[Il retroscena] Lo schiaffo di Mattarella a Salvini: niente incarico senza maggioranza chiara. Scatta la caccia a 50 parlamentari
Il centrodestra chiede un incarico da premier per il segretario della Lega, ma il Capo dello Stato è disposto a darlo soltanto in presenza di “novità signficative” e “una maggioranza chiara”, che attualmente non c’è. Forzisti alla forsennata ricerca di cinquanta “responsabili”, ma fermi a quota 5. Lunedì un giro di consultazioni-lampo, poi il Presidente proporrà un suo nome al Parlamento per approvare una manovra che eviti aumento dell’Iva, cambi la legge elettorale e riporti l’Italia al voto all’inizio del 2019. “Berlusconi e Renzi non si sentono da anni”, garantisce Licia Ronzulli. Tra i possibili candidati premier leghisti spunta il nome di Giulia Bongiorno, ma l’astensione dei renziani da sola non può bastare: ecco i numeri
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La ricreazione è finita. Così come le chiacchiere, le tattiche dilatorie per rinviare la soluzioni dopo l’esito delle Regionali in Molise e Friuli. Il Presidente della Repubblica ha preso la campanella e lunedì sera o al massimo martedì mattina prenderà in mano la situazione-governo, proporrà una “soluzione che gli italiani capiranno”. Sergio Mattarella terrà il terzo - “e ultimo”, come suggeriscono di sottolineare dal Colle - giro di consultazioni nella sola giornata di lunedì. Preoccupato e addirittura “piuttosto irritato” per i due mesi esatti - 4 marzo, 7 maggio - e, soprattutto, perché, come ha scritto in una nota, “le posizioni di partenza sono rimaste immutate”, chiederà un sussulto di responsabilità e, in assenza di risposte, è pronto a mettere in campo una sua iniziativa, il famoso “governo del presidente”. Concedendo gli ultimi tre giorni per pensare ai partiti, sul Colle hanno deciso di giocare d’anticipo ed escludono di poter riprendere in considerazioni le ipotesi già “sperimentate” coi due incarichi esplorativi di Elisabetta Casellati e Roberto Fico al termine dei quali “non è emersa alcuna prospettiva di maggioranza di governo”: hanno dimostrato il “fallimento del rapporto Lega - M5s” ed è “tramontata anche la possibilità di un’intesa tra il Movimento 5 stelle e il Partito democratico”. Restano dunque poche possibilità: un esecutivo con centrodestra e Pd o un governo “terzo” con tutti dentro, che qualcuno chiama “di tregua”.
Mattarella dice no a Salvini
L’altolà principale venuto dal Colle è però rivolto a Matteo Salvini. Il leader della Lega da giorni reclama - pubblicamente - un incarico da premier, ma l’inquilino del Quirinale ha già detto no. Il Presidente ha chiarito che è pronto a dare un incarico soltanto nel caso gli vengano sottoposte “prospettive di maggioranza di governo” non sperimentate sinora. Salvini ad oggi, rispetto a due settimane fa, ha dalla sua in più cinque deputati eletti coi Cinquestelle e transitati nel Maie, ma è poca roba. Potrebbe riuscire ad ottenere l’incarico che va chiedendo soltanto se si presentasse con un accordo già raggiunto col Pd, cosa esplicitamente esclusa ieri dal segretario reggente Maurizio Martina. Salvini ci crede lo stesso. “E’ pronto al pre-incarico”, spiegano i fedelissimi. E’ il leader della Lega stesso ad elencare i punti programmatici di un governo sui quali pensa di poter convincere tutti i Cinquestelle, una parte dei gruppi o, eventualmente, “reponsabili” vari: “Controllo dei migranti, flat tax, sostegno al reddito e abolizione della Fornero”. Una sola la certezza: “Non governerò col Pd”.
Andare al voto non cambierà le cose
La linea di tutto il centrodestra resta questa. “Al Capo dello Stato diremo che serve un governo di centrodestra, con alcuni punti programmatici tra cui la messa in sicurezza dei conti pubblici e un minimo di correzione della legge elettorale”, anticipa Licia Ronzulli, senatrice tra le più strette collaboratrici di Silvio Berlusconi. Anche lei come il Cavaliere è convinta che “andare al voto non cambierebbe le cose”. Chi può essere il premier di centrodestra, se non il leader della Lega? “Abbiamo sempre detto che chi ha un voto in più esprime il candidato premier: spetta alla Lega scegliere. Noi indichiamo Salvini, poi deciderà Salvini”, aggiunge. Tocca a lei dare un’altra rassicurazione: “Dalla rottura del Patto del Nazareno Berlusconi e Renzi non si sono più sentiti”.
Il segretario padano riunirà oggi il consiglio federale ma non prende in considerazione - per ora - l’ipotesi di passare la mano al suo vice, Giancarlo Giorgetti, perché provi lui a cercarsi una maggioranza diversa, allargata, per entrare a Palazzo Chigi. Qualcuno suggerisce che una carta coperta dei leghisti per conquistarsi qualche voto tra i Cinquestelle sia il nome di Giulia Bongiorno, avvocata e neo senatrice leghista.
L'attesa destinata a durare fino a lunedì
La rivendicazione di un premier di centrodestra in quanto “coalizione arrivata prima” arriva anche da Fratelli D’Italia, dove Giorgia Meloni vorrebbe addirittura un “mandato pieno”. Sarebbe questo governo, anche nel caso non dovesse mai avere la fiducia delle Camere, a traghettare il Paese verso le elezioni anticipate. Le pressioni dei tre partiti del centrodestra, però, non sembrano avere dato alcun frutto. O emergeranno “prospettive” già durante i colloqui di lunedì oppure il Capo dello Stato eserciterà con la solitudine che gli consente la Costituzione il suo ruolo di “guida e supplenza”. Da martedì mattina in poi, insomma, i partiti potranno solo prendere o lasciare.
Mattarella vuole evitare nuove elezioni
Mattarella chiederà a tutti i partiti di assumersi la responsabilità - collettiva - di scrivere una manovra economica che consenta quantomeno di evitare l’aumento dell’Iva dal 1 gennaio, cosa che avrebbe ovvie ricadute depressive sull’economia del Paese e colpirebbe soprattutto i consumatori già in difficoltà. Subito dopo l’esecutivo sarà chiamato a modificare la legge elettorale, cioè il Rosatellum, probabilmente nel modo che suggerisce la Lega, cioè introducendo un premio di maggioranza per chi vince. “Noi non abbiamo paura di tornare a votare”, dice Luigi Di Maio. Le sue chance di vittoria con questo tipo di modifica, però, appaiono molto basse. Ma il Quirinale non sembra intenzionato a ragionare di elezioni anticipate prima del 2019, quando si dovrà votare per le Europee. Dalla sua il Capo dello Stato ha la convinzione che chi si chiamerà fuori di fronte ad un suo appello alla responsabilità finirà punito dagli elettori. Già il 10 giugno ci sarà una tornata di Amministrative importante che coinvolgerà gli elettori di 793 Comuni italiani; un turno che il centrodestra, come anticipa la responsabile comunicazione degli azzurri Deborah Bergamini, affronterà “unito”.
Dalla Commissione Ue sono arrivati già i primi segnali di insofferenza rispetto allo stallo nell’avvio di un governo e ieri anche il Vaticano ha lanciato una specie di appello. “Speriamo e ci auguriamo che presto si trovi una soluzione. Avevo già detto che assicuravamo preghiere al Presidente Mattarella, mi pare che le dobbiamo raddoppiare”, ha detto il sostituto alla Segreteria di Stato della Santa Sede, monsignor Angelo Becciu.
Centrodestra può giocare delle carte vincenti
Queste pressioni potrebbero aiutare il centrodestra e raccattare i cinquanta voti “responsabili” che gli servirebbero per avere la maggioranza. Li cita esplicitamente la capogruppo degli azzurri al Senato, Annamaria Bernini: “A due mesi dal voto la priorità per Forza Italia è dare subito un governo al Paese, uscendo dalle chiacchiere inconcludenti e dannose di chi parla troppo e fa troppo poco. Serve un governo di centrodestra, votato dagli italiani e sostenuto in Parlamento da voti responsabili, per rispondere presto e bene ai bisogni e alle esigenze del Paese”. Secondo gli azzurri non è necessario che renziani o cinquestelle ribelli votino un governo a guida leghista, ma potrebbe essere sufficiente l’astensione. La strada, però, è tutta in salita. Se anche gli ottanta dem renziani dovessero astenersi a Montecitorio, la maggioranza di centrodestra sarebbe fragilissima: 276 sì (125 della Lega, 105 di Fi, 32 di Fdi, 4 centristi, 6 dei Maie, 3 di Noi con l’Italia, 1 eletto all’estero) contro 274 no (222 M5s, 31 dem non renziani, 14 Leu, 4 minoranze linguistiche, 3 Misto). Al Senato, secondo quanto ricostruito in casa forzista, le cose andrebbero soltanto poco meglio: 137 sì (61 di Fi, 58 Lega, 18 di Fdi) contro 128 no (109 M5s, 6 Misto, 13 minoranza dem) in caso di astensione dei 39 senatori renziani, degli 8 eletti delle Autonomie, di due senatori a vita, di tre eletti all’estero e di due ex Cinquestelle espulsi. Il problema è che i renziani dovrebbero uscire allo scoperto prima, ma non sembrano avere alcuna intenzione di farlo. “Non sarà facile mettere insieme un’ammucchiata contro il Movimento 5 stelle”, prevede il candidato premier pentastellato. Più facile che Mattarella provi a convincere tutti, uno ad uno, con un governo tecnico-politico messo in piedi col bilancino, che tenga conto dei rapporti di forza usciti dalle urne.