Uso di antibiotici negli allevamenti animali e rischi per la salute umana
Decine di migliaia, ogni anno, i morti causati dalla resistenza agli antibiotici e, prevedono molti scienziati, nel 2050 questo problema causerà 10 milioni di vittime
La resistenza agli antibiotici rappresenta una seria minaccia per la salute pubblica, sia negli Stati Uniti che nel resto del mondo. Il problema, stando a quanto dichiarato dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC), causa il decesso di quasi 25mila persone in Europa e altre 23mila negli Sati Uniti. Il bilancio è tuttavia destinato ad aggravarsi. Ogni anno, infatti, soltanto negli Usa si registrano non meno di 2 milioni di nuovi casi di persone che sviluppano un’infezione resistente ai farmaci. E se il numero dei decessi spaventa la previsione fatta da molti ricercatori fa rabbrividire: entro il 2050 la resistenza agli antibiotici causerà 10 milioni di morti ogni anno, superando il cancro come la principale causa di mortalità in tutto il mondo.
Le cause sono ormai note
Tra i fattori che portano a questa resistenza includono l‘eccessiva prescrizione di antibiotici, la scarsa igiene e pratiche igieniche negli ospedali e test di laboratorio insufficienti in grado di rilevare un’infezione in modo rapido e preciso. Un ulteriore fattore che può contribuire alla resistenza ai farmaci negli esseri umani è l’uso eccessivo di antibiotici in agricoltura e negli animali. L’uso di antibiotici negli animali può aumentare il rischio di trasmissione di batteri resistenti ai farmaci agli esseri umani sia per infezione diretta che trasferendo “geni di resistenza dall’agricoltura in patogeni umani”.
Chi sono i responsabili
Su scala globale i principali responsabili sono gli Stati Uniti e la Cina, che impiegano quantità incalcolabili di antibiotici per la produzione alimentare. Secondo la Food and Drug Administration (FDA), l’ 80% dell’uso totale di antibiotici negli Stati Uniti è in agricoltura, con suini e pollame che ricevono da cinque a dieci volte più antibiotici di mucche e pecore. Spesso questi tipi di farmaci vengono usati senza la dovuta parsimonia. In tanti ne fanno un uso profilattico o preventivo. Nelle aziende gli antibiotici vengono somministrati anche ai pulcini appena nati, indipendentemente dal fatto che siano malati o meno. In altri casi vengono dati agli animali per sopportare svezzamenti precoci. I maialini, il cui svezzamento avverrebbe naturalmente al terzo/quarto mese di vita, vengono allontanati dalle madri quando hanno tra i 17 e i 28 giorni di vita. Inutile dire che il tempo loro concesso risulta insufficiente allo sviluppo di un sistema immunitario forte, come anche un tratto gastrointestinale sano e completamente maturato. Tutto ciò influenza il microbioma degli animali e creano un falso bisogno di antibiotici. Inoltre lo svezzamento prematuro espone l’animale al rischio di malattie gastrointestinali, ancor più nei vitelli e negli agnelli. La cura? Antibiotici, come fossero semplice acqua di sorgente.
I rischi per la salute
E l’uomo, che si nutre di carne animale, assimila anche gli “antibiotici”. “Ogni volta che si usano antibiotici, sia negli animali che negli esseri umani - ha spiegato Nicola Evans, ricercatore dottorando in biologia strutturale al King’s College di Londra - si rischia di selezionare batteri resistenti ai farmaci. Dobbiamo salvaguardare gli antibiotici per l’uso sia negli animali che negli esseri umani, per garantire che possano essere utilizzati per il trattamento dell’infezione in futuro. Ci sono alcuni modi principali in cui gli antibiotici somministrati agli animali possono influenzare l’uomo. In primo luogo, il contatto diretto tra animali e esseri umani può causare malattie. Ad esempio, gli agricoltori sono a rischio di essere colonizzati da MRSA associato al bestiame (LA-MRSA). LA-MRSA non è pericolosa come la MRSA Ospedale-associato in quanto è adattata agli animali e non si diffonde facilmente da persona a persona, ma c’è il rischio che i batteri possano cambiare e adattarsi agli umani”. Un problema concreto dunque, che tuttavia viene considerato molto basso nell’Unione europea e in America, anche perché gli animali da carne, prima di esser macellati o munti devono esser esclusi dai trattamenti per un determinato periodo. “Dopo il periodo di sospensione - ha detto il ricercatore - i livelli di antibiotico nel cibo sono considerati centinaia di volte inferiori ai livelli che dovrebbero influenzare in qualsiasi modo i batteri”.
Limiare uso su animali
Una precauzione che dovrebbe esser sempre seguita, anche perché i batteri resistenti agli antibiotici presenti nella carne possono trasferire la medesima resistenza antimicrobica nei batteri umani: rischio che può essere ridotto esponenzialmente grazie alle alte temperature di cottura. “Tutti gli usi degli antibiotici comportano un rischio per la salute umana - ha concluso Evans - la riduzione dell’uso non necessario di tali medicinali negli animali dovrebbe essere parte della soluzione globale. Gli antibiotici sono necessari per salvaguardare la salute e il benessere degli animali, ma dovrebbero essere usati solo quando gli animali sono malati e non utilizzati come promotori della crescita o per prevenire le malattie degli animali. Prove evidenti indicano che non vi è un impatto diretto dei residui di antibiotici nella carne sulla salute umana, ma il rischio di generare batteri resistenti agli antibiotici negli animali rappresenta un potenziale rischio per l’uomo. Tuttavia l’uso di antibiotici nell’uomo è molto più dannoso”.