Tumori contagiosi: l’anomalia biologica che inquieta la scienza
Rari ma reali, i tumori trasmissibili sfidano la nostra idea di cancro come malattia individuale. La scienza li studia, per il momento soltanto nel mondo animale, per prevenire mutazioni potenzialmente pericolose anche per l’uomo

Il cancro, per definizione, è una malattia individuale. Nasce da cellule che impazziscono all'interno dell’organismo, sfuggono ai controlli immunitari e si moltiplicano senza sosta. Ma in rari casi, le cellule tumorali trascendono i confini dell’individuo, diventando in tutto e per tutto infettive. È un fenomeno raro, ma reale, e la sua esistenza sfida il nostro modo di comprendere l’oncologia, l’immunologia e perfino l’evoluzione.
I tumori trasmissibili - a oggi identificati con certezza solo in poche specie animali - sono forme clonali di cellule tumorali che si propagano da un individuo all’altro mantenendo la propria identità genetica. Non sono virus, né batteri, ma cellule vive, che sopravvivono e proliferano in un ospite dopo l’altro. Una vera e propria forma di vita parassitaria.
I pochi, inquietanti casi conosciuti
I casi documentati sono solo tre, ma tutti eccezionali. Il primo e più antico è il CTVT (Canine Transmissible Venereal Tumour), un tumore venereo che da migliaia di anni si diffonde tra i cani attraverso l’accoppiamento. Il secondo è quello delle neoplasie disseminate nei molluschi bivalvi, come cozze e vongole, dove le cellule tumorali possono fluttuare nell'acqua e infettare altri esemplari. Il terzo, il più noto negli ultimi anni, è il tumore facciale del diavolo della Tasmania (DFTD), che ha decimato la popolazione di questi marsupiali in Australia, come vedremo più avanti.
Questi tumori hanno caratteristiche in comune: bassa diversità genetica delle popolazioni colpite, modalità di trasmissione che richiedono contatto stretto o fluidi biologici, e un’origine tumorale capace di sfuggire al sistema immunitario dell’ospite, che non riconosce il tumore come estraneo.
Un'evoluzione "parassitaria" del cancro
Ciò che inquieta la comunità scientifica non è solo la rarità del fenomeno, ma la sua implicita potenzialità evolutiva. In teoria, nulla vieta a una linea tumorale particolarmente aggressiva e adattativa di sviluppare nel tempo una modalità di trasmissione. Già oggi, alcune cellule tumorali circolanti in pazienti umani, come quelle del melanoma o del sarcoma, mostrano un’eccezionale capacità di adattamento e diffusione.
Come ha spiegato recentemente David Quammen, autore di numerosi saggi scientifici, “il cancro può evolvere in modi che oggi non immaginiamo: quello che chiamiamo tumore potrebbe un giorno diventare un’entità che vive al di fuori dell’ospite, in grado di saltare da corpo a corpo”. Quammen, in un’intervista all’ANSA, ha paragonato il cancro a un parassita evolutivo dormiente, e ha annunciato un libro in cui esplorerà proprio questa ipotesi: “il cancro come forma di vita”.
C'è un rischio per l'uomo?
Ad oggi, non esistono casi di tumore contagioso tra esseri umani, fatta eccezione per condizioni artificiali come trapianti di organi contaminati o trasmissione materno-fetale in gravidanza. Tuttavia, l’ipotesi teorica non è esclusa: alcune cellule tumorali in laboratorio sono risultate straordinariamente resistenti e capaci di sopravvivere a lungo in ambienti esterni, sollevando interrogativi etici e biosicuri già discussi in ambito accademico.
Inoltre, i tumori umani più aggressivi si comportano in modi che ricordano modelli infettivi: rilasciano segnali chimici che reclutano cellule sane, modificano l’ambiente circostante, e in certi casi possono migrare in nuovi distretti corporei seguendo meccanismi simili alla disseminazione virale.
Gli scienziati non parlano di allarme, ma di necessità di comprendere il cancro in chiave ecologica ed evolutiva, non più soltanto come una crescita anomala di cellule, ma come un sistema che può sviluppare comportamenti da organismo indipendente.
Un raro caso umano e le differenze con i tumori trasmissibili animali
Un episodio documentato nel 1996 ha attirato l’attenzione degli oncologi: durante l’asportazione chirurgica di un tumore addominale (un istiocitoma fibroso maligno), un chirurgo si ferì accidentalmente alla mano con il bisturi contaminato. Pochi mesi dopo, sviluppò una massa tumorale nello stesso punto della ferita, rivelatasi geneticamente identica al tumore del paziente. Si trattò di una trasmissione diretta e accidentale di cellule tumorali vive, che attecchirono grazie al contatto con tessuto leso e, probabilmente, a una temporanea mancata risposta immunitaria.
Questo caso, pur eccezionale, non configura un cancro contagioso in senso classico. Mancano infatti le condizioni chiave della contagiosità naturale: trasmissione ripetibile, adattamento del tumore all’organismo ricevente, e capacità di propagarsi senza interventi medici o tra individui sani. A differenza del DFTD nel diavolo della Tasmania, dove il tumore si è evoluto per aggirare il sistema immunitario della propria specie e trasmettersi attivamente tramite i morsi, nell’uomo la trasmissione cellulare tumorale è un’eventualità clinica estremamente rara, legata a fattori artificiali come ferite chirurgiche, trapianti o immunodepressione grave.
Il caso del diavolo della Tasmania: un laboratorio naturale
A far riflettere la scienza è proprio il caso del diavolo della Tasmania, studiato da genetisti, immunologi e zoologi di tutto il mondo. Il Devil Facial Tumour Disease ha dimostrato che una singola mutazione, in una popolazione geneticamente fragile, può dare origine a un clone tumorale capace di vivere per decenni in più ospiti, sopravvivendo a chi lo ospita e continuando a diffondersi.
In Tasmania, questa tragedia naturale è diventata anche un modello di studio per l’oncologia comparata, l’ecologia delle malattie e l’evoluzione. Il fatto che un tumore possa comportarsi come un organismo trasmissibile ha aperto una nuova linea di ricerca sul confine – forse non così netto – tra malattia e forma di vita.
Una nuova prospettiva sul cancro
Guardare al cancro come a un'entità in grado di evolvere strategie di sopravvivenza simili a quelle di virus e batteri è oggi una sfida per l’oncologia moderna. Se casi come il DFTD rimangono (per ora) limitati alla fauna selvatica, la loro esistenza impone alla scienza umana una riflessione radicale: e se il cancro, sotto pressione selettiva, potesse un giorno imitare le malattie infettive?
Non è una previsione catastrofista, ma una suggestione che sta già orientando parte della ricerca biomedica, come dimostrano i finanziamenti crescenti dedicati all’oncogenomica e alla microbiologia tumorale. Come ha ricordato Quammen: “Il cancro ci sorprende sempre. Ciò che oggi sembra impossibile, potrebbe essere solo improbabile”.