L'omicidio Cucchi, i due carabinieri in carcere: si sono costituiti dopo decisione Cassazione
L'attenzione si sposta ora a giovedì e alla sentenza per i presunti depistaggi messi in atto dalla catena di comando dell'Arma. Il giudice monocratico della Capitale è chiamato a vagliare le richieste di condanna nei confronti degli otto imputati.


Hanno trascorso la prima notte in carcere, da condannati in via definitiva. Dopo la sentenza della Corte di Cassazione a 12 anni per omicidio preterintenzionale, nella tarda serata di ieri, i carabinieri Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro, hanno deciso di costituirsi e iniziare a scontare la condanna per il pestaggio di Stefano Cucchi avvenuto il 15 ottobre del 2009 nella caserma dell'Arma di Roma Casilina.
I due si trovano nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere dove sono stati trasferiti dopo essersi recati nella stazione nella caserma dell'Arma Ezio Andolfato. Come previsto dal protocollo sanitario relativo al Covid, i militari si trovano ora in isolamento sanitario. Come è stato disposto per tutti i detenuti che arrivano in carcere, resteranno appartati per cinque giorni. Poi, se l'esito del tampone sarà negativo, verranno trasferiti in cella.
Si chiude così il capitolo giudiziario relativo a chi materialmente aggredì 13 anni fa il geometra romano dopo che era stato arrestato perché trovato in possesso di sostanze stupefacenti. Nei confronti dei due condannati il Comando generale dell'Arma ha annunciato che saranno "sollecitamente conclusi, con il massimo rigore" i procedimenti disciplinari. La sentenza, aggiunge l'Arma "ci addolora perché i comportamenti accertati contraddicono i valori e i principi ai quali chi veste la nostra uniforme deve sempre e comunque ispirare il proprio agire".
La Cassazione ha, inoltre, disposto un nuovo processo d'appello per il maresciallo Roberto Mandolini, all'epoca dei fatti comandante della stazione Appio e per Francesco Tedesco, il militare che con le sue dichiarazioni ha fatto riaprire le indagini sul caso. I due sono accusati di falso ma sulle loro posizioni incombe il rischio prescrizione.
L'attenzione sulla morte di Cucchi si sposta ora a giovedì e alla sentenza per i presunti depistaggi messi in atto dalla catena di comando dell'Arma. Il giudice monocratico della Capitale è chiamato a vagliare le richieste di condanna formulate nel dicembre scorso dalla Procura nei confronti degli otto imputati. In particolare sono state chiesti 7 anni per il generale Alessandro Casarsa, all'epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma. Cinque anni e mezzo per Francesco Cavallo, cinque anni per Luciano Soligo e per Luca De Cianni mentre sono quattro gli anni chiesti per Tiziano Testarmata. Per Francesco Di Sano tre anni e tre mesi e tre anni per Lorenzo Sabatino. Un anno e un mese per Massimiliano Colombo Labriola, per il quale è stato chiesto il riconoscimento delle attenuanti generiche. Agli imputati, a seconda delle posizioni, si contestano i reati di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia.
Nel corso della requisitoria il pm Giovanni Musarò usò parole durissime affermando che "un intero Paese è stato preso in giro per anni" in una attività di depistaggio che è stata "ostinata, a tratti ossessiva". Per l'accusa, il giudice è chiamato "a valutare non singole condotte isolate ma un'opera complessa di depistaggi". Si tratta di iniziative "caratterizzate dalla volontà - ha aggiunto Musarò - di ostacolare l'individuazione dei fatti. Quello che è emerso con evidenza dalla fase dibattimentale è che i depistaggi non si sono fermati al 2018 ma sono andati avanti fino al febbraio 2021: sono state alzate tante cortine fumogene".