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SARS-CoV-2 inizia a sfuggire ai farmaci: rischio di resistenza globale agli antivirali

Due studi indipendenti hanno scoperto che il patogeno responsabile del Covid-19 sta diventando resistente ai farmaci antivirali utilizzati per curare i pazienti

Roberto Zoncadi Roberto Zonca   
Foto Shutterstock
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Il virus SARS-CoV-2, responsabile del Covid-19, sta evolvendo in maniera preoccupante. Due recenti studi hanno infatti scoperto che il patogeno sta sviluppando una sorta di resistenza ai farmaci antivirali impiegati per trattare i pazienti. Il primo studio, condotto da un gruppo congiunto di ricercatori della Cornell University e dei National Institutes of Health, ha esaminato pazienti con sistema immunitario compromesso trattati con Remdesivir. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, mostrano che il virus ha iniziato a sviluppare una ridotta sensibilità a questo farmaco, il che ha sollevato preoccupazioni sull’efficacia a lungo termine della terapia. Il secondo studio, realizzato da un team di ricercatori provenienti dall’Università di Pittsburgh, dal Brigham and Women’s Hospital, dalla Stanford University e dall’Università di Harvard, ha analizzato gli effetti di diversi farmaci antivirali su pazienti COVID-19 trattati tra il 2021 e il 2023. Lo studio, pubblicato sulla rivista JAMA Network Open, ha scoperto che alcuni pazienti, specialmente quelli immunocompromessi, hanno contratto versioni del virus mutate e resistenti agli antivirali, in particolare al Nirmatrelvir. Questa resistenza si è sviluppata in seguito all’utilizzo continuato dei farmaci antivirali in questi pazienti.

Le mutazioni che preoccupano gli scienziati

In dettaglio, il primo studio ha sequenziato il DNA virale di 15 pazienti affetti da COVID-19 e ha rilevato che il virus aveva sviluppato mutazioni che riducevano l’efficacia sia del Remdesivir sia del Nirmatrelvir. È stato inoltre osservato che queste varianti mutate del virus erano in grado di infettare altre persone vicine. Tuttavia, è emerso un dato positivo: la somministrazione combinata di entrambi i farmaci antivirali è risultata in grado di eliminare il virus, suggerendo che una terapia combinata potrebbe essere una possibile soluzione per contrastare le varianti resistenti. Nel secondo studio, il team di ricerca ha monitorato il trattamento di 156 pazienti affetti da COVID-19 per un periodo di due anni, dividendo i pazienti in due gruppi: quelli che avevano ricevuto farmaci antivirali e quelli che non li avevano assunti. È stato rilevato che i virus resistenti agli antivirali erano presenti più frequentemente nei pazienti che avevano ricevuto tali farmaci, con un’incidenza maggiore tra gli immunodepressi e coloro che erano stati trattati con Nirmatrelvir.

Fenomeno da tenere sotto controllo

Gli autori dello studio hanno sottolineato l'importanza di monitorare attentamente la resistenza emergente ai farmaci, dato che la mutazione del virus potrebbe minare l'efficacia di questi trattamenti nel tempo. Hanno spiegato che sia il Nirmatrelvir che il Remdesivir sono considerati farmaci antivirali chiave per il trattamento dei pazienti COVID-19 ad alto rischio, poiché riducono la probabilità di progressione verso forme gravi della malattia e di ospedalizzazione. Il Nirmatrelvir agisce bloccando la proteasi principale del virus, impedendo la scissione delle proteine virali necessarie per la replicazione, mentre il Remdesivir inibisce la RNA polimerasi del virus, bloccando la sintesi del suo RNA. Tuttavia, il rischio di resistenza ai farmaci antivirali rappresenta una sfida crescente. Sebbene alcuni studi in vitro abbiano già segnalato la possibilità di resistenza emergente, i dati in vivo su questa problematica sono stati finora limitati. Negli studi clinici, solo lo 0,3% dei partecipanti ha sviluppato resistenza a Nirmatrelvir, ma la prevalenza della resistenza in contesti clinici reali è ancora poco conosciuta. Inoltre, la resistenza viene spesso rilevata solo nelle varianti dominanti all’interno della popolazione virale, lasciando irrisolto il problema di mutazioni a bassa frequenza che potrebbero contribuire alla resistenza e al cosiddetto "rimbalzo virologico" post-trattamento.

Gli autori hanno sollecitato ulteriori studi e un monitoraggio più approfondito per rilevare mutazioni di resistenza a bassa frequenza, che potrebbero diventare dominanti nella popolazione virale e compromettere l’efficacia dei trattamenti antivirali. Lo studio ha evidenziato la necessità di una sorveglianza costante nei pazienti sottoposti a trattamenti antivirali, soprattutto per coloro che mostrano segni di rimbalzo virologico post-terapia.

 

Fonte:
JAMA

Roberto Zoncadi Roberto Zonca   
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