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Scassinata la barriera delle cellule: ora è possibile introdurre anche “grandi molecole”

Un team di ricercatori Statunitensi è riuscito a far penetrare nelle cellule farmaci finora inaccessibili: risultati sorprendenti con i Protac e nuove prospettive per la cura del cancro

di R.Z.   
Foto Shutterstock
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Per decenni, una barriera apparentemente invalicabile ha escluso numerosi farmaci innovativi dall’ingresso nelle cellule: le loro dimensioni molecolari erano semplicemente troppo grandi per attraversare passivamente le membrane. Oggi, una ricerca pubblicata su Cell infrange questo limite, dimostrando che è possibile “scassinare la serratura” delle cellule grazie a un meccanismo naturale: l’endocitosi mediata dai recettori CD36.

Il lavoro è frutto di una collaborazione tra tre prestigiose istituzioni statunitensi: Duke University, University of Texas at San Antonio e University of Arkansas. I ricercatori sono riusciti a migliorare in modo drastico la penetrazione intracellulare di una classe di farmaci chiamati Protac, sviluppando un sistema in grado di sfruttare i CD36 come “chiavi molecolari” per l’ingresso. I dati preclinici sui topi indicano un’efficienza aumentata da 7 a 22 volte, con un’efficacia terapeutica fino a 23 volte superiore rispetto al normale.

Come funziona il sistema: i recettori CD36 come veicolo molecolare

Tradizionalmente, lo sviluppo dei farmaci si è concentrato sull’ottimizzazione di molecole piccole, capaci di attraversare le membrane cellulari per diffusione passiva. Questo limite ha però escluso intere classi terapeutiche, tra cui alcuni dei più promettenti farmaci antitumorali.

Il team ha quindi scelto un percorso alternativo: mimare i meccanismi di trasporto cellulare naturale, in particolare l’endocitosi. Questo processo permette alla cellula di inglobare materiali dall’esterno attraverso l’interazione con recettori presenti sulla membrana.

In questo caso specifico, i farmaci sono stati progettati per interagire con i recettori CD36, altamente espressi in molti tessuti tra cui intestino, pelle, polmoni, retina e persino alcune cellule cerebrali. Una volta legato al CD36, il farmaco viene internalizzato all’interno della cellula sotto forma di vescicola, aggirando i limiti fisici che lo avrebbero escluso dalla terapia.

Il caso dei Protac: nuova vita a molecole abbandonate perché “troppo grandi”

I Protac (PROteolysis TArgeting Chimeras) sono una categoria emergente di farmaci in grado di degradare specifiche proteine bersaglio all’interno della cellula, agendo con una precisione terapeutica senza precedenti. Ma il loro grande potenziale è stato fino ad oggi frenato proprio dalle dimensioni molecolari, che ne impedivano l’ingresso.

Secondo quanto dichiarato da Hong-yu Li, coautore dello studio alla University of Texas, “Era del tutto inaspettato: per decenni si è pensato che molecole così grandi non potessero attraversare efficacemente le membrane”.

Grazie alla nuova strategia, i ricercatori sono riusciti a far penetrare i Protac nelle cellule tumorali dei topi, ottenendo risposte terapeutiche mai viste prima. “Questa scoperta è importante perché potrebbe salvare molti farmaci considerati inutilizzabili e trasformarli in trattamenti clinicamente utili per le malattie”, ha aggiunto Hui-Kuan Lin della Duke University.

Implicazioni cliniche: verso una nuova generazione di terapie

I risultati ottenuti in vivo aprono nuovi orizzonti terapeutici, non solo in oncologia ma anche per patologie neurodegenerative, infiammatorie o rare. Molecole già sintetizzate, ma finora inutilizzabili, potrebbero ora essere “ripescate” e rese clinicamente attive.

Va sottolineato che i recettori CD36 sono coinvolti in molteplici processi biologici: trasporto di acidi grassi, risposta infiammatoria, metabolismo lipidico. Il loro ruolo come veicoli farmacologici suggerisce un livello di sicurezza potenzialmente elevato, data la loro espressione fisiologica, ma richiederà ulteriori conferme.

Le potenzialità sono immense, ma anche le sfide. Serviranno studi sull’uomo, valutazioni tossicologiche dettagliate e un controllo stringente degli effetti a lungo termine. Tuttavia, la base scientifica gettata da questo studio è solida e promette un cambio di paradigma nella progettazione dei farmaci.

Rischi, limiti e prossimi passi nella sperimentazione

Nonostante l’entusiasmo, gli autori sono cauti. La manipolazione dei CD36, per quanto ingegnosa, potrebbe alterare funzioni fisiologiche fondamentali. Alcune cellule, come i macrofagi, esprimono CD36 in quantità elevate e una stimolazione prolungata potrebbe causare effetti secondari ancora ignoti.

Inoltre, è possibile che l’efficienza dell’endocitosi vari da tessuto a tessuto, o che alcuni tipi cellulari sviluppino resistenza o meccanismi di espulsione del farmaco. Anche la biodistribuzione sistemica e l’accumulo selettivo dei composti vanno attentamente valutati prima di qualsiasi trial clinico.

Ciò detto, il lavoro getta le fondamenta di una nuova farmacologia traslazionale, dove la progettazione dei farmaci può finalmente “pensare in grande”, anche in senso letterale.

Link utili:

Nature Cell Biology

di R.Z.   
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