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Virus trasformati in killer del cancro: le nanoparticelle italiane che accendono la speranza

La ricerca dell'Università di Bologna apre nuove frontiere nella lotta ai tumori

Roberto Zoncadi Roberto Zonca   
Il professor Matteo Calvaresi
Il professor Matteo Calvaresi

Virus trasformati in nanoparticelle per combattere il cancro. L’Università di Bologna ha sviluppato una tecnologia che sfrutta dei patogeni innocui per creare nanoparticelle killer capaci di individuare e distruggere selettivamente le cellule tumorali. Guidato dal professor Matteo Calvaresi, il progetto utilizza i batteriofagi come stampi naturali per realizzare particelle identiche, superando i limiti attuali della sintesi nanostrutturale. Il batteriofago M13, innocuo per l’uomo, è stato scelto come base per costruire queste nanobioparticelle, il cui capside è stato “decorato” con molecole fotoattive in grado di generare sostanze tossiche al contatto con la luce. "Questa tecnologia ci consente di eliminare le cellule tumorali in modo mirato, proteggendo i tessuti sani", ha spiegato Calvaresi.

Superare i limiti della nanomedicina tradizionale

La nanomedicina rappresenta un campo in continua evoluzione, ma finora ha incontrato importanti ostacoli. Uno dei problemi principali è l'impossibilità di produrre nanoparticelle con dimensioni e forme perfettamente uniformi, necessarie per garantire efficacia e sicurezza nei trattamenti oncologici. “Nel mondo macroscopico utilizziamo stampi per produrre oggetti identici, ma su scala nanometrica, dove parliamo di miliardesimi di metro, questa soluzione è impraticabile”, spiega Calvaresi. È qui che i ricercatori hanno trovato nei batteriofagi, virus geneticamente determinati per forma e dimensione, il modello ideale per creare particelle omogenee con applicazioni terapeutiche mirate.

Come funzionano le nanoparticelle italiane

Il processo è tanto innovativo quanto ingegnoso. Il capside del batteriofago M13 viene “decorato” con molecole fotoattive che, sotto l’effetto della luce, rilasciano sostanze tossiche. Questo approccio permette alle nanoparticelle di colpire con precisione le cellule tumorali, risparmiando i tessuti sani e riducendo così gli effetti collaterali tipici delle terapie oncologiche tradizionali.

La specifica forma a spaghetto del batteriofago e la possibilità di ingegnerizzare le sue estremità con ‘chiavi’ molecolari rendono queste nanoparticelle estremamente efficaci nel riconoscere le cellule tumorali”, aggiunge Calvaresi.

I risultati in laboratorio e le prospettive future

Le nanobioparticelle sono state testate con successo sia su cellule tumorali in coltura che su modelli animali. I risultati sono stati sorprendenti: una selettività e un’efficacia senza precedenti. Ulteriori studi saranno tuttavia necessari per valutare l’applicabilità clinica di questa tecnologia nei pazienti.

Questa ricerca rappresenta un primo passo verso un nuovo approccio nella lotta al cancro, ma c’è ancora molto lavoro da fare. L’obiettivo è portare questa tecnologia dagli esperimenti in laboratorio alla realtà clinica”, conclude Calvaresi.

Collaborazioni e finanziamenti

Lo studio è stato condotto in collaborazione con i gruppi di ricerca del professor Alberto Danielli (Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie, Università di Bologna), della dottoressa Francesca di Maria (ISOF-CNR, Bologna) e della dottoressa Claudia Tortiglione (ISASI-CNR, Pozzuoli). Il progetto è stato reso possibile grazie al finanziamento di Fondazione AIRC, nell’ambito del progetto NanoPhage.

Fonte:
Airc

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