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Bergoglio come Schindler: ecco la lista dei "salvati" da Papa Francesco

L'inviato speciale di "Avvenire", Nello Scavo, ricorda che Bergoglio riuscì a salvare alcuni perseguitati dal regime di Videla: "I figli di diversi amici del futuro Papa scomparirono per non fare mai ritorno. Probabilmente si è portato dietro per anni questo tipo di rimpianti"

di Andrea Curreli   
Josè Bergoglio Papa Francesco (Ansa)
Josè Bergoglio Papa Francesco (Ansa)

Quando a marzo del 2013 divenne Papa il gesuita e arcivescovo di Buenos Aires, Jorge Mario Bergoglio, esplosero immediatamente le polemiche legate alla posizione assunta nei confronti della dittatura argentina dei generali Videla, Massera e Agosti. La bagarre si consumò velocemente e il nuovo Pontefice, che già nel 2000 aveva fatto un atto di pubblica penitenza alla Chiesa argentina per le colpe commesse durante gli anni della dittatura, conquistò in pochi mesi consensi unanimi cancellando il tiepido ricordo del dimissionario Benedetto XVI. Il giornalista Nello Scavo non solo ha smentito la teoria del Papa sinergico al regime di Videla, ma ha rivelato che Bergoglio cercò in tutti i modi di salvare molte persone dal divenire desaparecidos. Il cronista e inviato speciale del quotidiano cattolico Avvenire ha ricostruito una lista di "salvati", per mano del provinciale dei gesuiti in Argentina, dalla mattanza repressiva dei militari. Una sorta di "Schindler argentino" che si prodigò per salvare gli oppositori al regime da una tragica fine, esattamente come l’industriale tedesco aveva fatto con gli ebrei. Il frutto del suo lavoro è stato un libro dal titolo La lista di Bergoglio (edizioni Emi, 2013).

Scavo, che cos’è la "lista Bergoglio" e chi sono i "salvati"?

"Prima di parlare dei 'salvati' è necessario inquadrare il periodo storico. L’Argentina dal 1976 al 1983 ha visto oltre trentamila desaparecidos, due milioni di rifugiati, 19mila persone fucilate in piazza e un’intera generazione segnata indelebilmente. I salvati di Bergoglio si inseriscono in questo contesto. Il provinciale dei gesuiti non chiedeva il certificato di battesimo per sapere se erano credenti o la fedina penale e quindi tra i salvati ci sono non credenti, studenti marxisti ma anche una coppia di sposi che oggi vive in Italia. I Gobulin furono perseguitati dal regime per aver scelto di vivere nella periferia di Buenos Aires tra i poveri. Questa scelta, considerata sovversiva, costò a Sergio Gobulin diciotto giorni di torture ininterrotte. Attraverso vari stratagemmi e grazie all’aiuto della diplomazia italiana a Buenos Aires, Bergoglio riuscì a far espatriare Ana e Sergio Gobulin in Friuli salvandoli da morte certa".

Quando Bergoglio è diventato Papa Francesco, ci sono state serrate accuse sull’assenza di critiche alla dittatura. Come si può passare in pochi mesi dall’essere dipinto dai media come "filo Videla" ad un novello Schlinder?

"In Argentina, così come in Italia, c’è un sottofondo culturale, sociale, politico e ovviamente mediatico che tende a tirare per la tonaca il porporato di turno. Bergoglio era considerato come il vero oppositore ai Kirchner, prima a Nestor e poi della presidente Cristina. Le accuse erano precedenti alla sua elezione come Pontefice ed erano state alimentate ad arte. Non dimentichiamoci le polemiche per il suo slogan, rivolto alla classe politica, 'bisogna combattere la povertà e non i poveri'. Io per primo, da giornalista, volevo comprendere se ci fossero ombre nella storia di questo gesuita chiamato a portare il cambiamento nella Chiesa. Sono partito dalle accuse di Horacio Verbitsky, un giornalista autorevole che attraverso i suoi libri ha fatto conoscere l’orrore dei voli della morte e delle camere di tortura. Ma dopo aver svolto la mia inchiesta sono arrivato alle conclusioni opposte".

Ma quindi quale fu l’atteggiamento di Bergoglio?

"Il problema nasce dal fatto che Bergoglio in tutti questi anni non ha mai replicato alle accuse preferendo la linea del silenzio. Ha reagito solamente in due occasioni: la prima in un’intervista proprio a Verbitsky e la seconda nell’interrogatorio del processo Esma del 2010. Processo nel quale fu sentito come persona informata dei fatti, ma trattato come un imputato. Mi permetto di aggiungere una considerazione: nonostante siano passati diversi anni in Argentina le questioni legate alla dittatura sono tutt’altro che chiuse. Pochi giorni fa sono saltati fuori gli archivi del generale Videla che pianificavano l’azione politica dei militari per governare il Paese sino agli anni Duemila".

Secondo lei perché ha scelto la linea del silenzio? Così facendo non ha prestato il fianco a quelli che, lei per primo, ha definito "veleni"?

"Le rispondo con l’esempio di Gino Bartali. Il ciclista dentro la sua divisa da corsa nascondeva documenti per aiutare gli ebrei e oppositori politici perseguitati dal regime fascista a espatriare. Bartali ha taciuto per anni e noi lo abbiamo scoperto solo dopo la sua morte. Lo stesso è accaduto con Giorgio Perlasca oppure, tornando all’Argentina, con Enrico Calamai, il vice console italiano a Buenos Aires durante la dittatura militare".

E quindi Bergoglio?

"C’è una ragione evangelica sintetizzata dal 'non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra'. Ma c’è anche una motivazione strategica e politica dovuta al non voler riaprire vecchie ferite legate a fatti ormai conclusi. Questo non vuol dire rinunciare alla ricerca di verità, ma farlo senza lanciare sospetti o prestare il fianco a strumentalizzazioni. E poi c’è un aspetto psicologico ed emotivo che è comune a Bartali, Perlasca, Calamai e appunto a Bergoglio. E’ come un pastore che durante una tempesta riesce a salvare 99 delle sue 100 pecore. Per molto tempo, o per tutta la sua vita, si domanderà se non poteva salvare anche la centesima pecora. Basta pensare alla storia del capitano Astiz, un uomo del regime che riuscì a infiltrarsi nella parrocchia di Santa Cruz e a far sparire e condannare a morte tante persone. Tra queste c’era un caro amico di Bergoglio. Anche i figli di diversi amici del futuro Papa scomparirono per non fare mai ritorno. Probabilmente si è portato dietro per anni questo tipo di rimpianti. Mi conceda però un ultima considerazione".

Prego.

"Davanti a tanti morti, al dolore di chi ancora oggi non ha neanche un luogo dove poter portare un fiore ai propri cari scomparsi o davanti a chi ha scoperto che era stato adottato illegalmente da famiglie vicino al regime dopo che la partoriente era scomparsa, è impossibile che Bergoglio si alzi e dica: 'Eccomi sono un eroe'".

Il suo libro ha di fatto consolidato la popolarità del Papa, potreva sembrare un’operazione finalizzata a questo e orchestrata da ambienti vaticani.
"Paradossalmente nel mio lavoro d'inchiesta non ho avuto nessun tipo di aiuto dall’entourage di Bergoglio e ho dovuto cercare da solo le mie fonti in Sudamerica. Ma secondo lei, se si trattasse di un’operazione di maquillage costruita o ordita dallo stesso Bergoglio o da persone vicino a lui il Papa sarebbe stato così fesso da affidarla ad un giornalista cattolico, che scrive per un quotidiano cattolico e che pubblica il libro per le edizioni Emi? Non crede che un’operazione del genere, se affidata a un giornalista estraneo all’ambiente cattolico, avrebbe dato maggiore autorevolezza all’inchiesta? Ripeto, nessuno mi ha voluto aiutare in questa ricerca, l’unica conferma che ho avuto è stata la traccia da cui sono partito. Una persona mi ha detto: le storie esistono, ma devi cercartele da solo".

Va bene, ma come si è sviluppata l’inchiesta?

"Mi sono affidato ai mezzi tradizionali, ovvero sono andato in Argentina, in Uruguay e in Paraguay alla ricerca di persone pronte a raccontare le loro storie. All’inizio mi sono imbattuto in una sorta di patto del silenzio, ma poi grazie anche e soprattutto a internet sono riuscito a parlare con alcuni salvati da Bergoglio. Con i mezzi del vecchio giornalismo sarei riuscito a chiudere l’inchiesta solo dopo anni di lavoro con poche storie in mano".

Cioè ha trovato in Rete le confessioni di chi raccontava di essere stato salvato grazie a Bergoglio?

"Non ho detto questo. Le cito l’esempio di Josè Manuel de la Sota. Il governatore di Cordoba dopo l’elezione del Papa ha postato un messaggio su Twitter (oggi X) nel quale lasciava intendere di essere stato il primo dei salvati di Bergoglio. Non si trattava di opportunismo politico perché allora quest’uomo era molto vicino a Kirchner e quindi lontano dalle posizioni del nuovo Pontefice. Partendo da questo post solitario sono riuscito a ricostruire la storia di un giovane studente inviso al regime, rapito e arrestato dai militari e poi salvato da un gesuita. Quel ragazzo sarebbe poi diventato il governatore di Cordoba".

 

di Andrea Curreli   
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