30 anni di bugie e vuoti tra Vaticano e rapitori, vi spiego l’enigma del caso Orlandi
Le emozioni che la storia suscita non bastano per scoprire la verità sulla ragazza scomparsa nel 1983

“Ehi, Remo, vedi che sul caso di Emanuela Orlandi c’è un’altra novità. Addirittura un film di Roberto Faenza che uscirà prossimamente nelle sale con il titolo La verità sta in cielo”. “Ah, dice proprio così? Il film non l’ho visto e non so se andrò a vederlo, ma penso che, oltre alle emozioni, non aggiungerà nulla alla comprensione del caso che è rimasto sin dall’inizio un guazzabuglio, intorno al quale, negli anni, si sono affastellate leggende, opinioni, ipotesi, ma nessuna verità decisiva”.
Remo, è un mio caro amico giornalista, un numero uno della cronaca nera, oramai da qualche anno in pensione, con il quale ho potuto seguire il caso di Emanuela scomparsa senza lasciare alcuna traccia attendibile dal 22 giugno 1983. Entrambi seguivamo per le nostre due agenzie - Ansa lui e Asca il sottoscritto - l’informazione vaticana con accredito permanente presso la Sala Stampa della Santa Sede.
Verso la fine di giugno l’informazione in genere, e quella vaticana in particolare, in quegli anni andava assottigliandosi per l’estate e le vicine vacanze. La notizia della scomparsa della ragazza lanciata da manifesti che tappezzavano Via Conciliazione e altri posti strategici del centro romano, era uno stimolo a interessarsi della faccenda per vedere come stavano le cose. Ci dedicammo perciò a indagare in Vaticano e fuori, con scarsi risultati. Riuscimmo a ricostruire in modo presunto le ore della scomparsa di Emanuela, quasi sedicenne, che era stata vista salire su una macchina rossa, forse, alla fermata dell’autobus davanti al Senato in corso Rinascimento, poco distante dall’Apollinare, istituzione dove seguiva un corso di flauto. Il tizio, ben vestito secondo qualcuno, aveva accompagnato la ragazza a casa. Emanuela sarebbe salita in casa velocemente e ne sarebbe ridiscesa subito dopo per risalire in auto che era in attesa davanti a Porta Sant’Anna, uno degli ingressi importanti in Vaticano, dove abitava la famiglia del padre che svolgeva l’ufficio di usciere d’anticamera. I genitori della ragazza erano a Ostia quel giorno.
I manifesti della ragazza scomparsa restarono per parecchio tempo le uniche prove del caso, anche perché le cronache dei giornali e la stessa polizia che si occupava della scomparsa annaspavano a ricostruire un canovaccio credibile. La convinzione più diffusa all’inizio, con beneficio d’inventario, pareva essere che Emanuela fosse incappata con qualche figuro poco di buono che era riuscito a carpire la sua buona fede di ragazza educata e ingenua e che fosse finita in qualche giro di malavita. In assenza di certezze e di fonti credibili, il nostro interesse per il caso scemò, convinti che sarebbe rimasto insoluto. Come di fatto è stato. Un piccolo caso, uno dei tanti casi insoluti della giustizia, che costellano le cronache giudiziarie e che solo alcune circostanze e coincidenze impreviste hanno reso un caso grande e intrigante. Ma sempre non risolto fino al 6 maggio scorso quando è stato definitivamente archiviato proprio per mancanza di dati certi e comprovati. Anche il fratello Paolo che tanto si è adoperato negli anni per scoprire la verità non ha prodotto prove, ma solo ipotesi o indizi.
Il rimo colpo di scena sulla vicenda della scomparsa di Emanuela, fino all’ora una delle tante, avvenne il 3 luglio, due settimane dopo la scomparsa della ragazza. Altre volte – si commentava anche tra noi giornalisti della Sala stampa vaticana – il Papa aveva lanciato appelli per persone scomparse o rapite. Anche questa volta avrebbe potuto intervenire invocando la resipiscenza di chi fosse al corrente o autore della scomparsa della ragazzina. E così fu. L’appello avvenne in mancanza di qualsiasi dato certo in mano agli inquirenti. Se da un lato fu bello che il Papa facesse l’appello per solidarietà alla famiglia dolorosamente provata di uno dei suoi dipendenti, dall’altro le sue parole impressero nuovo vigore all’inchiesta che tuttavia continuò a navigare nel buio. Salvo accostare in maniera gratuita o strumentale il presunto rapimento prima alla storia dell’attentato al Papa che due anni prima era stato compiuto dal turco estremista Alì Agca e poi alle oscure vicende dello Ior e del Banco Ambrosiano che tanto disdoro portarono alla Santa Sede. Come anche negli anni seguenti l’intreccio presunto con la banda della Magliana certo non ha giovato per nulla al buon nome del Vaticano.
Ma quelle vicende pur dolorose e disonorevoli si sono svolte in maniera autonoma rispetto alla scomparsa di Emanuela con la quale è gratuito fare un accostamento di causa ed effetto. Con il mio collega Remo, ancora oggi come allora, continuiamo a pensare che al caso Orlando si sia data un’attenzione sproporzionata rispetto agli elementi accertati. Restiamo convinti, inoltre, che se la collaborazione tra Vaticano e inquirenti italiani fosse stata facilitata e totale si sarebbero fugate molte ombre che continuano a vagare sul comportamento di alcune persone della Santa Sede, accrescendo l’aspetto misterioso del caso. Ho ricevuto qualche anno addietro una copia del libro di Pino Nicotri, un collega che ha prodotto un encomiabile lavoro sul caso di Emanuela Orlandi (Emanuela Orlandi – La verità).
«I motivi della scomparsa della ragazza – dichiarò al giornalista l’avvocato della famiglia di Emanuela, Gennaro Egidio ora defunto - sono molto più banali di quello che si è fatto credere. Contrariamente alle dichiarazioni dei familiari, Emanuela di libertà ne aveva molta, per esempio le comitive con gli amici. Il rapimento, il sequestro per essere scambiata con Agca? Ma no, la verità è molto più semplice, anzi, ripeto, è banale. Non per questo meno amara. Mirella Gregori, l’altra ragazza che pure si è fatto credere fosse stata rapita da amici e complici di Agca? Non c’entra niente, Mirella s’è infilata in un brutto giro, forse di prostituzione, lei voleva solo aiutare la madre a comprare un appartamento».
Il legale esclude perciò il rapimento per motivo di riscatto. Anche l’accostamento alla banda della Magliana è stato conosciuto dopo che il vari protagonisti sono morti e perciò nell’impossibilità di confermare o smentire. Dopo 25 anni di assurda “pista turco sovietica”, - osserva il volume di Nicotri - nell’estate del 2008 è esplosa la altrettanto assurda “pista della banda della Magliana”. A lanciare il nuovo scenario è una ex escort d’alto bordo, Sabrina Minardi, devastata da anni di droghe e fin troppo confusa nei “ricordi”. Uno scenario che, come è noto, nonostante tutto tiene banco ancora oggi.
Con l’amico Remo concordo con il resoconto del libro delgiornalista Pino Nicotri “condotto in modo serrato e implacabile “ sui fatti, “passando al setaccio tutti gli elementi della vicenda e il torbido contesto in cui si è svolta, comprese le manovre dei servizi segreti della Germania comunista. Il vuoto assoluto di verità nel gioco di specchi tra Vaticano e “rapitori” lascia spazio alle messinscene più varie, man mano legittimate e ampliate in televisione” e ora dal film di Faenza.
Ma sono trascorsi dagli avvenimenti più di 30 anni. Un tempo sufficiente per lasciare spazio a menti più fresche e lucide delle nostre. A ridosso della scomparsa non riuscimmo a ricostruirla, noi come la polizia, e perseveriamo nel dubbio che altri, magari più capaci di noi, possano riuscirci oggi senza elementi nuovi, certi e determinanti che al momento nessuno può offrire.