Farmaco sperimentale blocca il deficit di memoria nei topi affetti da Alzheimer. Al via test sull’uomo
Il risultato è stato possibile grazie all’ausilio di nanoparticelle magnetiche che trasportano ai neuroni piccole proteine in grado di rompere gli accumuli dannosi di proteina tau, che caratterizzano la malattia, e impedire che se ne formino di nuovi
In topi usati come modello della malattia di Alzheimer si è riusciti a bloccare il deficit di memoria, grazie a nanoparticelle magnetiche che trasportano ai neuroni piccole proteine in grado di rompere gli accumuli dannosi di proteina tau, che caratterizzano la malattia, e impedire che se ne formino di nuovi. Il risultato, pubblicato sulla rivista Science Advances, è stato ottenuto da un gruppo di ricercatori guidato dall’Università della California di Los Angeles. Si apre quindi la strada alla prospettiva di sperimentazioni cliniche anche negli esseri umani, ma dovrà prima di tutto essere stabilita la sicurezza e l’efficacia della terapia per l’uomo.
Colpiti i grovigli di proteina tau
Molte ricerche suggeriscono che i grovigli di proteina tau, insieme alle placche di proteina beta-amiloide, sono le cause più probabili del danno neuronale che si verifica durante la malattia di Alzheimer e rappresentano, dunque, promettenti bersagli per le eventuali terapie. I ricercatori guidati da Ke Hou si sono perciò concentrati proprio su questi accumuli dannosi che si formano nel cervello e, per raggiungerli, hanno scelto di utilizzare delle nanoparticelle magnetiche, già messe a punto in studi precedenti, che riescono ad attraversare la barriera emato-encefalica, quella che protegge il cervello dalle sostanze nocive presenti nel sangue, trasportando piccolissime catene di amminoacidi.
Trattamento durato 10 settimane
I topi utilizzati nell’esperimento hanno ricevuto un trattamento della durata di 10 settimane, che si è dimostrato in grado di disgregare i grovigli di proteina tau e impedirne l’ulteriore accumulo. Gli animali trattati in questo modo sono riusciti ad orientarsi meglio dei loro compagni quando sono stati posizionati all’interno di un labirinto, riuscendo a ricordare i percorsi già provati, e sono anche stati in grado di distinguere più rapidamente gli oggetti familiari da altri che non avevano mai visto prima.