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Lo Stato offrì alla famiglia dei due minorenni marocchini accusati degli stupri di Rimini 20mila euro per il rimpatrio, ma rifiutarono

L’amministrazione comunale di Vallefoglia assegnò loro una casa popolare e pagava tutte le bollette. Molti residenti donavano loro cibo e vestiario. Ma quei giovani, e la loro stessa madre, erano incontrollabili: hanno picchiato la vicina di casa

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La famiglia dei due minorenni marocchini arrestati per il duplice stupro di gruppo avvenuto a Rimini è un esempio di non integrazione e mette in evidenza i problemi derivanti dal farraginoso meccanismo delle espulsioni, con l'intero nucleo familiare salvato in extremis dal rimpatrio, ben 3 anni fa, e ricongiuntosi con il padre prima espulso e poi riammesso in Italia. Un incubo, quello vissuto dalla coppia di giovani polacchi, come anche dalla transessuale peruviana, che poteva essere evitato. A dirlo, attraverso le pagine de Il Resto del Carlino, è Palmiro Ucchielli, il sindaco di Vallefoglia, piccolo comune dove la famiglia è residente, totalmente a carico dell’amministrazione, in un alloggio popolare. “Era il 2014 - spiega il primo cittadino -. Avevamo trovato i soldi, più o meno 5 mila euro a persona o forse di più, per farli rientrare in Marocco dove si trovava il padre già espulso. Tutto era pronto, anzi madre e i quattro figli erano andati in caserma per partire. Poi non so cosa sia successo ma attraverso il tribunale dei minorenni ci siamo ritrovati il padre di nuovo a Vallefoglia mentre noi ci aspettavamo che la famiglia se ne andasse per sempre. Non era d’accordo col rimpatrio nemmeno il console, ma alla fine c’era stato il nulla osta. Poi è saltato tutto e la famiglia è rimasta qui”.

Iter per le famiglie con minori è più complicato

Il problema è sorto in quanto per il rimpatrio nella nazione d’origine di figli minorenni nati in Italia occorre il consenso di entrambe i genitori. La madre aveva dato il suo benestare, accettando circa 25 mila euro messi a disposizione dall’amministrazione di Vallefoglia, ma il padre, “ospite” presso una struttura carceraria del Marocco, ha detto no, facendo saltare l’accordo. L’uomo, 51 anni, non ha dato il suo consenso perché, come si legge sulle pagine de Il Resto del Carlino, “così sarebbe potuto tornare in Italia, benché espulso da anni”. Il suo rientro è avvenuto illegalmente, ma gli è bastato patteggiare per una pena ad 1 anno e 4 mesi che sconta attualmente ai domiciliari.

Madre e figli accusati di aver picchiato la vicina di casa

La famiglia in cui sono cresciuti i due stupratori ha creato negli anni parecchi problemi alla comunità che la ospita e mantiene. La madre a breve dovrà andare a processo a seguito di cinque querele presentate da una vicina di casa, perseguitata dalla donna e dai suoi figli, che l’hanno insultata più volte e persino picchiata. La vicina, dopo esser stata aggredita e malmenata, ha chiesto e ottenuto dal questore che la madre dei due minori venisse ammonita per stalking. Una famiglia con mille problemi insomma, che nonostante la buona volontà dell’amministrazione comunale e di tutta la comunità, non accetta di integrarsi e rispettare le regole comportamentali come neppure le leggi italiane. I carabinieri di Vallefoglia hanno più volte fatto la colletta per comprare da mangiare a quella famiglia, pensando bonariamente si potesse così aiutarli ad integrarsi. Nulla è servito.

Si comportavano da bulli anche a scuola

I due fratelli marocchini si sono fatti apprezzare dai compaesani fin da piccoli. “Facevano i bulli - scrive Roberto Damiani - e ogni tentativo di dargli una regolata finiva male”. Una ex insegnante dei due minorenni tenta in qualche modo di spiegare il perché non sono mai riusciti ad integrarsi con i propri coetanei. “Erano abbandonati a loro stessi. Non avevano da mangiare, letteralmente. Facevamo degli acquisti a turno per comprargli panini e cibo. Avevano delle potenzialità positive ma la loro condizione familiare azzerava tutto. Sapevano di non dover rendere conto a nessuno, perché il padre a quel tempo era in Marocco, forse in carcere, e qui stavano con la madre, che non lavorava, e altri due fratellini. Il Comune pagava bollette, spesa, affitto, la Caritas offriva il pacco ma quei figli non studiavano e non volevano ascoltare. Perché non erano stati educati a farlo. Oggi purtroppo abbiamo avuto la prova di cosa ha prodotto quell’abbandono”.

Cosa rischiano

Ognuno dei quattro giovani stranieri accusati degli stupri di Rimini rischiano condanne fino a 20 anni di reclusione. E con la richiesta della misura più restrittiva: il carcere. La Polonia, intanto, patria di due delle tre vittime, ha fatto sapere che intende chiedere l'estradizione per gli indagati: il maggiorenne congolese Guerlin Butungu, considerato il leader e rintracciato su un treno a Rimini all'alba di domenica, i due fratelli marocchini di 15 e 17 anni e il nigeriano 16enne fermato dalla Polizia. I quattro dovranno rispondere di rapina, lesioni aggravate e violenza sessuale di gruppo. Secondo Patryk Yaki, viceministro della Giustizia polacco i quattro accusati dovrebbero affrontare una punizione molto severa. Le autorità del paese hanno anche aperto un'inchiesta autonoma per far luce sui fatti. Ottenere l’estradizione potrebbe però non esser cosa facile, perché i fatti sono avvenuti in Italia ed è l'autorità giudiziaria italiana ad indagare, tra Rimini e Bologna. Intanto la coop sociale Labirinto di Pesaro, che gestisce il servizio di accoglienza di cui ha usufruito Butungu, chiede di moderare i toni a chi l'ha attaccata sui social, un'altra cooperativa, la Lai-Momo di Bologna, ha licenziato il mediatore culturale che aveva scritto su Facebook un commento nel quale sosteneva che “lo stupro è peggio solo all'inizio”.

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