Campi Flegrei, non è il magma ma l'accumulo di acqua e vapore a scatenare i terremoti
Possibile agire, prima che si verifichino le crisi, riducendo la pressione. Lo studio internazionale coordinato dalla Stanford University ha identificato un nuovo modello che potrebbe cambiare radicalmente la gestione del rischio vulcanico

Negli ultimi anni, la zona dei Campi Flegrei, nei pressi di Pozzuoli e del Vesuvio, è stata interessata da sciami sismici sempre più intensi. Mentre le autorità italiane valutano possibili evacuazioni e piani di emergenza, uno studio internazionale coordinato dalla Stanford University ha identificato un nuovo modello che potrebbe cambiare radicalmente la gestione del rischio vulcanico. Secondo i ricercatori, la causa dei terremoti non sarebbe la risalita del magma, ma l’accumulo di acqua e vapore all’interno di un serbatoio geotermico sigillato da una roccia fibrosa. Quando la pressione diventa troppo alta, la roccia si frattura e innesca i terremoti.
Pubblicata su Science Advances, la ricerca ha analizzato eventi sismici recenti (2011–2024) e passati (1982–1984), rivelando una chiara somiglianza tra le due fasi di crisi. Il rialzo e il successivo abbassamento del suolo, un fenomeno noto ai residenti come “il respiro della terra”, coincide con la carica e scarica di fluidi sotterranei, aprendo nuove possibilità di intervento.
Come l'acqua sotterranea scatena le scosse
La caldera “respira” con il ciclo delle piogge
Il cuore dello studio è un’ipotesi sorprendente: non è la pioggia in sé a causare le scosse, ma l’accumulo lento e continuo dell’acqua nel sottosuolo, che aumenta la pressione nel serbatoio geotermico. Questo avviene sotto il centro abitato di Pozzuoli, dove negli anni '80 si verificarono gravi deformazioni del suolo e l’evacuazione di oltre 40.000 persone.
Tiziana Vanorio, geofisica della Stanford Doerr School e originaria di Pozzuoli, ha dichiarato: “Questo progetto è il mio obiettivo anche come cittadina, perché lo studio suggerisce che l’instabilità può essere gestita, non solo monitorata”. Gli scienziati suggeriscono quindi di intervenire sul ciclo dell’acqua, ad esempio drenando i pozzi o gestendo il deflusso in superficie.
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Il “sistema chiuso” dei Campi Flegrei
Il serbatoio geotermico è sigillato da un particolare tipo di caprock fibroso, che si comporta come una guarnizione in grado di deformarsi senza rompersi subito. Tuttavia, quando il sistema chiuso supera una certa soglia di pressione, si verificano fratture improvvise con rilascio di acqua surriscaldata e vapore. È in quel momento che si generano le esplosioni a vapore e i boati tipici della zona.
Per testare questo processo, i ricercatori hanno condotto esperimenti con una “moka geotermica”: una camera idrotermale riempita con salamoia e materiali vulcanici. Una volta riscaldata, i minerali hanno formato fibre che hanno sigillato le fratture in meno di 24 ore, simulando perfettamente il comportamento della roccia reale.

Il nuovo modello sfida la teoria del magma in risalita
Lo studio ha unito analisi sismiche, immagini tomografiche e esperimenti di laboratorio, offrendo un nuovo modo di leggere ciò che accade sotto la superficie. Grazia De Landro, coautrice e ricercatrice alla Federico II di Napoli, ha spiegato: “Guardando le immagini a distanza di decenni, troviamo un pattern ricorrente che punta a una causa comune”. La collaborazione tra fisica delle rocce e sismologia ha permesso di trasformare immagini vaghe in dati concreti e misurabili.
Il dottor Tianyang Guo ha evidenziato che le scosse non iniziano in profondità come ci si aspetterebbe se fosse il magma a risalire, ma partono da appena 1,5 chilometri sotto la superficie e poi si approfondiscono. Ciò contraddice l’ipotesi dominante secondo cui i gas magmatici siano il principale motore dei terremoti.
Verso una prevenzione attiva
Secondo Vanorio, oggi è possibile agire prima che si verifichino le crisi, proprio come si fa nella medicina preventiva. “Abbiamo tutti gli ingredienti per una tempesta perfetta: il fuoco (magma), il carburante (acqua), e il coperchio (caprock). Non possiamo spegnere il fuoco, ma possiamo gestire il carburante”, ha spiegato.
Monitorando le acque sotterranee e gestendo correttamente il deflusso delle piogge, si può ridurre la pressione e prevenire lo sviluppo di eventi sismici. Questa visione rappresenta un cambio di paradigma nella gestione del rischio vulcanico e sismico in aree densamente popolate come Napoli e dintorni.
Fonte:
Science Advances