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Il dolore del generale per il suicidio del 16enne: "Troppi avvoltoi, non è un calcio di rigore. Ma quella perquisizione anti-droga non la farei più"

Intervista esclusiva al comandante della Guardia di Finanza che ha disposto l’intervento a casa dell’adolescente suicidatosi perchè trovato in possesso di pochi grammi di hashish. “Abbiamo fatto tutto il possibile, ma...”

di Giuseppe Caporale   
Il dolore del generale per il suicidio del 16enne: 'Troppi avvoltoi, non è un calcio di rigore. Ma...
Il generale della Guardia di Finanza Renzo Nisi

“Adesso tutti parlano, commentano, come fossimo davanti ad un calcio di rigore e non ad una tragedia come questa. Vedo troppe parole in libertà e tanta inumanità. Vuol dire non calarsi nemmeno minimamente nel dolore di quella famiglia. Vedo troppi avvoltoi. Che brutta epoca che stiamo vivendo...”. Soffre il generale Renzo Nisi, soffre come un padre. E’ stato lui, in qualità di comandante della Guardia di Finanza di Genova, a gestire la perquisizione antidroga in casa di Giovanni Bianchi, il 16enne che pochi giorni fa durante quel blitz - dopo essere stato scoperto in possesso di pochi grammi di hashish - si è lanciato dalla finestra sotto gli occhi attoniti dei genitori e degli uomini delle fiamme gialle, scaraventando nel dolore un’intera comunità. 

Nisi, il coraggioso ufficiale che scoperchiò l’enorme scandalo delle tangenti sul Mose, da giorni si interroga su quanto è successo in quell’appartamento nel paesino di provincia a Lavagna, su ciò che di meglio in quella situazione si poteva fare. E accetta di rilasciare a tiscali.it un’intervista a cuore aperto. 

“Quella perquisizione oggi non la rifarei. Come chiunque di noi davanti a un esito così grave umanamente... Col senno di poi immaginerei sicuramente un intervento diverso, con un supporto psicologico presente in casa. Penserei anche a una soluzione alternativa, ci sto ragionando da giorni. Certo, eravamo intervenuti su richiesta della famiglia e avevamo messo in campo tutta la nostra esperienza e competenza al meglio.  Però conoscendo l’esito tragico di quel servizio, adesso dico che era meglio non farlo”. 

Alla base c’era un appello dei genitori a cui eravate chiamati a rispondere.

“La madre (Antonella Riccardi, ndr) era venuta in caserma raccontandoci del figlio, che aveva manifestato repentinamente problemi nella vita di tutti i giorni. Lei temeva facesse uso di stupefacenti. Aveva cattive frequentazioni e andava male a scuola, mentre prima era uno dei migliori della classe ed era molto ben inserito nel tessuto sociale tra paese e calcio. Non potevamo dire di no alla loro richiesta di intervento. Abbiamo utilizzato una pattuglia di grande esperienza con padri di famiglia. Nessuno poteva immaginare l’imponderabile. Posso immaginare che una madre che al momento in cui si rivolge a noi ha già tentato altre soluzioni, altre strade che evidentemente non avevano portato alcun tipo di risultato”.

Voi come avete operato?
“Alla prima occasione utile dovevamo capire se usava o meno droghe. All’uscita da scuola, alle 13.30 una pattuglia in borghese, d’accordo con la mamma, lo ha fermato. Lui ha risposto tranquillamente alle nostre domande, trovando anche una scusa molto fantasiosa: l’hashish l’ho trovato nel bagno della stazione”.

Lei è rimasto molto colpito dalla grande partecipazione ai funerali.

“Sì perché è stato evidente quanto quel ragazzo fosse amato e ben inserito nella società. Aveva amici, una bella famiglia”.

Forse siamo davanti a una generazione che appare molto forte ma è di una fragilità disarmante.

“Assolutamente, ma il problema resta la droga. Non dimentichiamolo. Questi ragazzi hanno mille problemi che noi adulti spesso non comprendiamo. Ma la soluzione non è certo la droga. Chi la vende, vende morte in piccole dosi. Anche quelle che chiamiamo droghe leggere, che possono alterare, stordire e portare ad un incidente stradale come troppo spesso capita”.

di Giuseppe Caporale   
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