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Addio a Mesina, morto a poche ore dalla scarcerazione. La legale: "Si sono accaniti contro di lui"

Il simbolo del banditismo sardo e uno dei criminali più pericolosi e ricercati di sempre in Italia, malato terminale, aveva lottato per uscire dalla detenzione

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La taglia storica sul giovane Mesina (Wikimedia/CC) e a destra, una sua foto recente (Ansa)
La taglia storica sul giovane Mesina (Wikimedia/CC) e a destra, una sua foto recente (Ansa)

La ex primula rossa del banditismo sardo, a lungo nella lista dei latitanti di massima pericolosità in Italia e considerato il più famoso esponente della criminalità sarda dal secondo dopoguerra, si spegne, così, a 83 anni. Poche ore dopo aver ottenuto la scarcerazione per motivi di salute. Graziano Mesina è morto nel reparto Pp San Paolo a Milano dove era stato trasferito dal carcere di Opera in cui era detenuto da due anni. Venerdì era stata accolta l'istanza di differimento per motivi di salute (era paziente oncologico grave) presentata al tribunale di sorveglianza di Milano dalle avvocate, Beatrice Goddi e Maria Luisa Vernier. E proprio la legale Goddi ha commentato con amarezza questo lutto: "Fino all'ultimo Graziano Mesina è rimasto in carcere. Su di lui c'è stato una sorta di accanimento. Siamo molto dispiaciute e anche contrariate perché si poteva scarceralo prima, almeno un mese fa, oggi ci stavamo preparando per andare a trovarlo con alcuni familiari e organizzare il suo trasferimento in Sardegna, invece c'è stato questo epilogo".

Quarantadue anni di carcere e l'ultima caduta

Il "re del Supramonte", l'impersonificazione sinistra del mito della balentia (l'uomo di valore) espresso con le imprese criminali, non si è mai pentito delle sue gesta e delle condanne plurime. Nemmeno dopo aver ricevuto la grazia dal presidente della Repubblica nel 2004, persa nel 2013 con nuovo arresto e incarcerazione con l'accusa più infamante, anche per l'antico codice d'onore barbaricino: spaccio di droga. Una vicenda controversa per l'uomo che aveva provato a presentarsi come rinato a nuova vita di guida turistica nei suoi territori d'origine. E una "macchia" che gli resta addosso. 

Una vita criminale

Sguardo vivo e attento, quello che gli hanno sempre riconosciuto, come quello di una fiera che sa cacciare ma che deve sempre guardarsi da tutti. Graziano Mesina ha cominciato a mostrare la sua insofferenza per le regole, le autorità e chi minacciasse o diffamasse la sua famiglia fin da giovanissimo. Ragazzino turbolento fu condannato a 6 mesi essere scappato dalla caserma in cui faceva il militare, poi a 16 anni per il tentato omicidio di accusava i suoi fratelli (11 figli) di aver ucciso l'ostaggio di un rapimento. Evase da treno che lo trasportava verso Sassari. Poi si finse malato a Nuoro e si calò con un lenzuolo dell'ospedale in cui stava. Solo per sparare poco tempo dopo contro un uomo accusato di aver ucciso suo fratello Giovanni. A 20 anni e con un omicidio nel casellario giudiziale, Grazianeddu prende un'altra condanna, a 24 anni di carcere. Non è finita qui.

Un mito della criminalità

Si parla di ventudue tentativi di evasione dalle carceri in cui è stato rinchiuso, fra realtà, mito e leggenda è stato accertato che Graziano Mesina è scappato con successo in almeno otto occasioni. Negli anni Sessanta era già una celebrità, faceva paura e riscuoteva una inquietante ammirazione, lui che fece un salto di sette metri dal penitenziario di Sassari assieme ad un altro detenuto, uno spagnolo, e poi si unì all'Aninima Sarda, una delle bande che più hanno terrorizzato il Paese.

Il ruolino di marcia banditesco recita: sei rapimenti e due poliziotti uccisi in uno scontro a fuoco. Nuovo arresto nel 1968 dopo aver rifiutato l'offerta dell'editore Feltrinelli di diventare un rivoluzionario armato di sinistra, e otto anni dopo l'evasione dal carcere di Trani e l'amicizia con Francis Turatello, uno dei boss criminali più famosi, un altro che ha fatto una brutta fine, scannato in carcere. Rimesso in carcere a Trento, Graziano Mesina si guadagnò la libertà con la buona condotta e la mediazione per la liberazione di Farouk Kassam, il bambino rapito dalla sua villa di Porto Cervo dal nuovo re del banditismo sardo, Matteo Boe che gli fece tagliare un pezzo di orecchio. Poi la grazia, a lungo chiesta, a lungo attesa, arrivata nel 2004. Persa nel 2013 con l'accusa più infamante: aver usato la sua attività di accoglienza turistica e commerciante agricolo come copertura dell'attività di spaccio di droga. Nuovo ritorno in carcere, col tumore che se lo divorava e lui che chiedeva da tempo di uscire dal carcere perché stremato e non in grado nemmeno più di muoversi da solo. Qualche ora di libertà dalla cella, poi la morte. 

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