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[Il commento] "Vi ammazzo tutti": molotov con chiodi contro i compagni di scuola. La violenza che esplode dal silenzio

Benvenuti ad Aprilia, provincia della Columbine High School. Non si usano fucili a pompa qui, ma bottiglie esplosive. I botti, le fiamme e il silenzio. Dentro cui ci sono molte cose da capire, e diverse colpe da spartire

Cristiano Sanna Martinidi Cristiano Sanna   
A sinistra il corridoio della scuola di Aprilia con i segni dell'esplosione di una molotov. A destra: il corridoio della Columbine School con i segni della sparatoria
A sinistra il corridoio della scuola di Aprilia con i segni dell'esplosione di una molotov. A destra: il corridoio della Columbine School con i segni della sparatoria

Benvenuti ad Aprilia, provincia della Columbine High School. Niente fucili a pompa, soprabiti neri ed esecuzioni fredde e spietate di compagni di scuola che attraversano il mirino dell'arma. Prima che i killer si sparino alla testa. Stavolta la strage viene pianificata con i "botti grossi", bottiglie molotov infiammabili, caricate di chiodi. Modalità terrorismo/guerriglia on. Farne fuori più possibile con una sola esplosione. "Mi prendete in giro, vi ammazzo tutti" urla il quindicenne della provincia di Latina mentre lancia le bottiglie contro gli altri ragazzini che frequentano il liceo Carlo e Nello Rosselli di Aprilia. Sono otto, le bottiglie, piovono sulle teste e fra gli zaini in fuga una dopo l'altra. Arrivano dall'alto, perché il ragazzino che ha progettato la strage era già dentro la scuola prima del suono della campana, e con calma e metodo è entrato nei bagni, ha indossato la mimetica, controllato lo zaino ed è salito in cima alle scale dove ha aspettato gli altri ragazzi per colpirli.

Gli errori determinanti

Inutili i tentativi di fermarlo: urla, si agita e lancia le molotov da sopra le scale verso chi sta salendo. Non riescono ad impedirglielo gli assistenti e i tecnici che provano a fermarlo. Altre bottiglie piovono nel corridoio sottostante, mentre gli il resto degli studenti cerca scampo in ogni direzione. Ma questa è Aprilia, non Columbine. Col fucile in mano già con il colpo in canna è difficile sbagliare. Le molotov vanno riempite del liquido infiammabile giusto. Il quindicenne ha usato cherosene da stufa, non benzina, perciò le bottiglie esplodono e fanno fiammate, ma la deflagrazione è contenuta e i chiodi non partono come proiettili impazziti. I botti che si sentono nei corridoi sono quelli dei petardi di cui l'aspirante killer ha riempito il suo zaino andato a fuoco. Poi arrivano i Carabinieri, ecco la resa, l'ingresso in caserma in stato catatonico. Le parole che provano a spiegare. L'accusa è di tentata strage, perché il ragazzo ha colpito a casaccio, nel mucchio. E' stata la sua vendetta contro chi lo prendeva in giro, lo bullizzava, dice, aveva appena saltato un'interrogazione concordata. Non si sentiva a suo agio, ma dopo questa sua "sparizione" erano arrivati altri insulti. I compagni dicono e non dicono, qualcuno parla di prese in giro, non di violenze o di atti sistematici contro il ragazzino fermato. Nel tempo libero il giovane si addestrava al softair, la guerra simulata, come riportano i giornali? A pochi giorni dal santo Natale, fra buste della spesa che si riempiono di panettoni e pacchi regalo, questa cittadina laziale che riporta alla memoria i massacri scolastici armi in mano tanto "di moda" negli Usa piomba in un silenzio sbigottito. Che interroga tutti.

Emulazione e deresponsabilizzazione: un cocktail pericoloso

Interrogata dalla stampa locale, la preside del Nello e Carlo Rosselli, Adriana Bombonati, gronda incredulità: "Con i nostri 1500 studenti abbiamo fatto molto sul bullismo. Conferenze con operatori di polizia e psicologi, anche nella classe del ragazzo. Formiamo sostegno psicologico a chi ce lo chiede". E di fronte alla strage mancata per un nulla, dice: "Noi insegnanti dobbiamo trovare il modo per intercettare quei disagi che non si manifestano". Nel vuoto di comunicazione, nel senso di isolamento e di frustrazione, specie in stagioni della vita ad alto rischio com' è l'adolescenza, sale la voglia di emulazione. Se nessuno mi vede, allora mi farò vedere da tutti quelli che mi sottovalutano con qualcosa di estremo, di spettacolare. Mi tocca ammazzarli tutti? Poco importa. Molto deve essere capito di questa vicenda. Molti dettagli devono ancora emergere, ma già da subito riappare la frattura fra Scuola e ragazzi, fra Scuola e famiglie.

In quei vuoti cresce la violenza

Ci sono bravi genitori, e docenti che fanno tutto il possibile per agire anche come educatori degli studenti. Ma ci sono molte situazioni in cui il circolo delle informazioni si interrompe. Fra genitori iper protettivi che si scagliano contro i docenti che provano a porre dei limiti alle intemperanze e alle pretese arroganti dei ragazzini, e ragazzini che covano nel silenzio una voglia di rivalsa, di vendetta, che deve essere spettacolare. Immaginata mentre viene replicata sui social, fra pillole video e commenti scandalizzati che ti danno l'illusione di essere l'eroe, anche quando antieroe, del giorno. Che cos'è questa se non una richiesta di aiuto? Un grido, sbagliato, contaminato da violenza e stupidità, al bisogno di considerazione e di amore? E' con il love bombing che le organizzazioni terroristiche reclutano giovanissimi adepti disadattati pronti a farsi esplodere e a sparare su un lungomare affollato di turisti o in mezzo a un mercatino di Natale. Approfittando del loro lato "deviante" mai arginato, quello che ti porta dentro i primi atti criminali. Com'è una tentata strage. Appena avvenuta ad Aprilia. Nel vuoto di comunicazione, di appartenenza, cresce la violenza. Nelle disfunzioni di educazione cresce l'irresponsabilità. Come quella che porta giovanissimi teppisti a spruzzare spray urticante ai concerti in mezzo alla folla (la strage della discoteca di Corinaldo è un livido che pulsa ancora, freschissimo, sulla faccia dell'Italia). Non c'è adrenalina da social network, da #hashtag, da viralità che possa colmare questo silenzio, queste assenze, questi cattivi funzionamenti delle parti che devono lavorare assieme all'educazione dei giovanissimi, gli adulti di domani. Non c'è risarcimento che passi per gli amici virtuali e le botte perverse di popolarità. Quei silenzi vanno prima di tutto riempiti di ascolto, attenzione, parole che provano a dialogare prima di giudicare e correggere. Prima del prossimo grido violento. 

Cristiano Sanna Martinidi Cristiano Sanna   
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