Condannato a 18 anni per l'omicidio del cognato, il paese in rivolta: Domenico è innocente
La Cassazione ha confermato il carcere per l'uomo accusato dalla sorella, poi morta suicida, dell'omicidio del marito. Una vicenda dai molti lati dubbi

Una pagina su facebook e un'assemblea cittadina per chiedere la liberazione di Domenico Fadda. La condanna definitiva a 18 anni di carcere per l'omicidio del marito della sorella Isabella, Giovanni Cossu, non convince per niente familiari e conoscenti che ieri si sono dati appuntamento presso la sala consiliare di Busachi, piccolo centro in provincia di Oristano. Striscioni appesi su tutti i balconi, tam tam sui social e petizioni per chiedere la revisione del processo e portare la storia di Domenico sotto la lente dell'opinione pubblica.
I fatti risalgono al 2011, quando Domenico Fadda, 56 anni, viene messo in carcere con l'accusa peggiore: quella di aver sparato a Giovanni, marito dell'adorata e fragile - perché malata di mente - sorella Isabella. Quella sorella alla quale aveva deciso di dedicare parte della sua esistenza, rinunciando a tutto per prendersi cura di lei e delle sue due figlie. Un supporto ulteriore al cognato al quale, pare, fosse molto legato. Un rapporto di affetto profondo, vissuto tra pudore e riservatezza, che potrebbe essergli stato fatale. L'omicidio avvenne in casa della sorella, in camera da letto. Giovanni venne ucciso con diverse pugnalate mortali. Qualcuno vide Domenico uscire da quella casa, presumibilmente dopo l'omicidio. Ventiquattro ore di irreperibilità e al suo rientro, l'arresto. La sorella Isabella lo aveva accusato: a uccidere Giovanni era stato Domenico.
Le manette arrivarono insieme al silenzio dell'uomo, preoccupato probabilmente di proteggere le due nipoti da una verità terribile che avrebbe potuto schiacciarle. Ma Domenico non sapeva che nel frattempo la donna si sarebbe suicidata, rendendo impossibile la ritrattazione di un'accusa che, inevitabilmente, avrebbe portato l'inferno nella sua vita.
La malattia mentale conclamata di Isabella causa e conseguenza di tutto. Una famiglia distrutta dal "troppo amore" - scrive La Nuova Sardegna - quello che spingeva Domenico e Giovanni e tutti i parenti a fare quadrato intorno alle fobie, alle depressioni, all'abitudine di lei di "dormire con un coltello sotto il cuscino". "A volte avevo paura", sarebbe la confidenza fatta da Giovanni a un amico. Un segreto da tenere entro le mura domestiche, in una continua esigenza di protezione delle due figlie. Almeno così pensò il giudice di primo grado che individuò le molte ombre intorno all'impianto dell'accusa, assolvendo Domenico con formula piena. Il giudizio d'Appello, ancora di fronte alla corte d'Assise di Cagliari, ribaltò però il verdetto in un'accusa di omicidio che poi venne confermato in Cassazione.
Oggi i cittadini del piccolo centro della regione storica del Barigadu dicono "no": Domenico deve essere liberato, perché tutti in paese sanno com'è andata. La richiesta dei compaesani è che venga fatta luce su una vicenda che rischia di tenere in carcere un innocente. "Istruire un processo di revisione non sarà cosa semplice - dice Agostinangelo Marras, insieme al collega Raffaele Miscali legale del 56enne - perché per farlo servono nuove prove". L'esito del processo di Appello che ha ribaltato la sentenza di primo grado è stato praticamente scritto dalla perizia medico legale. "La Bpa ha rilevato tracce di sangue di Domenico e di Isabella nel luogo del delitto". Ma il condannato "intervenendo a difesa del cognato, ha cercato di togliere il coltello (mai ritrovato ndr) dalle mani della sorella", sottolinea il legale. E questo spiegherebbe perché nei suoi abiti sono state ritrovate tracce di sangue. I giudici hanno ritenuto invece che questo fosse un indizio di colpevolezza molto forte, soprattutto se unito ad un precedente di Domenico, proprio un caso di accoltellamento. Senza dimenticare la base di partenza: l'accusa di Isabella mai ritrattata.
"Eppure - aggiunge Marras - diverse testimonianze rese in dibattimento dicevano altro". Il racconto della sorella della donna, per esempio, che "confermava l'odio nei confronti del marito", ma anche dei conoscenti e delle due figlie della coppia che mai hanno creduto alla colpevolezza dello zio. Insomma ricostruire la storia e "darle dignità di verità" per i legali sarà impresa ardua. "Noi ovviamente faremo tutto il possibile per sottrarre Domenico Fadda al carcere", assicura Marras.