Diffusione del Coronavirus al ristorante, in estate con l'aria condizionata la sola distanza di sicurezza non basterà
Uno studio cinese accusa i sistemi di climatizzazione. Il flusso d’aria del locale potrebbe facilitare il contagio

La riapertura dei ristoranti e, più in generale, quella di molteplici e diversificate attività commerciali potrebbe comportare dei rischi per la salute pubblica. Stando a quanto emerso da uno studio, condotto da 3 distinti centri di ricerca di Guangzhou, i condizionatori d’aria potrebbero avere un ruolo cruciale nella diffusione delle secrezioni respiratorie contenenti RNA virale e dunque, evidenziano gli scienziati, favorire la diffusione della pandemia da nuovo coronavirus. La notizia, in via di pubblicazione sulla rivista Emerging Infectious Diseases, bollettino del Centers for Disease Control and Prevention, organismo di controllo sulla sanità pubblica statunitense, getta nuove ombre sulla prossima riapertura dei ristoranti, ma anche di una serie di attività commerciali costretti ad operare in spazi ristretti.
I ricercatori hanno esaminato il caso specifico di un ristorante proprio nella città portuale di Guangzhou, nel Sud della Cina, stabilendo che dal 26 gennaio al 10 febbraio 2020, 10 persone di 3 differenti nuclei familiari, ribattezzate nel modello esemplificativo A, B e C, hanno contratto la Covid-19 dopo aver pranzato nella struttura. Presumibilmente la persona infetta (asintomatica) era soltanto una, ma la contaminazione tra i presenti è stata inevitabile. Il ristorante oggetto dell’analisi si sviluppa su 5 piani. La struttura, priva di finestre, godeva del “ricambio” dell’aria esclusivamente tramite impianto di climatizzazione.
I fatti
Una famiglia di Whuan si è recata a Guangzhou per un normalissimo pranzo. La sala era affollata (73 clienti e 8 camerieri) e, indipendentemente dalla distanza che separava le varie tavolate, 9 persone sono state contagiate. Nella lista dei positivi al Coronavirus, infatti, sono finiti sia coloro che erano seduti al tavolo del “paziente 1” sia coloro che si trovavano seduti a diversi metri di distanza. Secondo i ricercatori i climatizzatori fanno dunque da autostrada, attraverso la quale il virus raggiungerebbe un altissimo indice di diffusione.
La tesi
A contrarre il coronavirus non sono stati infatti tutti i clienti presenti nel ristorante ma solo quelli che avevano trovato posto nei tavoli sulla traiettoria seguita dall’aria condizionata. Lo studio presenta ancora dei limiti. Gli scienziati non hanno infatti effettuato alcun test in grado di simulare la via di trasmissione per via aerea, come neppure uno studio sierologico, basato su tamponi, sui membri asintomatici della famiglia o su altri ospiti, così da stimare il rischio di infezione diretta.
“Il fattore chiave per l’infezione è stata la direzione del flusso d’aria - hanno scritto gli autori dello studio -: le goccioline respiratorie più grandi (> 5 μm), infatti, rimangono nell’aria solo per un breve periodo e viaggiano solo per brevi distanze, generalmente <1 m. Le distanze tra il paziente A1 e le persone agli altri tavoli, in particolare quelle al tavolo C, erano tutte> 1 m. Tuttavia, un forte flusso d’aria dal condizionatore d’aria potrebbe aver propagato le goccioline dal tavolo C al tavolo A, quindi al B e di nuovo al C. Piccole gocce aerosolizzate (<5 μm) cariche di virus possono rimanere nell’aria e percorrere lunghe distanze, gli aerosol tenderebbero a seguire il flusso d’aria e le concentrazioni inferiori di aerosol a distanze maggiori potrebbero essere state insufficienti a causare infezione in altre parti del ristorante”.
La teoria della diffusione tramite ventilazione forzata risulta esser dunque da confermare. In ogni caso, in attesa di ulteriori verifiche, quello dell'aria condizionata rischia di essere un problema in più per ristoranti e locali commerciali che puntavano a riaprire quando la bella stagione sarà già iniziata. “L’analisi - scrive il New York Times commentando la ricerca - serve per capire quali siano le sfide che i ristoranti dovranno affrontare quando tenteranno di riaprire. I sistemi di ventilazione possono creare schemi complessi di flusso d’aria e mantenere le particelle aerosol virali sospese più a lungo, quindi la distanza minima (2 metri) potrebbe non essere sufficiente per salvaguardare gli avventori”.