Allarme protesi articolari, rilasciano metalli nel liquido cerebrospinale con effetti neurologici
La scoperta shock di un gruppo di ricercatori tedeschi. Cobalto e cromo i metalli più rilevati nel sistema nervoso centrale

Le particelle metalliche rilasciate da protesi articolari possono raggiungere e accumularsi nel liquido cerebrospinale, potenzialmente esponendo il sistema nervoso centrale a rischi finora sottovalutati. A rivelarlo è uno studio guidato dal team della Charité–Universitätsmedizin Berlin, pubblicato su JAMA Network Open, che ha confrontato i livelli di metalli in sangue, siero e liquido spinale in pazienti con e senza impianti articolari. L’analisi ha rilevato valori significativamente più alti di cobalto, cromo, titanio, niobio e zirconio nei soggetti con protesi, suggerendo che l’esposizione sistemica può estendersi ben oltre i tessuti vicini all’impianto.
Uno studio su 204 persone rivela l’accumulo di metalli
I ricercatori hanno analizzato 204 adulti, metà dei quali con grandi impianti articolari (età media 71,7 anni) e metà senza interventi (età media 67,2 anni). I campioni sono stati prelevati durante interventi in anestesia spinale o punture lombari. I risultati mostrano che i pazienti con protesi contenenti leghe di cobalto-cromo-molibdeno presentano le più alte concentrazioni di metalli nel liquido cerebrospinale, in particolare cobalto.
Secondo i dati, anche impianti in sede da meno di dieci anni sono associati a livelli elevati. Inoltre, i pazienti che lamentavano dolore all’articolazione impiantata avevano più spesso alte concentrazioni di cobalto nel liquido spinale.
Il sangue può anticipare l’infiltrazione nel liquido spinale
Lo studio ha evidenziato forti correlazioni tra livelli ematici e spinali di cobalto e altri metalli, suggerendo che le analisi del sangue possono fungere da indicatore precoce per la presenza di metalli nel sistema nervoso centrale. Per titanio, niobio e zirconio, le concentrazioni nel liquido cerebrospinale risultavano elevate solo quando anche il siero mostrava livelli aumentati.
I pazienti con protesi prive di componenti in cobalto-cromo-molibdeno non mostravano un aumento dei metalli nel liquido spinale. L’alluminio, pur presente in alcune leghe, non ha mostrato aumenti significativi.
Barriera emato-encefalica intatta, ma i dubbi restano
I ricercatori hanno verificato anche l’integrità della barriera emato-encefalica usando i livelli sierici di S-100B, riscontrando che non risultava compromessa nei portatori di impianti. In alcuni casi, i livelli erano addirittura inferiori rispetto al gruppo di controllo. Questo indica che i metalli non passano attraverso un danno evidente della barriera, ma probabilmente la attraversano in piccole quantità nel tempo.
La presenza di particelle metalliche nel liquido spinale, pur non accompagnata da danni evidenti alla barriera, solleva interrogativi su possibili effetti neurologici a lungo termine, soprattutto in pazienti con sintomi cognitivi o neuropatici non spiegati dopo l’artroplastica.
Servono nuovi studi per valutare il rischio neurologico
Secondo gli autori, “l’esposizione ai metalli derivanti da impianti ortopedici non si limita ai tessuti locali, ma coinvolge l’intero organismo”. Lo studio è di tipo esplorativo e non può stabilire un nesso causale diretto, ma apre la strada a ricerche future che dovranno indagare il legame tra accumulo di metalli e malattie neurodegenerative o alterazioni cognitive. I risultati attuali indicano l’urgenza di monitorare con più attenzione i pazienti con protesi, specie se contenenti leghe a base di cobalto.
La ricerca completa: