Prima importante vittoria contro il melanoma maligno, trovato il modo di bloccarne la crescita
La scoperta, fatta da un team di ricerca internazionale, ha il potenziale per l’uso in future terapie combinate

Un team di ricercatori ha trovato un modo di arrestare la crescita del melanoma maligno. Gli scienziati sono riusciti a riattivare un meccanismo protettivo che, grazie all’uso di agenti chimici capaci di bloccare gli enzimi responsabili della cancellazione dei segni epigenetici nel Dna, impedirebbe alle cellule tumorali di dividersi. La scoperta, evidenziano gli stessi autori, guidati dal professor Clemens A. Schmitt - oncologo clinico e ricercatore, nonché vicedirettore della Divisione di Ematologia, Oncologia e Immunologia Tumorale nel Dipartimento Medico di Charité -, ha un grande potenziale per l’uso in future terapie combinate.
I bloccanti della demetilasi bloccano il melanoma
“L’inibizione genetica o farmacologica di questi enzimi - ha spiegato il ricercatore nell’articolo pubblicato sulle pagine della prestigiosa rivista scientifica Cancer Cell - riavvia il meccanismo protettivo”. La cosiddetta senescenza cellulare impedisce alle cellule mutate di trasformarsi in tumori. Questo meccanismo di protezione naturale mette le cellule in una condizione simile all’ibernazione ed è controllato da etichette epigenetiche situate sui blocchi di costruzione della proteina che avvolgono il Dna. Questi tag controllano come viene effettivamente utilizzata l’informazione genetica codificata dal Dna. Le cellule cancerogene, tuttavia, disattivano i tag attraverso un meccanismo che fino al momento della ricerca era sconosciuto.
Cellule tumorali in ibernazione grazie alla senescenza
Il gruppo di ricerca ha condotto il suo studio su quasi 500 campioni di tessuto prelevati da pazienti con cancro della pelle noto come melanoma. In circa un terzo dei campioni, i ricercatori hanno riscontrato un aumento significativo nella produzione degli enzimi demetilasi in grado di arrestare il meccanismo di protezione. Nelle colture di cellule di melanoma, oltre a topi e zebrafish con melanoma maligno, i ricercatori hanno modificato geneticamente l’attività di questi enzimi. Hanno anche usato agenti chimici per bersagliarli e bloccarli, il che ha permesso di far cadere le cellule in uno stato di senescenza, bloccandole ulteriormente.
Risultati non raggiungibili senza l’uso dei modelli animali
L’esperimento ha avuto successo anche nei topi impiantati con tessuto umano con melanoma. Uno degli agenti utilizzati è attualmente esplorato in studi clinici per il trattamento del cancro del polmone e del sangue. Nella loro ricerca sui campioni di melanoma nei topi, i ricercatori hanno osservato che le cellule immunitarie migravano nel tessuto tumorale una volta che il processo di senescenza era stato riattivato dai farmaci. Questi e altri importanti risultati non sarebbero stati possibili senza l’uso di modelli animali.
Le più importanti linee di difesa del corpo contro il cancro
Insieme alla morte cellulare programmata, la senescenza cellulare è una delle più importanti linee di difesa del corpo contro il cancro. Questo meccanismo protettivo silenzia epigeneticamente i geni che regolano la divisione cellulare. Gli enzimi metiltransferasi marcano le proteine istoniche – le “bobine” attorno alle quali è avvolto il DNA. Questi segni disattivano la sezione del DNA che si trova accanto all’istone. Clemens Schmitt e il suo team hanno studiato due diversi enzimi demetilasi che sono in grado di contrastare questo processo. La loro capacità di “cancellare” questi segni istonici rende gli enzimi cruciali per il controllo e la disabilitazione della senescenza.
Potenziale per le terapie combinate
La senescenza cellulare è una via importante per le terapie oncologiche ma le sue funzioni non si limitano a bloccare il cancro. “Pensiamo - riferisce l’oncologo - che l’uso combinato di demetilasi bloccanti e immunoterapia mirata possa essere estremamente efficace”, ancor più nel melanoma, in quanto questo specifico tumore risponde in modo inadeguato alla chemioterapia e viene combattuto meglio con l’aiuto di nuove immunoterapie. Schmitt e i suoi colleghi ora vogliono verificare quanto l’immunoterapia e la terapia che inducono la senescenza possano essere combinate negli studi clinici.