"Magari morisse". La mail con la prova fatta sparire e le intercettazioni dei Carabinieri dopo il pestaggio di Cucchi
Nuovi elementi nelle 400 pagine depositate dal Pm Musarò, incluso l'episodio, centrale, del messaggio di posta elettronica con i fatti falsificati per sviare le indagini

"Magari morisse, li mortacci sua". E’ quanto afferma un carabiniere che, a quanto si legge nei nuovi atti istruttori depositati oggi dal pm Giovanni Musarò durante il processo sulla morte di Stefano Cucchi, sarebbe Vincenzo Nicolardi (imputato per calunnia), parlando con il capoturno della centrale operativa del comando provinciale tra le 3 e le 7 del mattino del 16 ottobre del 2009. Nei dialoghi si fa riferimento alle condizioni di salute del geometra 31enne che era stato arrestato poche ore prima e si trovava nella stazione di Tor Sapienza. "Mi ha chiamato Tor Sapienza - dice il capoturno della centrale operativa - Lì c'è un detenuto dell'Appia, non so quando ce lo avete portato se stanotte o se ieri. E' detenuto in cella e all'ospedale non può andare per fatti suoi". Perentoria la risposta di Nicolardi: "E' da oggi pomeriggio che stiamo sbattendo con questo qua". Continuano ad emergere dettagli delle ultime ore del geometra romano, fermato mentre era in possesso di droga e poi morto dopo un pestaggio subito in caserma, come sempre denunciato dai familiari e a lungo negato dai militari coinvolti in quei fatti. Non è l'unico elemento a far luce su uno scenario di omertà e sabotaggi.
Quattrocento pagine
I nuovi atti depositati dal pm Giovanni Musarò, quattrocento pagine, provano come l'intera catena di comando dei Carabinieri abbia contribuito a "silenziare" i fatti relativi alla morte di Stefano Cucchi. Il principale sabotaggio riguarda la sparizione di una mail del 2009 che dimostrava come l'ordine di insabbiare il caso della morte del geometra romano fosse arrivato dal Comando provinciale dei Carabinieri di Roma. Una prova fondamentale scomparsa nel 2015 e recuperata dal Pm Musarò tre anni dopo, con un lavoro tenace difeso dal Procuratore Pignatone e coadiuvato dalla Mobile della Polizia di Roma. In quella mail vengono inserite le modifiche del racconto di quanto accaduto, in modo che gli inquirenti vengano sviati. A partire da quanto notato dai piantoni in caserma, Colicchio e Di Sano, che avevano notato le ferite di Stefano Cucchi. Come poi raccontato da Massimiliano Colombo Labriola, comandante di Tor Sapienza: "La mattina del 27 ottobre 2009 il maggiore Soligo mi disse che le annotazioni di Colicchio e Di Sano non andavano bene...Soligo ricevette telefonate dai suoi superiori. Rispondeva: 'Comandi, signor Colonnello' e ogni volta mi faceva segno di uscire. I suoi superiori erano il colonnello Alessandro Casarsa...e il tenente colonnello Francesco Cavallo...Dopodiché mi disse di trasmettere i files con le annotazioni dei due militari in formato word alla mail di Cavallo, cosa che feci". Dopo un'ora ricevette la risposta, con la versione modificata e il commento "meglio così".
Come è stato costruito il falso
Nella mail poi fatta spedire, i dettagli delle condizioni critiche di Cucchi vengono falsificati. Le condizioni precarie del fermato vengono attribuite alla branda fredda, all'epilessia, alla sua tossicodipendenza, alla bassa temperatura. I due piantoni vengono chiamati per firmare questa versione. Di Sano firma, Colicchio accorgendosi della manipolazione rifiuta, urlando al superiore Soligo "di andare affanculo". In quei momenti tesi, il maresciallo Labriola conserva la mail sia con le dichiarazioni originali che con quelle falsificate. Uno scenario inquietante, che mostra anche gli scontri interni ai Carabinieri proprio nel periodo in cui, esploso il caso Cucchi, il generale Tullio Del Sette esortava pubblicamente: "Chi sa, parli". Uno degli agenti coinvolti nel processo, poi scagionato e ora parte civile, Nicola Minichini, assistente capo coordinatore della Polizia penitenziaria, ha detto: "Mi dica cosa devo pensare di chi, pubblico ufficiale come me, ha falsificato le carte per nascondere le sue responsabilità. Io non sarei mai riuscito a farlo. I sei anni di processo sono stati un tormento. Lei sa che cosa vuol dire dover spiegare al proprio bambino che non sei un mostro?".