Soluzione al paradosso di Fermi dalla nuova simulazione di due astronomi
I movimenti stellari facilitano la diffusione delle civiltà extraterrestri in tutto l’Universo, ma noi potremmo comunque esser soli
Qual è la probabilità che la specie umana entri in contatto con una forma di vita intelligente extraterrestre? Dato l’enorme numero di stelle presenti nell’Universo, e di conseguenza dei tanti esopianeti aventi caratteristiche tendenzialmente idonee alla vita, è naturale pensare che una o più civiltà extraterrestri evolute possano essersi sviluppate da qualche parte. Ma se il nostro Universo pullula di civiltà sviluppate, come in tanti sostengono, dove sono tutte quante? Perché l’uomo non è ancora riuscito a trovare le prove, anche indirette, della loro esistenza? Il primo a porsi queste domande, già nel 1950, fu il fisico italiano Enrico Fermi e, da allora tanti altri scienziati hanno proposto soluzioni al paradosso che porta il suo nome. C’è chi ha risposto asserendo che siamo semplicemente “soli”, chi ha detto che gli alieni sono talmente evoluti da averci già individuato da tempo, ma che per qualche ragione preferiscono tenersi lontani da noi, e chi invece sostiene che certamente delle civiltà extraterrestri altamente evolute esistono ma non ne abbiamo notizia perché troppo lontane da noi. L’astronomo Carl Sagan, uno dei fondatori del Search for Extra-Terrestrial Intelligence (SETI), nel 1981 scrisse un articolo con William Newman, in questo lavoro i due asserirono che l’incontro con altre forme di vita aliena è soltanto una questione di tempo… e di pazienza. Nessuno, di fatto, ci ha ancora contattato (visitato) perché le rispettive civiltà si trovano troppo distanti l’una dall’altra e, perché una specie abbastanza intelligente si evolva tanto da sviluppare una tecnologia che gli permetta di effettuare dei viaggi interstellari serve del tempo.
La nuova teoria
Ora, il dottor Jonathan Carroll-Nellenback, astronomo dell’Università di Rochester, in qualche modo vuole smontare la teoria di Sagan, e lo fa con uno studio - in corso di revisione per la pubblicazione su The Astrophysical Journal - in pre-print su arXiv.org. Lo scienziato suggerisce che una civiltà spaziale altamente evoluta per contattarci (e venirci a trovare) non avrebbe bisogno di tutto il tempo ipotizzato da Sagan. Questo perché i movimenti delle stelle possono aiutare a diffondere la vita. "Il Sole è stato vicino al centro della Via Lattea 50 volte - ha evidenziato Carroll-Nellenback -. I soli movimenti stellari permetterebbero la diffusione della vita su scale temporali molto più brevi rispetto all'età della galassia". Lo scienziato, che è giunto a tale conclusione grazie al supporto di un team di scienziati, non considera la solitudine della nostra umanità “paradossale”: secondo le simulazioni la variabilità naturale significa che a volte le galassie sono colonizzate, ma spesso non lo sono, risolvendo il dilemma di Fermi. “Sagan, come anche William Newman - si legge in un articolo di Rebecca Boyle, pubblicato sulle pagine di Quanta Magazine - sostenevano che ci sarebbe voluto più tempo, in parte perché le civiltà longeve hanno la tendenza a crescere più lentamente. Società con ritmi di crescita più rapidi e violenti potrebbero estinguersi prima di aver potuto toccare tutte le stelle. E' quindi possibile che siano esistite molte società con una crescita rapida e una vita breve, poi scomparse, o delle società con un'espansione lenta e una lunga vita, non ancora arrivate”, ha sintetizzato Jason Wright della Pennsylvania State University, coautore del nuovo studio.
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Movimenti stellari trattati come oggetti statici
Carroll-Nellenback, Wright e i collaboratori Adam Frank dell'Università di Rochester e Caleb Scharf della Columbia University, hanno cercato di esaminare il paradosso di Fermi senza avanzare ipotesi non verificabili. Sono così giunti a modellare la diffusione di un "fronte d'insediamento" attraverso la galassia, scoprendo che la velocità sarebbe fortemente influenzata dai movimenti delle stelle, che nei lavori precedenti - compresi quelli di Sagan e Newman - erano trattate come oggetti statici. Il fronte di insediamento poteva percorrere l'intera galassia sulla base dei soli movimenti delle stelle, indipendentemente dalla potenza dei sistemi di propulsione. "C'è molto tempo per una crescita esponenziale che porti sostanzialmente all'insediamento di ogni sistema", ha detto Carroll-Nellenback. Ma il fatto che non ci siano visitatori interstellari - quello che l’astrofisico Michael Hart chiama "Fatto A" - non significa che non esistano. Anche se alcune civiltà potrebbero espandersi e diventare interstellari, non tutte durerebbero per sempre. Non tutte le stelle risultano essere una possibile meta di interesse, e non tutti i pianeti sono abitabili.
Via Lattea potrebbe essere parzialmente colonizzata
C'è anche quello che Frank chiama "l'effetto Aurora", dall'ominimo romanzo di Kim Stanley Robinson, in cui i coloni arrivano su un pianeta abitabile su cui non possono comunque sopravvivere. Quando Carroll-Nellenback e i suoi coautori hanno incluso nel loro modello questi ostacoli all'insediamento ed effettuato molte simulazioni con diverse densità stellari, semi di civiltà, velocità dei veicoli spaziali e altre variabili, hanno trovato un ampio spazio tra una galassia silenziosa e vuota e una brulicante di vita. E' possibile che la Via Lattea sia parzialmente colonizzata, o che lo sia saltuariamente; forse gli esploratori ci hanno visitato in passato, ma noi non lo ricordiamo, e si sono estinti. Il sistema solare potrebbe anche essere in mezzo ad altri sistemi colonizzati; è stato solo trascurato dai visitatori per milioni di anni. Anders Sandberg, futurologo del Future of Humanity Institute all'Università di Oxford, che ha studiato il paradosso di Fermi, ha detto di pensare che le navicelle spaziali diffonderebbero le civiltà più efficacemente dei moti stellari. "Ma il rimescolamento delle stelle potrebbe essere importante", ha scritto in un'e-mail, "poiché è probabile che diffonda sia la vita, attraverso la panspermia locale, sia l'intelligenza, se è davvero così difficile percorrere lunghe distanze".
Ma risposta definitiva arriverà nel prossimo decennio
Frank e Wright sostengono in sintesi che per entrare in contatto con civiltà evolute il SETI dovrà lavorare senza sosta, analizzando pazientemente un’infinità quantità di segnali alieni, cosa che sarà possibile nei prossimi decenni quando telescopi più sofisticati punteranno sulla panoplia degli esopianeti e cominceranno a intravederne le atmosfere. "Stiamo entrando in un'epoca in cui avremo dati reali rilevanti per la vita su altri pianeti - ha commentato Frank -. Non poteva esserci un momento più rilevante di questo". Forse non siamo soli e non lo siamo stati. "I coleotteri nel mio giardino non si accorgono di essere circondati da esseri intelligenti, cioè i miei vicini e me - ha concluso Seth Shostak, un astronomo del SETI Institute - ma siamo comunque qui".