximo - Voci dal nostro futuro, edito da Arkadia e secondo tempo di un lavoro di ricerca avviato nel 2020 in piena chiusura (lockdown), quando "fuori era già primavera". A firmarlo Mauro Tuzzolinosociologo e insegnante, che attraverso una serie di questionari online ha testato la percezione del Covid ovvero l'impatto emotivo, insieme alle relazioni e ai linguaggi, alla Dad, alla proiezione di vita, ai pensieri di sintesi e al futuro, tutti capitoli di analisi su 1.238 ragazzi e ragazze di età comprea tra i 18 e i 29 anni. Un campione "casuale", spiega lo studioso, concentrato più a Sud e nelle Isole e visto in primis dall'interno delle aule delle scuole superiori. 

Il sociologo Tuzzolino durante una presentazione dello studio a Cagliari

A distanza di circa un anno dal primo rilevamento cresce la "strumentazione di indagine, alla ricerca di un ascolto costruito anche sulla relazione": non più solo questionari ma anche focus group tematici su tre vettori portanti (didattica a distanza, futuro e linguaggi digitali) e gruppi classe che hanno prodotto brevi testi scritti. Da questi elaborati complessi, per esempio, emerge la fiducia riposta nelle istituzioni che, se cala lievemente in generale, cresce decisamente rispetto all'Europa (passata dal 47,5% del 2020 al 68,6% del 2021), così come il forte sentimento di affidamento sulla sanità, ma anche sulla scuola, il cui metodo formativo "emergenziale", la Dad, appare nella percezione dei giovani intervistati cresciuta in qualità e oggi strumento più performante. 

Dad sì ma solo nell'emergenza

Ma in generale il giudizio sulla Dad si è deteriorato, nonostante sia evidente la maggiore organizzazione e aggiornamento degli insegnanti e un generale miglior funzionamento dello strumento didattico. Al netto dell'aumento del pericolo dispersione scolastica (8% in generale, 23% tra studenti con disabilità) il giudizio ottimo/buono verso la Dad passa dal 40,4% al 34,4% e per contro il giudizio scarso/pessimo cresce dal 20,3 al 28,2 per cento. Il giudizio positivo cresce inoltre al salire della fascia d'età e dell'efficienza dei mezzi tecnologici di cui si dispone. Come dire che si riconoscono gli sforzi fatti, ma l'aspettativa di partenza era ben altro. 

La doppia percezione della lunga crisi 

Più consapevolezza e meno giovani smarriti e soli, è un altro importante dato che preme sottolineare, ragazzi e ragazze che si confrontano ed elaborano i loro linguaggi cercando "nuove modalità di connesisone con il prossimo". Per essi la percezione del Covid è ben delineata. Si "informano e sono consapevoli" per l'89% (qualche punto in meno rispetto al 2020) mentre cresce il numero di coloro che dichiara di far fatica a comprendere (dal 6 al 9%). "Mi informo ma non eccessivamente onde evitare angoscia e ansia", "Non voglio sapere niente", "Penso sia un problema ingigantito dai media", "Mi informo e sono abbastanza consapevole ma ci sono momenti sempre più frequenti in cui non sento di capire davvero cosa stia succedendo", sono le parole che gli intervistati pronunciano e che si possono sintetizzare nella "confusione" manifestata rispetto al prolungarsi della crisi.

Non a caso è proprio l'aspetto emozionale a rappresentare un indicatore importante su cui si focalizza la ricerca: rispetto alle emozioni positive (amore, amicizia, serenità, ottimismo, fiducia, simpatia) si nota un calo (26,6 rispetto al 21% di oggi), contro una crescita di quelle negative (pessimismo, rabbia, dolore, angoscia, odio) che passa dal 20 al 33% e un confermarsi, anche se in leggero calo, dell'area delle percezioni neutre o del "disorientamento", che passano dai 50 ai 46 punti percentuali. Tra le emozioni negative vince l'angoscia (9,5), seguita da pessimismo e rabbia. Dolore e paura seguono a distanza. E' interessante notare "la correlazione tra tempo e utilizzo dei social e articolazioni delle emozioni comunicate", la quale indica come a un tempo trascorso sui dispositivi elettronici di più di 3 ore sembri corrispondere un "acuirsi delle percezioni negative". 

Più social, ma si torna a incontrare gli amici

Cosa è accaduto nei giovani che alla domanda "come trascorri principalmente il tempo?" rispondono di dedicarsi per lo più allo studio (81%), ad ascoltare musica (48%) o guardare serie tv (45%) e stare in contatto virtuale con amici e parenti (35%)? Si nota una maggiore propensione a vivere lo spazio domestico, nonostante le restrizioni nella seconda fase della pandemia siano state meno rigide. La riconquista degli spazi esterni è avvenuta, chiaramente, ma secondo logiche differenti. Il 70% per esempio dichiara di avere avuto incontri con amici e coetanei (44% qualche volta e 26% spesso) da cui emerge "attenuata l'idea di isolamento e confinamento". Ma è pur vero che resta un 29% che dichiara di aver visto poco o mai (9%) i propri coetanei. E' interessante notare che le relazioni sono state condizionate anche dalla tipologia di residenzialità. Sorpresa: il piccolo centro favorisce gli incontri più della città.

In tutti i casi, dalla ricerca condotta con l'apporto di studiosi e tecnici - tra cui l’insegnante Vittorio Lo Verso, lo psicologo clinico Claudio Onnis, Ester Cois e Barbara Barbieri, sociologhe, la militante femminista Maria Pia Pizzolante, Manuela Pintus, sindaca di Arborea, e il filosofo Silvano Tagliagambe - si nota un aumento della socialità mediata dai dispositivi elettronici che, durante il lockdown, ma anche con l'allentamento delle restrizioni, ha in qualche modo dominato le relazioni. Interessanti le percentuali dell'uso dei social network: da 3 a più di 3 ore e mezza per il 62%, 1-2 ore per il 28%, per il 9 per cento poco tempo e "mai" solo per 1 su 100. E all'interno di questi numeri le femmine battono i maschi per assiduità nell'uso delle piattaforme virtuali. 

Quale futuro

Che dentro questi dati si nasconda fragilità, angoscia e ansia è appurato. Si arriva così alla sintesi del titolo: alla domanda "come vedi il futuro?", il 37,5% del campione risponde "peggio di prima", con un prima - aggiungiamo noi - che già forse non se la passava benissimo. Se quindi la "difficoltà di anticipazione del proprio futuro, delegato nelle mani dello Stato", e la visione eventi non più prevedibili perché cadenzati da provvedimenti "che non comprendiamo completamente", ci precipita in una sorta di "Tso collettivo" e scava nel presente delle giovani generazioni. "Rispetto alla rilevazione del 2020 - scrive l'autore - registriamo un prevedibile vistoso calo dell'opzione 'meglio di prima' da 27% a 21,2% e diminuisce anche il numero percentuale di coloro che rispondono esattamente 'come prima', dal 20% al 16,4%. Il 'non ci penso' aumenta però dal 16% al 23,9%".

Che futuro ci sia oltre al coltre pandemica non è di facile percezione. Il 67% dei ragazzi e delle ragazze intervistate però ammette che conoscerà "un cambiamento" che sarà "in meglio" per il 45,1% e "in peggio" per 15,7 giovani su 100, mentre più del 39 per cento non sa identificare ciò che verrà. "Come in altre circostanze - è la riflessione di Tuzzolino - sottolineiamo un maggiore ottimismo da parte dei maschi" e "un maggiore pessismo" da parte di coloro che passano più tempo sui social.

 

Antonella A. G. Loidi Antonella Loi   
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